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Michele Badino L'immensità Interiore: Bose

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L'immensità Interiore: Il Monastero Di Bose 
Una lettera da una Comunità in cammino 
Michele Badino 

Il monastero, sorto negli anni '60 del Novecento da una cascina abbandonata, si è dilatato in corti aperte che sono segno di accoglienza. Gli spazi, le pietre, le architetture esprimono uno stile di vita scandito dai rintocchi delle campane. Non solo un luogo, ma un tempo in cui lavoro e preghiera hanno il respiro della pace. 
Ringraziamo Michele Badino, monaco di Bose e architetto, che in questa lettera parla del "viaggio" nel luogo e nel tempo del monastero.

Questo articolo si trova su Thema (Rivista dei Beni Culturali Ecclesiastici) numero 3 del 2014.



Caro Direttore, 
rispondo alla  Sua gentile richiesta di scrivere alcune  riflessioni  sul tema  dello  spazio sacralizzato in  riferimento  alla  Comunità monastica di Bose. Mi limiterò a qualche appunto, quasi fosse un taccuino di viaggio, con alcune impressioni e considerazioni scaturite, sia da letture, sia dal vivere quotidianamente gli spazi del monastero. Svolgere  il  tema  in  modo  più  esaustivo richiederebbe ben altro spazio e competenze. 
Comincio il viaggio riportando un brano da una lettera di Romano Guardini:

Avevo risalito il cammino da Varenna a Perledo, poi me n'ero allontanato e mi ero diretto verso un erto pendio coperto di grandi alberi, un castagneto. Che poteva mai essere quel luogo, per chi era abituato agli alberi e alle foreste della Germania? Certo non un bosco. Gli alberi distavano una ventina di passi gli uni dagli altri. I rami di un albero a mala pena toccavano quelli degli altri. Non c'era sottobosco. Il suolo era pulito e i tronchi si ergevano nella luce. Le loro fronde non formavano una copertura continua, l'ombra non dominava  da  nessuna  parte.  Ogni  ramo  restava libero, fino alle sue più sottili estremità, ogni foglia vicina  alle  altre  conservava  la propria  forma  e  la propria identità (…) Il sole penetrava ovunque. C'era ombra, ma ciononostante tutto era pieno di luce. Non c'era nulla di quella misteriosa oscurità tipica delle foreste del Nord: un'ombra leggera, piena di sole, il sole  dovunque,  ma  come smorzato  da  un  velo  di dolcezza (…) Doveva essere proprio così il Lucus degli antichi, il “bosco sacro” (1).

Vi è una sacralità del luogo che è un dato creazionale, insito nella chiamata all'esistenza e  nella conferma  della  bontà  di  tale opera, poeticamente  descritto  all'inizio  della  Bibbia (cfr. Gen 1-31). È eloquente il dialogo tra Dio e Mosè nell'episodio del roveto ardente: “Disse Dio a Mosè: "«Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!»” (Es 3,5).
Accade così per ogni posto in cui sorge un luogo sacro, ma in particolare la fondazione di un monastero  in  un  determinato luogo  è nella  tradizione  spesso  legata  a  un mandato divino, a una apparizione, a un ex-voto, che rendono sacra quell'area. Nel caso del nostro monastero, forse tale dato può essere riferito a una presenza quasi millenaria di fede, narrata eloquentemente dalla pieve romanica di San Secondo.
Al contempo, però, una presenza di fede può rendere un determinato luogo “altro”.
Su di una collina, nei pressi di Biella, un gruppo di cristiani di diversa confessione ha occupato, da due anni,  le  poche  casupole  lasciate vuote  dal  piccolo nucleo di abitanti migrati in città. Sono case per modo di dire: il vento fischia tra le fessure e la nebbia che le avvolge sembra quasi dipanarle e portarsele via. Non c'è nemmeno la luce elettrica. C'è la fede paradossale di  questi  amici  che  si propongono di  preparare, in assoluta  povertà,  il  cristianesimo  di  domani  … Ho goduto  di  aver chiuso  così  “gli  anni  sessanta”,  il decennio del Concilio … Ho avuto l'impressione (ma non è la prima volta) che il cristianesimo sia di nuovo sul punto in cui gli si aprono dinanzi tutte le possibilità … Là dove Dio non trova la fede, anche gli occhi degli uomini tra poco non vedranno più niente. Amen! (2).

