Bose: Bibbia e libertà (Jesus)
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A quarant'anni
dalla sua nascita
ufficiale, la Comunità
monastica di Bose
è cresciuta
e si è consolidata.
Ma senza perdere
lo spirito profetico
e la radicalità
evangelica degli inizi.
Un affresco
che raffigura
sant'Antonio Abate
dipinto sul muro
della vecchia cappella
della Comunità.
C'è una frase della tradizione
monastica che Enzo Bianchi ripete
spesso: «Oggi io ricomincio
». Il segreto di Bose è
forse qui:
nel mettersi in gioco
quotidianamente, nel non adagiarsi, perché
la vita monastica è appunto «vita», movimento,
cammino. Un invito incessante alla
conversione dello sguardo e del cuore. Nella
sequela dell'unico necessario, Gesù il Signore.
Chi tornasse dopo trent'anni in questa
frazione del Comune di Magnano, sulla Serra
morenica tra Ivrea e Biella, stenterebbe a riconoscere
la piccola comunità in cui circolavano
le parole del Concilio e la voce dello
Spirito suggeriva forme nuove di presenza,
una testimonianza radicale, senza compromissioni
mondane.
Alla cappella spoglia degli
inizi e alla casa per gli ospiti si sono aggiunti
una bella e grande chiesa, edifici per l'accoglienza
e l'ospitalità. E tra i visitatori non passano
più di mano in mano i ciclostilati dalla
copertina gialla con i detti dei Padri del deserto
o gli scritti della tradizione monastica, bensì
i libri bianchi – e sobriamente eleganti –
delle edizioni Qiqajon.
Eppure lo spirito è il
medesimo: se altre comunità nate negli stessi
anni sono cambiate in profondità, mettendo
in cantina il carisma degli inizi, se con gli
anni hanno barattato la profezia con la diplomazia,
non così a Bose. Ne è prova anche l'ultima
lettera agli amici per la Pentecoste di
quest'anno: un invito a perseverare nella speranza,
anche quando l'orizzonte è chiuso,
manca il respiro e la realtà ecclesiale è dominata
da «un grigiore che come nebbia autunnale
sembra avvolgere e intridere tutto».
Nel tempo della prova e della sofferenza, «in
un'epoca appiattita sull'immediato e sull'attualità
» e «che non ha più il coraggio di parlare
né di perseveranza né tanto meno di eternità
», i fratelli e le sorelle di Bose ricordano il
télos, il fine della vita cristiana: «L'incontro
con il Dio che viene». Come la sentinella di
Isaia, scrutano l'orizzonte alla ricerca dei primi
bagliori dell'alba e, a chi chiede quanto resti
della notte, rispondono: «Viene il mattino,
poi anche la notte; se volete domandare, domandate,
convertitevi, venite!» (Is 21,12).
Sentinelle: ecco il vero ruolo dei monaci.
Uomini e donne dalla vista lunga, capaci
– come la civetta che è il loro simbolo –
di vedere al di là della notte. E di coniugare
fedeltà e perseveranza, due virtù che, «nel
tempo frantumato e senza vincoli» di oggi,
«si configurano come una sfida per ogni essere
umano e, in particolare, per il cristiano
».
Fedeltà al Vangelo e alla tradizione monastica,
alla «grande nube di testimoni» –
Elia e Giovanni il Precursore, Antonio e i Padri
del deserto, Pacomio e Maria, Basilio e
Macrina, Benedetto e Scolastica, Francesco
e Chiara e tanti altri – cui fa riferimento Enzo
Bianchi nelle Tracce spirituali all'origine
della Regola di Bose. E perseveranza: nelle
scelte essenziali, in ciò che davvero conta,
sapendosi sbarazzare dell'accessorio e di
quanto ingombra il cammino.
Da queste
due virtù dipende anche la qualità delle relazioni
e l'attenzione all'altro, la capacità di
sondare i cuori e le menti.
Fin dall'inizio, Enzo Bianchi dice di essere
stato «abitato dalla convinzione che
ogni monaco sia innanzitutto un cristiano "generato" al monachesimo dal monachesimo
stesso»: non un cristiano speciale, ma
un semplice laico che in fedeltà al battesimo
si pone sulla scia degli ebbri di Dio e di
quei primi monaci che, in reazione alla pace
costantiniana, andavano nel deserto egiziano
muniti di bastone e di melote, il mantello
di pelle di pecora che serviva da unico indumento.
Perché, come diceva Antonio il
Grande, «i monaci possiedono solo due cose:
le sacre Scritture e la libertà».
A Bose le Sacre Scritture, studiate, indagate,
meditate, sono la bussola. E la libertà,
il tratto distintivo. Una libertà che si esprime
nell'esercizio di un'altra virtù dimenticata,
la «parresìa», il parlar chiaro e forte, senza
i veli delle convenienze, delle prudenze
ecclesiastiche o dell'ipocrisia.
