Enzo Bianchi "L’importanza di un fiore"
di ENZO BIANCHI
dal sito del Monastero di Bose
L' homo sapiens è il primo e l'unico animale che seppellisce i suoi morti, da circa
duecentocinquantamila anni anni. Non si può trattenere un fremito di commozione al vedere una
sepoltura preistorica nella quale ciò che resta, lo scheletro, è composto in posizione fetale, quella
assunta nel ventre materno prima della nascita; a volte è abbracciato con un altro partner in un
delicato connubio; spesso è circondato da fiori, cibi o utensili.
Oggi, dopo molte migliaia di anni, sentiamo ancora il bisogno di pensare ai nostri morti. Di fatto,
mentre viviamo il lutto per la loro perdita, il pensiero è continuo, ossessivo, poi pian piano si fa meno
frequente. Eppure sentiamo il bisogno, almeno in questi giorni autunnali, di rinnovare il ricordo, la
gratitudine, di riconoscere il debito nei loro confronti, accompagnando la loro memoria con doni, fiori
e lumi. Ciò avviene in una profonda comunione con la natura: gli alberi ingialliscono e lasciano cadere
le foglie, la notte sopraggiunge prima, le ombre si allungano. Sembrerebbe che anche la natura si
prepari a un lutto: sono i giorni dei morti.
Va però detto che questa memoria è sempre meno sentita, non è stata trasmessa alle nuove
generazioni come necessario legame con chi li ha preceduti. Non si è trasmesso loro che a ciascun
essere umano spetta continuare una storia che lo precede, lo sorpassa e lo attraversa: non possiamo
dimenticare il passato e ciò che esso ci ha lasciato come compito da proseguire nella natura, nella
vita, nella cultura, nella società, cioè nell'umanità. La nostra società non solo ha rimosso la morte,
tentando ossessivamente di contemplare le icone della giovinezza, ma purtroppo rimuove anche i
morti, li dimentica, non sente più alcun legame con essi. Hanno vissuto accanto a noi, le nostre vite
si sono incrociate e sostenute ma, una volta che hanno lasciato questo mondo, si è affievolito il
sentimento della loro mancanza e sono come svaniti dai nostri pensieri.
Secondo la tradizione ebraico-cristiana il seppellimento è un atto importante, soprattutto per quelli
che restano. Non solo perché prendano coscienza concreta dell'implacabile ritorno alla terra, a
madre terra da cui siamo stati tratti, ma perché la tomba è sempre un memoriale, un segno di un
corpo che ha vissuto, amato, sofferto, lavorato, intrecciato relazioni, e dunque merita un
riconoscimento. Anche un fiore, una volta all'anno, nel giorno dei morti, può essere eloquente per
rinnovare un legame, per pensare ai morti e quindi anche ai mortali.
È significativo che la violazione delle tombe riguardi spesso quelle dei cimiteri ebraici. Ciò
testimonia che l'odio cieco vuole non solo il genocidio ma anche la distruzione dei segni di una
presenza; vuole che regnino la scomparsa e la dimenticanza. Un nemico morto non è più un nemico,
ma chi è odiato senza ragione agli occhi dei suoi persecutori deve non solo morire ma anche
scomparire. Al contrario, la pietà per i morti nutre la misericordia per i vivi.