Possiamo trascrivere quindi come prima nota sul nostro taccuino:

1.  Il sacro, quindi anche i luoghi e lo spazio fisico  e  naturale,  è insito  nella  chiamata all'esistenza, è insito nella creazione. Occorre però uno sguardo capace di coglierne le trame originali, magari non evidenti ma profonde ed eloquenti.
Un  secondo  appunto  di  viaggio  ci  è  dato  da quella che potremmo chiamare “maieutica del luogo”:  ovvero  un  sorta  di  ri-creazione  che avviene  attraverso  l'opera  antropica  che interviene sulla natura e ne riplasma porzioni ridefinendone  coordinate  sia spaziali  sia conoscitive.
L'architettura  fonda  la  sua  ricerca  più  nobile sulla domanda di sacro delle comunità che va servendo (…) Dove questo lavorio dura secoli e occupa le migliori menti ed energie, il paesaggio si ripolarizza,  ritrova  una  rete  di  punti  di riferimento, non necessitati dagli eventi di un rapporto con il sacro incontrollabile e alieno, ma pianificati,  integrati  nel  sistema  dei  segni dell'insediamento, parte  non  trascurabile  del patrimonio che si trasmette nelle generazioni: nel paesaggio culturale il senso del sacro si fa senso della storia (3).

2. Ri-creazione, ovvero ridare alla creazione la bellezza. Cinquant'anni  di  lavoro  dei fratelli  e delle sorelle  della Comunità monastica  di  Bose  portano  al  risultato odierno: un  borgo della Serra morenica che  diviene  monastero  in cui  in  ogni angolo la ricerca, mai conclusa, è quella di ridare spazio  alla  bellezza,  liberarla  dalle superfetazioni  di cui  spesso noi  umani intasiamo spazi e edifici.
Il terzo passo è la fedeltà a un dato ricevuto, che si  cerca  di  vivere, compiendo  con  umiltà  e fedeltà il lavoro di conoscere un luogo, chi lo ha abitato, chi vi ha lavorato, sofferto e amato, è un esercizio che potremmo chiamare di “lettura del luogo”: “La lettura è lo spazio prodotto da quella pratica  del  luogo  che  costituisce  un sistema di segni, cioè un racconto” (4).

La collina della Serra morenica su cui si adagia il borgo di Bose ha una storia di preghiera. 
La chiesa romanica di San Secondo e le tante altre  chiese romaniche della Serra  ne  sono memoria e testimoni. Essere fedeli a tale storia è  un  tratto  della  vita  monastica,  in  cui  ogni giorno si ricomincia, compiendo gli stessi gesti scanditi  dal  suono  della campana  che plasma al ritmo della preghiera lo scorrere del tempo.

È  un'immensità  interiore  a  conferire  il  vero significato  a  certe espressioni  riguardanti  il mondo che  si  offre  ai  nostri  occhi. Tale immensità nasce da un insieme di impressioni davvero indipendenti dalle informazioni  del geografo (5). 

Lo  spazio  sacro  per  creazione  è confermato  sacro  dal vivere  il  tempo come ringraziamento. Le pietre stesse che costruiscono  gli  edifici  divengono  testimoni eloquenti  e narranti la fedeltà  e  la perseveranza. “Il sacro non si abita, (…) è lo spazio sacro stesso uno spazio di confine, di limen, una sorta di affaccio, dal quale per un attimo  si  intravvedono  talvolta frammenti di un'altra dimensione e  che  non  si  può attraversare facilmente avanti e indietro” (6).

