La cappella Sistina del deserto (Rossella Fabiani - L'Osservatore Romano)
È stato definito la Cappella Sistina del deserto, e quando a usare questa immagine è Barbara Barich, docente di etnografia preistorica dell'Africa all'università La Sapienza di Roma, che notoriamente è parca di complimenti, si può essere sicuri che non è un'esagerazione. Oggetto di tale meraviglia è il Gilf Kebir (letteralmente, la grande barriera) un enorme bastione scolpito nell'arenaria che si incontra nel punto più meridionale dell'Egitto, ai confini con la Libia da un lato, e il Sudan dall'altro: una regione difficilmente accessibile in gran parte inesplorata e totalmente disabitata.
Ma nel passato le genti che provenivano dal Sahara spesso si sono trovate davanti questo grande sbarramento nel loro cammino verso l'acqua, il Nilo, che sin dai tempi più antichi rappresentò un richiamo vitale. Le valli dei suoi antichi corsi d'acqua (wadi) nascondono le tracce degli abitatori di allora: pietre lavorate, macine, pitture e graffiti.
Per questo il Gilf Kebir è una componente importante nel complesso sahariano di arte rupestre. Le scene rappresentate sono opera dei gruppi che si muovevano tra il Sahara e la Valle del Nilo e che svolsero un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle prime società pastorali nordafricane. Totalmente sconosciuto fino alle prime esplorazioni di figure leggendarie come il principe Khamal el Din Hussein nel 1926, seguite nel 1932 da quelle del leggendario conte Laszo Almàsy, dell'egiziano Hassenein Bey e poi, nel 1938, del cartografo Ralph Bagnold, l'intero territorio, con il più meridionale Jebel Auenat, è diventato famoso perché è stato percorso anche da altri esploratori che sono entrati nella storia: Patrick Clayton, Hans Rhotert e, tra gli italiani, Ardito Desio e il conte Ludovico di Caporiacco.
Furono questi gli autori che nella prima metà del secolo passato fecero conoscere, per la prima volta, al mondo intero lo straordinario patrimonio di arte rupestre del Gilf Kebir e del Jebel Auenat. Queste opere erano la testimonianza lasciata dalle popolazioni preistoriche che qui abitarono per millenni a partire dalle fasi più antiche dell'Olocene - l'epoca geologica in cui ci troviamo oggi e che ha avuto il suo inizio convenzionalmente circa 11.700 anni fa - fino a circa 4000 anni fa.
I primi scavi sistematici furono compiuti da Oliver Myers nel Gilf meridionale (nella regione di Wadi Bakt e Wadi Akhdar) nell'ambito della spedizione Bagnold-Myers-Winkler del 1937-1938. I risultati di Myers, fatti conoscere dal geologo americano William McHugh negli anni Settanta del secolo passato, furono poi ripresi dalle ricerche condotte nelle stesse aree dal gruppo di Colonia guidato da Rudolf Kuper. "Come risultato di queste indagini - dice la Barich - per quanto riguarda l'occupazione del territorio, si può affermare che, tra 8000 e 4000 prima di Cristo, la regione beneficiò di un clima favorevole, divenendo un punto d'incontro tra culture e, da ultimo, una vera area rifugio con l'avanzata del deserto".
Per l'interesse culturale del territorio e per preservare la peculiarità delle sue risorse faunistiche e botaniche, ma anche nella prospettiva di un incremento delle attività turistiche, tre anni fa, un decreto a firma del primo ministro egiziano ha creato l'area protetta del Parco Nazionale del Gilf Kebir (Gknp) che comprende le due principali strutture geomorfologiche dell'Egitto meridionale - il Gilf e il Jebel Auenat - e rappresenta una delle maggiori aree protette del mondo.
Valorizzare questo prezioso patrimonio attraverso la conservazione e il restauro del complesso d'arte rupestre dello Wadi Sura è uno degli impegni del Gknp. A questo scopo, la prima missione si è svolta nella seconda metà di marzo di quest'anno dopo che il Consiglio superiore delle antichità egiziane (Sca) ha attribuito al team italiano guidato dalla professoressa Barich, insieme all'archeologo Giulio Lucarini, la concessione ufficiale per l'intervento nel Gilf settentrionale e per il restauro delle grotte dello Wadi Sura.
La missione di valutazione dell'Italian Gilf Kebir Conservation Project è stata indirizzata verso i tre principali siti del Wadi Sura, a nord-ovest del Gilf Kebir, vale a dire la Grotta dei Nuotatori, la Grotta degli Arcieri e la magnifica Grotta Foggini, scoperta soltanto nel 2002.
