Antonella Casiraghi Promuovere relazioni autentiche
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SORELLA  ANTONELLA CASIRAGHI, responsabile delle monache della comunità di  Bose,  ci  ha  esposto  con  intensità  e  generosità  la propria  relazione  dal  titolo:  “Promuovere  relazioni autentiche:  sapienza  biblica  ed  esperienza  di  vita”. 
Nel suo  intervento  sorella  Antonella  ha  tenuto  insieme  la sua  densa  esperienza  prima  di  foresteraria  nella  sua comunità e quindi di superiore delle consorelle, insieme all’assidua  frequentazione  delle  Scritture  che  nello  stile della  sua  comunità  individua  nella  Sacra  Scrittura  la verità antropologica per l’uomo d’oggi. 
Secondo sorella Antonella, che ci ha stimolato con un discorso da adulti per  persone mature, la vita monastica deve quotidianamente rispondere  alla  logica  della  ricerca  della  felicità;  ciò significa che chi decide di vivere la vita monastica  vuole farlo  perché  ha  riconosciuto  che  in  questo  stile  di  vita incontra la propria felicità, cioè una pienezza di vita che si realizza nella comunione con altri che stanno alla sequela di  Cristo  perché  in  questo  cammino  hanno  trovato  il loro tesoro. Se manca la percezione della propria felicità nella vita che si sta intraprendendo è necessario fare una revisione  della  scelta,  facendosi  aiutare  a  comprendere quali siano gli impedimenti alla pienezza desiderata. Sorella  Antonella  ha  centrato  la  sua  relazione  sulla buona  comunicazione  come  fondamento  per  relazioni fraterne  e  positive.
Il  fondamento  teologico  della  sua impostazione del problema consiste nella constatazione che la nostra fede si basa sull’ascolto della Parola di Dio.  È Dio che per primo ha cercato e ha parlato all’uomo: a noi, quindi, sta di ascoltare la Sua parola e di rispondere conseguentemente. 
Lo  sviluppo  del  discorso  di  sorella Antonella si è articolato intorno a cinque punti: la Parola; l’ascolto; la comunicazione; gli affetti e le emozioni; verso la maturità affettiva. 
Riguardo alla Parola, interessante è stata la proposta di  collocare  la  parola  di  Dio  in  parallelo  alla  parola che  i  fratelli  si  scambiano  tra  loro  nella  liturgia,  nella  ricreazione  e  nel  momento  della  professione  solenne.  Per  sorella  Antonella,  la liturgia è un momento eccellente di verifica della qualità della  vita  di  una  comunità  monastica  e  della  vita  del monaco  nella  sua  comunità,  perché  la  liturgia  pone  la persona  in  uno  spazio  di  alterità,  in  cui  deve  “esodare” dal proprio mondo psichico per accedere all’oggettività del mondo di Dio che si manifesta nella Parola ascoltata e  cantata  e  nel  silenzio  di  gesti  significanti  il  Sacro. La ricreazione  è,  invece,  un  momento  rivelatore  perché  a differenza di quello liturgico pone ciascuno nel “vuoto” di una comunicazione libera, non definita in forme e tempi prestabiliti, in cui la soggettività di ciascuno è sollecitata e  la  dimensione  comunicativa  informale  è  prevalente.  Infine,  la  Professione  solenne  è  decisa  da  una  parola che  esprime  un  impegno definitivo  di  fronte  ai  fratelli, una parola quindi che deve essere limpida, responsabile,  pubblica,  vera.  Tutto  il  contrario  della  mormorazione, cioè di quella mezza parola che si nutre di risentimento e  insofferenza  e  che  non  ha  il  coraggio  di  dichiararsi.  La  mormorazione,  quindi,  come  male  che  attraversa  le comunità in maniera infantile. 
A proposito dell’Ascolto, sorella Antonella, ricorrendo alla  Parola  biblica  nel  Primo  Libro  dei  Re  in  cui  il  re Salomone chiede a Dio un cuore capace di discernimento, e facendo riferimento alla sua esperienza di foresteraria, ci  ha  ricordato  come  la  capacità  di  ascolto  esprime  un cuore capace di solidarietà e di compassione, di lasciare cioè che l’altro si riveli a noi per quello che è e che possa trovare in noi un luogo di accoglienza vera. 
Ciò  comporta  una  profonda  ascesi  di  sé,  che approfondisce  la  comunicazione  (terzo  punto)  in  una parola  vigilante,  prudente,  non  giudicante,  ma  anche in una corporeità purificata dalle stimolazioni sensoriali del piacere o del disgusto per evitare di giudicare l’altro a  partire  da  una  superficiale  sensazione.  L’ascesi  della comunicazione,  quindi,  è  un  vero  e  proprio  esercizio quotidiano  che  trova  in  Cristo  il  centro  ordinatore.  Sull’esempio  di  Cristo  occorre  imparare  a  comunicare con quella parresia (= franchezza) di cui Egli è stato ed è nostro maestro. 
Parola ed Affetti ed Emozioni sono collegate. Per delle  buone  relazioni  fraterne,  la  castità  è  il  denominatore comune che accomuna affetti, emozioni e parole, perché comporta  la  capacità  di  accettare  i  propri  limiti  e  di  incontrare i limiti dell’altro nella discrezione e nella vigilanza sulle  emozioni  fondamentali,  sempre  potenzialmente presenti in ciascuno di noi (la collera, la tristezza, la gioia e la paura). Per orientare le relazioni affettive verso una castità  feconda  occorre  compiere  tre  rinunce:  la  prima, ad  un  modello  di  relazioni  in  senso  fusionale,  affinché si  imparino  a  vivere  relazioni  improntate  alla  libertà;  la seconda, ad un modello di relazioni che cerca un mondo perfetto,  affinché  si  imparino  a  vivere  le  tensioni,  le separazioni  e  i  lutti  che  fanno  parte  inevitabilmente della  vita;  la  terza,  infine,  ad  un  modello  incentrato sull’onnipotenza,  affinché  si  imparino  a  riconoscere  le proprie  ombre.    Perciò,  secondo  sorella  Antonella,  il celibato per il Regno è davvero uno spazio di libertà del desiderio,  che  purifica  il  cuore  da  pretese  impossibili  e guastatrici di relazioni felici. Sorella  Antonella  ha  infine  concluso  il  proprio intervento  appassionato  con  il  punto  intitolato:  “Verso una  maturità  affettiva”.  La  maturità  è  l’orizzonte  verso cui si deve muovere il nostro cammino all’interno della comunità  monastica  nella  quale  si  è  entrati.  Questo cammino deve portare ad accrescere la propria capacità di amare, perché è solo nell’amare e nel lasciarsi amare che  si  potenzia  la  vita.  Un  amore  che  è  carità  perché comprende  che  l’altro  ha  un  bisogno  diverso  dal mio,  perché  è  coraggio  che  si  esprime  in  una  libertà consapevole delle scelte che compie.
(tratto dalla Lettera di Avvento 2014 del Monastero di Dumenza)
