Manicardi - 10 febbraio 2013 V Tempo Ordinario
Fonte: monasterodibose
domenica 10 febbraio 2013
Anno C
Is 6,1-2.3-8; Sal 137; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11
Is 6,1-2.3-8; Sal 137; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11
L’esperienza dell’incontro con il Signore è al cuore del testo di Isaia (dove l’incontro avviene in un contesto liturgico) e della pagina evangelica (dove il contesto è la vita quotidiana).
Il momento della grande vicinanza con il Signore coincide con la presa di coscienza della propria distanza profonda da lui e del proprio peccato: è così per Isaia che accompagna la sua confessione di fede al riconoscimento della propria impurità (cf. Is 6,5); è così per Pietro che confessa il Signore e, contemporaneamente, riconosce di essere un peccatore. L’incontro con il Signore comporta un mutamento radicale dell’esistenza di Isaia e di Pietro che accolgono la missione che il Signore conferisce loro (“Eccomi, manda me”: Is 6,8; “D’ora in poi sarai pescatore di uomini”: Lc 5,10).
L’incontro con il Signore significa per Pietro una crisi, uno sconvolgimento della sua vita: da pescatore è chiamato a divenire pescatore di uomini. La crisi è un momento di verità nell’esistenza di un individuo e spesso è attraverso una crisi che Dio agisce sull’uomo. Questo racconto presenta l’inizio della sequela di Pietro, e lo presenta appunto come crisi. Questo è importante perché quando, più avanti nel cammino, Pietro conoscerà la crisi della sua sequela, questa crisi sarà il possibile re-inizio. E come l’inizio della vocazione di Pietro è segnato dall’obbedienza alla Parola (“sulla tua Parola getterò le reti”) del Signore (“Signore”), dal riconoscimento della sua distanza dal Signore (“allontanati da me”) e dalla confessione del suo peccato (“io sono un peccatore”), la crisi della sua vocazione e il re-inizio dopo il triplice rinnegamento sarà contrassegnato dagli stessi elementi: il ricordo della Parola (“Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto”: Lc 22,61) del Signore (“Il Signore, voltatosi, guardò Pietro”: Lc 22,61), la manifestazione della distanza dal Signore (“uscito”: Lc 22,62) e del suo peccato (“pianse amaramente”: Lc 22,62).
Pietro, accettando di gettare le reti in pieno giorno dopo non aver preso nulla durante un’intera nottata di pesca, abdica alla propria competenza, mette tra parentesi le proprie certezze (è di notte che si pesca) e sperimenta la fede come rischio: “È un bel rischio passare nel campo di Dio” (Clemente di Alessandria). La certezza invincibile della presenza del Signore porta Pietro a impegnare il suo futuro sulla promessa del Signore di divenire pescatore di uomini (lett.: “prenderai uomini viventi”) e diviene ingresso in una dimensione di incertezza e di assenza di umane sicurezze. A partire da ciò che è, un pescatore, Pietro è chiamato a divenire altro da ciò che è, pescatore di uomini. E questo fondandosi solamente sulla Parola del Signore: questo il bene inestimabile che resta a Pietro e a ogni credente anche a distanza di tempo dagli inizi del proprio cammino spirituale e da cui è sempre possibile ricominciare il cammino.
Pietro e i discepoli dovranno fare ciò che fa Gesù stesso: annunciare la Parola (cf. Lc 5,2; At 4,31; 8,14) e insegnare alle folle (cf. Lc 5,3; At 4,2; 28,31). Anzi, salito sulla barca dei pescatori che non hanno preso nulla, Gesù appare colui prende uomini con la sua parola. Il luogo del fallimento dei discepoli diviene il luogo che, abitato da Gesù, è fecondo di benedizione. Nel nostro testo viene abbozzata la nascita della comunità. L’altra barca viene in aiuto a quella di Pietro che è in difficoltà: nella comunità cristiana ci si aiuta, ci si sostiene, si riconosce il bisogno che uno ha dell’altro e allora il gruppo diviene una vera fraternità. Da soci (métokoi: Lc 5,7) i compagni di Pietro diventano membri di una koinonía (koinonoí: Lc 5,10).
Nel concreto riconoscimento del bisogno dell’altro, nella condivisione delle povertà e delle debolezze di ciascuno, nell’accettare di venirsi in aiuto reciprocamente, la chiesa si manifesta come luogo fraterno in cui ci si ama e si è amati. Lì viene sconfitto il rischio di deformare la chiesa in équipe di lavoro, in azienda, in pesante apparato burocratico: essa è, e deve rimanere, un corpo, un organismo vivente.