Wadi Sura - che si trova sul versante occidentale del Gilf settentrionale - è un'ampia arteria lungo cui si svolge oggi il principale traffico di veicoli che raggiungono la regione, compreso quello dei clandestini nella loro strada verso la Libia. "Provenendo dal Cairo lungo la strada che passa attraverso le oasi di Bahariya e Farafra, a bordo di quattro fuoristrada - racconta Barbara Barich - abbiamo percorso il tratto da Dachla in due giorni di viaggio procedendo verso sud-ovest. Abbiamo superato Abu Ballas arrivando ai Mud Pans - i caratteristici depositi argillosi - al centro di un grande bacino un tempo colmato da laghi. Un primo campo notturno è stato montato non lontano dai Mud Pans; siamo poi entrati all'interno del Gilf settentrionale all'altezza della Grotta Al Qantara - chiamata anche Grotta Shaw - che costituisce l'unico punto di accesso al Gilf sul versante orientale ed è punto di comunicazione di due widian: Wadi Wassa e Wadi El Firaq".
Si dice che il nome Wadi Sura (valle delle immagini) sia stato dato a questa ampia vallata dallo stesso Almásy. I tre ripari si trovano a qualche decina di chilometri l'uno dall'altro.
La Grotta dei Nuotatori, la prima ad essere stata scoperta insieme alla più piccola Grotta degli Arcieri posta a poche decine di metri più a est, si apre in una grande formazione a forma di cupola modellata nell'arenaria.
"Il blocco si protende come un promontorio rispetto al fronte della falesia e tutt'intorno è circondato dal corso di un piccolo fiume oggi secco ma attivo nella fase umida dell'Olocene - continua la Barich - allora il promontorio roccioso in cui si aprono le due grotte doveva presentarsi quasi circondato dalle acque da cui esso emergeva con un effetto di grande suggestione per chi proveniva dal wadi principale".
La grotta si trova a fondo wadi e ha un ampio ingresso, largo quasi sedici metri, mentre la cavità è profonda soltanto otto metri con il pavimento coperto da un sottile deposito di sabbia. Le pitture sono ad altezza d'uomo sulla parete di fondo che mostra un avanzato stato di spaccatura e di disgregazione delle rocce.
"Parte delle immagini, purtroppo, è scomparsa, ma alcune porzioni sopravvivono e il nostro impegno è quello di salvare quanto rimane di questo complesso di grande significato" continua la studiosa. Il gruppo principale d'immagini è nella parte alta della parete mentre altre scene sono ancora visibili nell'area centrale dove si osservano anche tracce di segni e di incisioni vandaliche.
La scena principale ha due gruppi di soggetti: alcune figure maschili allineate con diversi danni superficiali, forse eseguite ab antiquo e, a un livello più alto, un ulteriore gruppo di figure che si muovono verso l'immagine di quella che, comunemente, è stata chiamata la "bestia".
In particolare si nota un personaggio di dimensioni maggiori, rappresentato nel classico stile di Wadi Sura, affiancato da un altro individuo stretto da bende, mentre in basso si osservano alcuni dei famosi "nuotatori" che hanno dato nome alla grotta. Questo gruppo di figure termina, più a destra, proprio con l'immagine della "bestia". Il contorno di quest'ultima è stato disegnato con un tratto rosso sottile, mentre l'interno è colorato in marrone. Sul corpo è stata disegnata successivamente una rete a trama sottile di colore bianco. Sopra ci sono altre figure le cui gambe sono sovrapposte al dorso della bestia.
A soli 40 metri di distanza, si trova la più piccola Grotta degli Arcieri, che ha un ingresso ampio 10 metri orientato a ovest-sudovest. Come nella Grotta dei Nuotatori, si entra nella cavità, alta 5 metri, direttamente dal fondo dello wadi. Soltanto una piccola porzione delle pitture originali è visibile e si estende su una superficie di quasi tre metri per uno. Nella scena si riconoscono alcune figure longilinee che imbracciano archi. Hanno arti sottili, mentre la testa, a causa della rottura della roccia, non è più visibile.
La presenza di varie figure di bovini, all'estremità opposta della parete, suggerisce la presenza di gruppi di pastori più che di cacciatori come invece gli archi farebbero supporre. "Le pitture superstiti - spiega la Barich - sono qui anche meno leggibili di quelle osservate nella Grotta dei Nuotatori e ciò è da attribuire alla presenza di una patina biancastra di efflorescenze saline e a depositi di polveri superficiali".
