Gianfranco Ravasi "Due atei alla scuola di Gesù"
“Il Sole 24 Ore” del 6 marzo 2022
Scrittori & Sacre Scritture. José Saramago e Jack Kerouac (dei quali ricorre il centenario della
nascita) attinsero idee dal messaggio evangelico
Lo citava un teologo creativo come Abelardo, l’avevano adottato anche l’appassionato san Bernardo
o un raffinato pensatore come Giovanni di Salisbury, si era trasformato in un brocardo giuridico e lo
riprenderanno Robert Stevenson e de Maistre. Stiamo parlando di un verso delle Metamorfosi di
Ovidio che suona così: Fas est et ab hoste doceri, «è lecito imparare anche da un avversario» (IV,
428). Assumiamo anche noi questa volta il motto per giustificare questa che non è una recensione
ma un divertissement, provocato da un duplice centenario letterario che coinvolge due autori da
canone del Novecento, il portoghese José Saramago e l’americano Jack Kerouac, entrambi nati nel
1922, il primo morto a 88 anni dopo essere stato laureato dal Nobel e l’altro a soli 47 anni.
L’autore del Vangelo secondo Gesù Cristo (1991) rientra pienamente nella categoria dell’hostis,
anche per il suo conclamato ateismo e gli attacchi a una Chiesa vista come succube del dittatore
Salazar, e ricambiato con un’aspra critica e condanna cattolica. Effettivamente Saramago capovolge
l’esito di tutta la missione di Cristo, vittima di un inganno superiore, costretto perciò sulla croce a
confessare, dopo aver intuito «il fiume di sangue e di sofferenza che sarebbe nato da lui spargendosi
sulla terra»: «Uomini perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto». E sopra la croce si apre lo
squarcio di un Dio sarcasticamente sorridente.
Questo sbocco scandaloso è preparato da due scene capitali nella vita di Gesù di Nazaret, le
tentazioni di Satana e la risurrezione di Lazzaro vietata a Cristo da Maria di Magdala con questo
monito terribile: «Nessuno ha compiuto tanti peccati in vita da meritare di morire due volte». Bene
e male, vita e morte sono interdipendenti, come dichiara Dio stesso a Satana: «Perché io sia il bene,
è necessario che tu continui ad essere il male, se il Diavolo non sussiste come Diavolo, Dio non
esiste come Dio, la morte di uno sarebbe la morte dell’altro».
Certo, il ribaltamento della cristologia e della teodicea cristiana è radicale, eppure lo scossone che
Saramago ha inferto può essere salutare per ripensare in modo più autentico la stessa visione
antitetica tradizionale. La rilettura speculare e, quindi, capovolta del messaggio cristiano da parte di
Saramago può essere una spina nel fianco di una fede devozionale, consolatoria, sonnolenta. Il
pensiero corre spontaneamente a un giudizio di Pierre Reverdy, il poeta francese convertito: «Ci
sono atei di un’asprezza feroce che, tutto sommato, s’interessano di Dio molto di più di certi
credenti frivoli e leggeri».
E Saramago, ateo grazie a Dio (per usare la famosa battuta di Buñuel), ha lasciato anche un potente
testo sulla redenzione, Cecità del 1995. Ancora una volta è il Vangelo ad essere la sostanza che
alimenta la riflessione: «Siamo ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono» (si
leggano Matteo 13,10-15 e Giovanni 9,39-41). Come ha dimostrato nel suo splendido Rifare la
Bibbia (Mulino 2021) Piero Boitani, Saramago è da collocare nelle «ri-Scritture» bibliche letterarie,
pur secondo una stesura ribaltata. La finale di Cecità è, infatti, segnata da un fremito di
trascendenza salvifica: il vecchio dalla benda nera, che nella tinozza - simile alla piscina di Siloe del
cieco nato evangelico - è stato lasciato solo a lavarsi, sente una mano che dalla schiena inizia a
detergerlo e a purificarlo.
Poco è lo spazio disponibile per Kerouac, agli occhi di molti un hostis libertario, la cui spiritualità è
stata invece mirabilmente fatta emergere da Antonio Spadaro, in un capitolo del suo saggio Nelle
vene dell’America (Jaca Book 2013), sotto il pietrisco della Beat generation. All’intervistatore
televisivo che gli chiedeva: «Che cosa stai cercando?», egli aveva risposto senza esitazione:
«Aspetto che Dio mi riveli il suo volto». Sono i suoi Diari a confermarlo, soprattutto nella sezione
Salmi (pubblicati da Mondadori nel 2006 con una paradossale gaffe nel titolo stesso col nome
dell’autore Kerouack!). Ma il filo della sua vita è nettamente segnato dall’origine cattolica. Non
potendo inseguirne il percorso sotterraneo, basterà solo qualche evocazione, lasciando tra parentesi
quell’incessante inquietudine nella ricerca che pervade in modo carsico il suo capolavoro Sulla
strada.
Pochi, infatti, penserebbero che le frasi che ora allineeremo siano uscite dalla penna di una figura
così provocatoria e anomala. «Se Gesù sedesse alla mia scrivania questa notte, guardando fuori
dalla finestra… Soltanto lui conosce la risposta definitiva… Tutto ciò su cui scrivo è Gesù… Gesù,
la tua è l’unica risposta per tutti gli esseri viventi… Egli è stato il primo e forse l’ultimo a
riconoscere che affrontare il mistero ultimo della vita è l’unica attività importante a questo
mondo… Dio, devo vedere il tuo volto questa mattina, il tuo volto attraverso i vetri polverosi della
finestra, devo sentire la tua voce sopra il clangore della metropoli… Grazie per le visioni che Tu mi
hai dato, per Te; e tutto è per Te; grazie, o mio Signore, per questo mondo e per Te. Riempi il mio
cuore del Tuo spirito per sempre».
Poco prima della sua morte, avvenuta il 21 ottobre 1969, in un’intervista al «New York Times»,
aveva dichiarato: «I’m not a beatnik. I’m a Catholic», un’identità mistica sebbene «strana, solitaria
e pazza». E il suo ultimo Salmo invocava: «Keep my flesh in Thee everlasting», mantieni la mia
carne nella tua eternità. In sintesi, era la fede cristiana nell’Incarnazione che unisce infinito/eterno e
carne/umanità.