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XXVI Domenica del T.O. (Angelo Casati)

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Ez 18, 25-28
Sal 24
Fil 2, 1-11
Mt 21, 28-32
Secondo alcuni codici molto importanti nella piccola parabola del Vangelo che questa sera abbiamo ascoltato, la successione è inversa: prima il figlio che dice "no" e fa "sì" e poi il figlio che dice "sì" e fa "no".
Questa trasposizione -dicono alcuni esegeti- è avvenuta, perché si è voluto identificare nei figli che "dicono sì e fanno no" gli ebrei, e nei figli che "dicono no ma fanno sì" i pagani. Ma la parabola di Gesù non è legata a queste distinzioni. Ha di mira invece un certo mondo religioso, una certa religiosità che può allignare in ogni esperienza religiosa, soprattutto nei rappresentanti dell'istituzione; non per nulla la parabola è rivolta ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo. Ci sono quelli che dicono no, ma fanno sì e Gesù esemplifica: per esempio gli esattori e le prostitute, che hanno provato pentimento alla predicazione del Battista.
Non dice Matteo che si sono convertiti, perché, a volte, è difficile cambiare totalmente la vita. Hanno però capito, qualcosa si è mosso dentro di loro. Hanno provato pentimento. Ed erano quelli del "no", del "no" a Dio. È come se Gesù ci dicesse: Andate adagio a condannare, a scandalizzarvi per le parole, per certi "no" detti a Dio. Guardate i fatti. Le parole sono sempre ambigue.
Decisivi sono i fatti. Noi, al contrario, gridiamo allo scandalo, per le parole, per i no. Mi passa davanti agli occhi un volto di donna, provata duramente, direi oltre ogni misura, dalla vita, alla vigilia di una prova straziante per la figlia e che mi diceva, piangendo: "Don Angelo, questo non deve succedere. Se succede questo, io chiudo con Dio".
Uno può scandalizzarsi. Io la guardavo e pensavo al figlio che dice "no" e poi fa "sì". Io al suo posto, il no a Dio, forse, lo avrei detto anche prima. Non fermarti alle parole, guarda i fatti, prima di condannare.
Ma veniamo al figlio che dice sì e fa no. È -voi mi capite- la vernice religiosa. Discorsi religiosi, proclamazioni verbali, l'uso continuo del nome di Dio, lo sbandieramento dell'appartenenza religiosa: uomini e donne del "sì" a Dio.
Dobbiamo stare in guardia. Succede questo uso, anzi questo abuso del nome di Dio.
Ricordate il capitolo 7° di Matteo: "Molti" -è scritto molti- "molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore. Non è nel tuo nome che abbiamo profetizzato, non è nel tuo nome che abbiamo cacciato demoni, non è nel tuo nome che abbiamo fatto miracoli?" La risposta: "Separatevi da me, voi che operate l'iniquità".
Vedete la schizofrenia: l'uso - l'abuso del nome di Dio - e l'operare l'ingiustizia: operatori d'iniquità!
Decisivo è l'operare secondo la giustizia.
Ma chiediamoci: perché succede questo scollamento tra il dire e il fare, questa dissociazione, questa schizofrenia?
Succede quando l'istituzione, un certo ambiente, un'appartenenza ci sclerotizzano, non siamo più aperti al cambiamento, siamo impermeabili. Può arrivare anche un Giovanni Battista, un Gesù di Nazaret. Li si vede e non ci si lascia scalfire.
Si lasciano scalfire invece esattori e prostitute. Perché? Perché dal paese della loro lontananza da Dio, hanno però la capacità di mettersi in discussione.
I principi dei sacerdoti invece e gli anziani si sentono del paese della vicinanza a Dio, vedono, ma non si mettono in discussione.
"È venuto a voi Giovanni... ma voi, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli".
"L'unica chance di salvezza sembra essere allora la capacità di ricredersi, questo coraggio di contraddirsi" (Alberto Mello), questa capacità di mettersi in discussione, capaci dunque di movimento.
Tanti allontanamenti dai nostri ambienti religiosi sono avvenuti anche per questo; e lo diceva un ragazzo l'altra sera all'Assemblea parrocchiale parlando dei suoi compagni che non credono: diceva che ai loro occhi i cattolici appaiono come gente sempre sicura di sé, incapaci di mettersi in discussione.
È grave questa sensazione di rigidità, di immobilismo che diamo a chi ci incontra.
E pensare che Gesù ci ha insegnato di metterci in discussione fino all'ultimo; la Bibbia ci insegna questo. Il credente dovrebbe testimoniare questa capacità sorprendente del cuore umano, di cambiamento, di rinnovamento.
Ezechiele oggi nel brano che abbiamo ascoltato ci ha insegnato una cosa bellissima: che se nella vita non sei capace di mutamenti, fai morire te stesso, al contrario se sai convertirti, se nella vita sai metterti in discussione, se sei capace di mutamenti, allora fai vivere te stesso.

Fonte: sullasoglia
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