Il terzo sito, la Grotta Foggini, si trova alcuni chilometri più a ovest, su uno dei contrafforti che dal Gilf settentrionale degradano verso lo Wadi Sura. Attualmente l'ingresso alla grotta è sbarrato da uno spesso deposito di sabbia portato dal vento che copre ampia parte della parete che misura circa 18 metri in larghezza e 6 metri in altezza. La superficie di roccia tuttora visibile è interamente ricoperta da pitture e incisioni. "Ci troviamo di fronte a un sito davvero eccezionale che non è esagerato definire come la Cappella Sistina del deserto e che è stato decorato da generazioni e generazioni di artisti prima del suo abbandono a causa del cambiamento climatico. Questo riparo ha tramandato la testimonianza del comportamento simbolico e rituale delle popolazioni che in antico hanno abitato la regione. Per questo motivo rappresenta un documento straordinario dell'interazione di un gruppo sociale con il mutevole ambiente sahariano. Tra le numerose figure si possono isolare alcuni motivi iconografici più rappresentativi. Centinaia di immagini di mani, dipinte con la tecnica del negativo, sono concentrate nella parte sinistra della parete. Esse offrono una forte emozione perché suggeriscono la presenza di vere moltitudini che hanno visitato questo luogo. Si possono contare, poi, decine di figure maschili dipinte in posizione frontale e di profilo. Sono rappresentate nello stile che ha preso nome dallo Wadi Sura in cui si può notare la piccola testa rotonda e la forma schematica del corpo. Particolarmente interessanti sono le figure di alcuni nuotatori - il nome si deve ad Almàsy - dipinti in posizione orizzontale che sono il motivo più popolare dello Wadi Sura. Anche se non è sicuro che possano davvero rappresentare dei nuotatori, queste figure sono rivestite di un significato simbolico".
Un altro motivo molto noto nel repertorio di Wadi Sura è quello dei "mostri" o "bestie": figure ibride, con fattezze al tempo stesso umane e animali. Nella Grotta dei Nuotatori alcune recano sul corpo i segni di danneggiamenti antichi. "L'esatto significato di queste figure non è noto - ammette la studiosa - ma è intuibile la forte valenza simbolica che possiedono. Lo studioso Jean-Loic Le Quellec ha proposto una spiegazione di queste immagini, insieme a quelle dei nuotatori, facendo riferimento ai testi funerari egizi. Sulla base di queste letture, i nuotatori sarebbero i defunti che abitano nel mondo dei morti, chiamato Nun, l'oceano primordiale abitato da un animale mitico che divora quelle tra loro che sono malvage".
Molto rappresentato è anche il motivo dei danzatori che vengono dipinti con strisce di pittura bianca sul corpo. Oltre alle figure umane, sono raffigurati molti animali. Si tratta soprattutto di specie selvatiche - gazzelle, giraffe e struzzi - ci sono poi anche bovidi ma in piccola quantità. Pitture queste che si riferiscono soprattutto a una società di cacciatori.
Il grado di conservazione non è lo stesso per le tre grotte e quella dei Nuotatori si trova in condizioni davvero drammatiche.
"Il progetto del Parco Nazionale del Gilf Kebir appare come la scelta migliore per proteggere l'area dagli attacchi del turismo da fuoristrada. E la nostra sfida - conclude la Barich - dovrà essere quella di promuovere la consapevolezza del significato culturale di questi luoghi irriproducibili attraverso un incisivo lavoro di formazione e divulgazione".
Ma nel passato le genti che provenivano dal Sahara spesso si sono trovate davanti questo grande sbarramento nel loro cammino verso l'acqua, il Nilo, che sin dai tempi più antichi rappresentò un richiamo vitale. Le valli dei suoi antichi corsi d'acqua (wadi) nascondono le tracce degli abitatori di allora: pietre lavorate, macine, pitture e graffiti.
Per questo il Gilf Kebir è una componente importante nel complesso sahariano di arte rupestre. Le scene rappresentate sono opera dei gruppi che si muovevano tra il Sahara e la Valle del Nilo e che svolsero un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle prime società pastorali nordafricane. Totalmente sconosciuto fino alle prime esplorazioni di figure leggendarie come il principe Khamal el Din Hussein nel 1926, seguite nel 1932 da quelle del leggendario conte Laszo Almàsy, dell'egiziano Hassenein Bey e poi, nel 1938, del cartografo Ralph Bagnold, l'intero territorio, con il più meridionale Jebel Auenat, è diventato famoso perché è stato percorso anche da altri esploratori che sono entrati nella storia: Patrick Clayton, Hans Rhotert e, tra gli italiani, Ardito Desio e il conte Ludovico di Caporiacco.
Furono questi gli autori che nella prima metà del secolo passato fecero conoscere, per la prima volta, al mondo intero lo straordinario patrimonio di arte rupestre del Gilf Kebir e del Jebel Auenat. Queste opere erano la testimonianza lasciata dalle popolazioni preistoriche che qui abitarono per millenni a partire dalle fasi più antiche dell'Olocene - l'epoca geologica in cui ci troviamo oggi e che ha avuto il suo inizio convenzionalmente circa 11.700 anni fa - fino a circa 4000 anni fa.
