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Enzo Bianchi La civiltà comincia dividendo il cibo

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Parla di pane e rammenta le sberle. «Quanti ceffoni ho ricevuto da bambino per aver capovolto la pagnotta sul tavolo oppure, una volta spezzata, per non averla tenuta davanti a me in modo corretto». Enzo Bianchi, 72 anni, priore della comunità di Bose, riordina in silenzio ricordi lontani. «Dopo la guerra», confida, «ho conosciuto tempi di autentica penuria. L’educazione che ho ricevuto mi ha portato a venerare soprattutto il pane».
Da lì discendono modi di pensare e stili di vita, assicura il monaco che è anche scrittore (suoi, tra gli altri, Il pane di ieri e Spezzare il pane, entrambi pubblicati da Einaudi). «Non a caso l’inizio della cultura si registra nello spazio del mangiare. Non a caso il linguaggio nasce proprio quando attorno a una pietra si trovano uomini e donne determinati a nutrirsi insieme, smettendola di pascersi da soli, come bestie. E non a caso garantire il cibo agli altri misura il grado di relazione tra le persone, è un esempio concreto di fraternità».
«Dar da mangiare agli affamati non è solo in testa alla lista delle opere di misericordia corporali», prosegue Bianchi: «È anche la prima azione che Gesù descrive nel giudizio finale collocandola in cima ai gesti che garantiscono la salvezza. Dal cibo dipende la vita dell’ uomo. Quindi non dare il cibo a qualcuno o far finta di non vedere quando qualcuno non ha cibo di fatto è comportarsi da assassini, perché è permettere la morte del fratello. Il cibo è tale quando è condiviso, altrimenti è veleno per chi se lo accaparra e morte per chi non ce l’ha».
«Gli alimenti sono a nostro servizio e sono buoni, ma di fronte a questi doni della terra e del lavoro dell’uomo, sta la nostra responsabilità. Sappiamo rispettarli o li buttiamo facilmente, come le statistiche attestano che avviene, nel Nord Italia, per il 30 per cento del cibo conservato nei nostri frigoriferi e nelle nostre dispense? Sappiamo vedere negli alimenti la fatica della terra che li produce e la fatica umana necessaria perché possano arrivare sulla nostra tavola? Sappiamo trarre le conseguenze del fatto che il cibo è destinato a tutti e che invece molti esseri umani ne sono privati fino alla fame? Si tratta di un miliardo di persone su sette miliardi: uomini, donne e bambini denutriti, preda della debolezza e delle malattie, perché noi, loro simili più ricchi, li accaparriamo per noi stessi, ingozzandoci fino a diventare bulimici e obesi, e li neghiamo a loro».
La prima opera di misericordia corporale incrocia il tema della giustizia. «Omnia sunt communia, tutto è di tutti: questa affermazione, che risale ai Padri della Chiesa, è stata la bandiera della rivoluzione di Thomas Müntzer (1489-1525), la “rivoluzione dei contadini”. Dal ’68 in poi appare come segno scritto lasciato da manifestanti che protestano».
«In verità», precisa Enzo Bianchi, «noi troviamo questo preciso concetto nel capitolo 69 della Costituzione “Gaudium et spes” del concilio Vaticano II: “L’uomo, usando dei beni, deve considerare le cose che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni. Il Concilio richiama urgentemente tutti affinché, memori della sentenza dei padri (“Da’ da mangiare a colui che è moribondo per fame, perché se non gli avrai dato da mangiare, lo avrai ucciso”), realmente mettano a disposizione e impieghino utilmente i propri beni, ciascuno secondo le proprie risorse, specialmente fornendo ai singoli e ai popoli i mezzi con cui essi possano provvedere a sé stessi e svilupparsi”».
«Il cibo, insomma, va necessariamente condiviso», conclude Bianchi. «La realtà, invece, è ben diversa,il 20 per cento della popolazione possiede l’86 per cento della ricchezza mondiale. La diseguaglianza planetaria, a partire dall’ingiusta ripartizione del cibo, dovrebbe farci provare vergogna. Purtroppo, negli ultimi 25 anni si sono imposti “dogmi economici” che favoriscono chi ha già molto e aumentano le sperequazioni. L’ha ricordato papa Francesco nel Messaggio inviato il 7 febbraio scorso ai partecipanti all’incontro Le idee dell’Expo: “C’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini del cibo sono davanti ai nostri occhi”. La conversione cui siamo chiamati in questo anno giubilare non può prescindere da questo».

ENZO BIANCHI: «LA CIVILTÀ COMINCIA SE DIVIDIAMO TRA NOI IL CIBO»

02/01/2016  «Garantire il pane agli altri», dice il priore di Bose, «misura le relazioni e il grado di fraternità tra le persone»
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