3. Contemplazione della creazione e preghiera divengono pietre che parlano, narrazione di una storia e di una presenza nella quale lavoro e  preghiera  divengono  espressione quotidiana della vita del monastero e della sua edificazione e mutazione continua, che aprono una finestra sull'orizzonte (7). 
Più che le parole, la sosta all'interno della chiesa del monastero, o della cappellina degli inizi o anche solo  nei  cortili  contemplando  le montagne  fa  percepire  come  la  pace, dimensione  interiore, può essere  trasmessa anche attraverso coordinate fisiche, da come gli spazi sono configurati e orientati a questa pace.

La quarta e ultima nota del nostro taccuino è la comunità. Ovvero come la vita comunitaria, con la quotidianità  e  il  lavoro  dei  fratelli e delle sorelle, divenga luogo in cui lo spazio fisico, lo  spazio umano  si  trasformano  e plasmano  vicendevolmente, diventano sacri.
L'altro, il fratello e la sorella divengono il luogo in  cui  riconoscere una  presenza,  scoprirla, riscoprirla soprattutto quando non riesco più a coglierla.
Lo spazio in cui la comunità vive diviene spazio in cui accogliere chi ci visita, e riconoscere in questa visita una Presenza, fare in modo che possa fermarsi, sostare e rinfrancarsi (8).
La vita comunitaria è un cammino che è attesa, attesa di una trasfigurazione dell'umanità e del creato in cieli e terra nuovi descritti nel libro dell'Apocalisse. 
La  configurazione  fisica  degli  spazi architettonici  del monastero  di  Bose cerca  di esprimere tale attesa:  tutto  si articola intorno a cortili, memoria del chiostro e al  contempo  della corte  delle cascine piemontesi. Ma tali corti mantengono un lato aperto,  non  sono  chiuse  in  sé stesse,  anche fisicamente,  manca un lato:  vivono un'incompiutezza. Anche il luogo attende.
Il luogo è sacro se è capace di attesa, di Colui (il Santo)  che  porterà in  pienezza  il  dono  della bellezza  e  armonia  smarrito  nel giardino dell'Eden.

4.  Comunità  e  trasfigurazione,  o  meglio trasfigurazione della comunità.

Nel salutarLa rivolgo a Lei e ai suoi lettori l'invito a venire nel nostro monastero, percorrerne gli spazi,  sostare  nei  diversi  luoghi, ascoltare  il silenzio. 
Forse  tale  sosta  potrà  essere  di  aiuto  a continuare o meglio approfondire queste poche note sul tema dello spazio sacro o magari anche solo a fermarsi per un'ora e sentire la nostalgia del profumo della pace che ogni essere umano ricerca.
fr. Michele Badino
monaco e architetto
NOTE
(1) Romano Guardini, Lettere dal lago di Como, trad. di Giulietta Basso, Morcelliana, Brescia 1993.
(2)  Ernesto  Balducci,  Diario  dell'esodo  1960/1970, Vallecchi, Firenze 1971, pp. 231-232.
(3)  Paolo  Castelnovi,  Il  senso  (del  sacro)  del paesaggio, relazione  al  convegno  internazionale Paesaggio e sacralità (Sacra di S. Michele, Torino 13 settembre 2002).
(4) Michel de Certeau, L'invenzione del quotidiano, trad. di Mario Baccianini, Lavoro, Roma 2010, p. 173.
(5) Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, trad. di Ettore Catalano, Dedalo, Bari 2006, p. 207
(6) Paolo Castelnovi, op. cit.
(7)  Può  essere  interessante  la  lettura  di  Fernand Pouillon, Les Pierres sauvages (Seuil, Paris 2008), che  in  forma  di  romanzo narra  la  costruzione dell'abbazia di Thoronet.
(8)  Emblematica  è  l'ospitalità  di  Abramo  ai messaggeri di Dio alle querce di Mamre, narrata nel libro della Genesi al capitolo 18.

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