Il momento della grande vicinanza con il Signore coincide con la presa di coscienza della propria distanza profonda da lui e del proprio peccato: è così per Isaia che accompagna la sua confessione di fede al riconoscimento della propria impurità (cf. Is 6,5); è così per Pietro che confessa il Signore e, contemporaneamente, riconosce di essere un peccatore. L’incontro con il Signore comporta un mutamento radicale dell’esistenza di Isaia e di Pietro che accolgono la missione che il Signore conferisce loro (“Eccomi, manda me”: Is 6,8; “D’ora in poi sarai pescatore di uomini”: Lc 5,10).
L’incontro con il Signore significa per Pietro una crisi, uno sconvolgimento della sua vita: da pescatore è chiamato a divenire pescatore di uomini. La crisi è un momento di verità nell’esistenza di un individuo e spesso è attraverso una crisi che Dio agisce sull’uomo. Questo racconto presenta l’inizio della sequela di Pietro, e lo presenta appunto come crisi. Questo è importante perché quando, più avanti nel cammino, Pietro conoscerà la crisi della sua sequela, questa crisi sarà il possibile re-inizio. E come l’inizio della vocazione di Pietro è segnato dall’obbedienza alla Parola (“sulla tua Parola getterò le reti”) del Signore (“Signore”), dal riconoscimento della sua distanza dal Signore (“allontanati da me”) e dalla confessione del suo peccato (“io sono un peccatore”), la crisi della sua vocazione e il re-inizio dopo il triplice rinnegamento sarà contrassegnato dagli stessi elementi: il ricordo della Parola (“Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto”: Lc 22,61) del Signore (“Il Signore, voltatosi, guardò Pietro”: Lc 22,61), la manifestazione della distanza dal Signore (“uscito”: Lc 22,62) e del suo peccato (“pianse amaramente”: Lc 22,62).
Pietro, accettando di gettare le reti in pieno giorno dopo non aver preso nulla durante un’intera nottata di pesca, abdica alla propria competenza, mette tra parentesi le proprie certezze (è di notte che si pesca) e sperimenta la fede come rischio: “È un bel rischio passare nel campo di Dio” (Clemente di Alessandria). La certezza invincibile della presenza del Signore porta Pietro a impegnare il suo futuro sulla promessa del Signore di divenire pescatore di uomini (lett.: “prenderai uomini viventi”) e diviene ingresso in una dimensione di incertezza e di assenza di umane sicurezze. A partire da ciò che è, un pescatore, Pietro è chiamato a divenire altro da ciò che è, pescatore di uomini. E questo fondandosi solamente sulla Parola del Signore: questo il bene inestimabile che resta a Pietro e a ogni credente anche a distanza di tempo dagli inizi del proprio cammino spirituale e da cui è sempre possibile ricominciare il cammino.
Pietro e i discepoli dovranno fare ciò che fa Gesù stesso: annunciare la Parola (cf. Lc 5,2; At 4,31; 8,14) e insegnare alle folle (cf. Lc 5,3; At 4,2; 28,31). Anzi, salito sulla barca dei pescatori che non hanno preso nulla, Gesù appare colui prende uomini con la sua parola. Il luogo del fallimento dei discepoli diviene il luogo che, abitato da Gesù, è fecondo di benedizione. Nel nostro testo viene abbozzata la nascita della comunità. L’altra barca viene in aiuto a quella di Pietro che è in difficoltà: nella comunità cristiana ci si aiuta, ci si sostiene, si riconosce il bisogno che uno ha dell’altro e allora il gruppo diviene una vera fraternità. Da soci (métokoi: Lc 5,7) i compagni di Pietro diventano membri di una koinonía (koinonoí: Lc 5,10).
Nel concreto riconoscimento del bisogno dell’altro, nella condivisione delle povertà e delle debolezze di ciascuno, nell’accettare di venirsi in aiuto reciprocamente, la chiesa si manifesta come luogo fraterno in cui ci si ama e si è amati. Lì viene sconfitto il rischio di deformare la chiesa in équipe di lavoro, in azienda, in pesante apparato burocratico: essa è, e deve rimanere, un corpo, un organismo vivente.
LUCIANO MANICARDI