Bose è insomma la testimonianza di
una vita «altra», paradossale, e di relazioni
nuove: una comunità mista e interconfessionale,
profezia di unità. Ma c'è un binomio
che forse la caratterizza meglio di altri. È il binomio
della tradizione monastica medievale
di cui parla padre Jean Leclercq nel suo
Amore per le lettere e desiderio di Dio, ampiamente
citato da Benedetto XVI nel discorso
agli intellettuali francesi il 12 settembre
2008: grammatica ed escatologia (accostamento
apparentemente incongruo tra due
realtà che poco hanno in comune).
Ma la
«grammatica», l'amore per lo studio, il lavoro
ben fatto, il rispetto delle regole, la ricerca
filologicamente accurata è ciò che contraddistingue
lo scriptorium di Bose: nelle
molteplici traduzioni dei Padri della Chiesa
o nelle altre imprese editoriali, dalle Regole
monastiche d'Occidente, per Einaudi, ai testi
su Maria nella collana dei Meridiani Mondadori
e al Libro dei testimoni, il martirologio
ecumenico pubblicato dalle edizioni San
Paolo. Senza dimenticare la nuova traduzione
del Salterio. E la Preghiera dei giorni che
permette ai tanti amici della Comunità di celebrare
le ore canoniche come parte di un
monastero invisibile che dal paesino del Piemonte
si estende all'intera Europa e oltre.
Perché Bose è anche questo: un monastero
senza mura, fatto di persone
che alla Comunità guardano come a
un riferimento sicuro, di amici che frequentano
i corsi biblici e spirituali o che aspettano
con impazienza la registrazione in cd delle
nuove conferenze, le lezioni di Enzo Bianchi
o di Luciano Manicardi, le letture bibliche
di Sabino Chialà o di Daniel Attinger, gli
interventi o le meditazioni di altri fratelli e
sorelle. Un monastero che con i convegni
annuali di spiritualità ortodossa getta un
ponte verso l'Oriente cristiano, eliminando
incomprensioni e pregiudizi nel dialogo ecumenico.
In quarant'anni di esistenza, Bose
ha intrecciato rapporti con numerosi monasteri
occidentali, con i grandi centri spirituali
dell'Ortodossia russa, ha ospitato vescovi,
teologi e monaci di ogni confessione, ponendosi
come luogo di uno scambio libero
e fecondo. Senza cedimenti new age, senza
cavalcare mode, ha proposto, nei libri del
priore (ma non solo), un'arte di vivere, una
saggezza dei giorni che parla al cuore anche
di molti non credenti e di uomini in ricerca,
musicisti e artisti di primo piano. Come il
compositore estone Arvo Pärt, o il pianista
Stefano Battaglia e il percussionista Michele
Rabbia che a Enzo Bianchi hanno dedicato
uno dei brani più belli di Pastorale (Ecm), il
loro ultimo disco. E poi la pratica della lectio
divina, del confronto quotidiano con le Scritture,
che Bose ha contribuito a rinnovare e
a diffondere in tutta la comunità cristiana.
Questo per la «grammatica». E l'escatologia?
Essa è «memoria del futuro
», tensione verso il non ancora, segno
di un desiderio che sarà colmato
nel Regno. Perché i monaci, più di altri,
sanno di abitare una dimora provvisoria, in
attesa della città definitiva. La loro non è fuga
mundi, ma ricerca, sequela: è quaerere
Deum, cercare Dio. Sovente Enzo Bianchi ricorda
le parole di Evagrio, il brillante diacono
che nel IV secolo da Costantinopoli scelse
la via del deserto, sulle tracce dei primi
anacoreti: «Monaco è colui che è separato
da tutti e unito a tutti».
La ricerca dell'unità
in sé stessi implica questo doppio movimento:
il ritrarsi in una cella e l'aprirsi alle dimensioni
del mondo. Coltivare il silenzio e la solitudine
come beni preziosi, amando profondamente
la compagnia degli uomini.
«Nella confusione dei tempi in cui
niente sembrava resistere, essi volevano fare
la cosa essenziale: impegnarsi per trovare
ciò che vale e permane sempre, trovare la
Vita stessa», ha detto Benedetto XVI degli
antichi monaci. Ed è così anche per Bose. Se
il nostro è tempo di nebbia, di grigiore e di
torpore spirituale, su questa collina del Piemonte
si gettano i semi di una stagione nuova,
di un rinnovamento che non si intravede
ancora, ma che verrà. Preparato silenziosamente
da quanti, come i fratelli e le sorelle
di Bose, testimoniano la novità del Vangelo
e l'intelligenza della fede.
Piero Pisarra
Fonte: jesus