I primi scavi sistematici furono compiuti da Oliver Myers nel Gilf meridionale (nella regione di Wadi Bakt e Wadi Akhdar) nell'ambito della spedizione Bagnold-Myers-Winkler del 1937-1938. I risultati di Myers, fatti conoscere dal geologo americano William McHugh negli anni Settanta del secolo passato, furono poi ripresi dalle ricerche condotte nelle stesse aree dal gruppo di Colonia guidato da Rudolf Kuper. "Come risultato di queste indagini - dice la Barich - per quanto riguarda l'occupazione del territorio, si può affermare che, tra 8000 e 4000 prima di Cristo, la regione beneficiò di un clima favorevole, divenendo un punto d'incontro tra culture e, da ultimo, una vera area rifugio con l'avanzata del deserto".
Per l'interesse culturale del territorio e per preservare la peculiarità delle sue risorse faunistiche e botaniche, ma anche nella prospettiva di un incremento delle attività turistiche, tre anni fa, un decreto a firma del primo ministro egiziano ha creato l'area protetta del Parco Nazionale del Gilf Kebir (Gknp) che comprende le due principali strutture geomorfologiche dell'Egitto meridionale - il Gilf e il Jebel Auenat - e rappresenta una delle maggiori aree protette del mondo.
Valorizzare questo prezioso patrimonio attraverso la conservazione e il restauro del complesso d'arte rupestre dello Wadi Sura è uno degli impegni del Gknp. A questo scopo, la prima missione si è svolta nella seconda metà di marzo di quest'anno dopo che il Consiglio superiore delle antichità egiziane (Sca) ha attribuito al team italiano guidato dalla professoressa Barich, insieme all'archeologo Giulio Lucarini, la concessione ufficiale per l'intervento nel Gilf settentrionale e per il restauro delle grotte dello Wadi Sura.
La missione di valutazione dell'Italian Gilf Kebir Conservation Project è stata indirizzata verso i tre principali siti del Wadi Sura, a nord-ovest del Gilf Kebir, vale a dire la Grotta dei Nuotatori, la Grotta degli Arcieri e la magnifica Grotta Foggini, scoperta soltanto nel 2002.
Wadi Sura - che si trova sul versante occidentale del Gilf settentrionale - è un'ampia arteria lungo cui si svolge oggi il principale traffico di veicoli che raggiungono la regione, compreso quello dei clandestini nella loro strada verso la Libia. "Provenendo dal Cairo lungo la strada che passa attraverso le oasi di Bahariya e Farafra, a bordo di quattro fuoristrada - racconta Barbara Barich - abbiamo percorso il tratto da Dachla in due giorni di viaggio procedendo verso sud-ovest. Abbiamo superato Abu Ballas arrivando ai Mud Pans - i caratteristici depositi argillosi - al centro di un grande bacino un tempo colmato da laghi. Un primo campo notturno è stato montato non lontano dai Mud Pans; siamo poi entrati all'interno del Gilf settentrionale all'altezza della Grotta Al Qantara - chiamata anche Grotta Shaw - che costituisce l'unico punto di accesso al Gilf sul versante orientale ed è punto di comunicazione di due widian: Wadi Wassa e Wadi El Firaq".
Si dice che il nome Wadi Sura (valle delle immagini) sia stato dato a questa ampia vallata dallo stesso Almásy. I tre ripari si trovano a qualche decina di chilometri l'uno dall'altro.
La Grotta dei Nuotatori, la prima ad essere stata scoperta insieme alla più piccola Grotta degli Arcieri posta a poche decine di metri più a est, si apre in una grande formazione a forma di cupola modellata nell'arenaria.
"Il blocco si protende come un promontorio rispetto al fronte della falesia e tutt'intorno è circondato dal corso di un piccolo fiume oggi secco ma attivo nella fase umida dell'Olocene - continua la Barich - allora il promontorio roccioso in cui si aprono le due grotte doveva presentarsi quasi circondato dalle acque da cui esso emergeva con un effetto di grande suggestione per chi proveniva dal wadi principale".
La grotta si trova a fondo wadi e ha un ampio ingresso, largo quasi sedici metri, mentre la cavità è profonda soltanto otto metri con il pavimento coperto da un sottile deposito di sabbia. Le pitture sono ad altezza d'uomo sulla parete di fondo che mostra un avanzato stato di spaccatura e di disgregazione delle rocce.
"Parte delle immagini, purtroppo, è scomparsa, ma alcune porzioni sopravvivono e il nostro impegno è quello di salvare quanto rimane di questo complesso di grande significato" continua la studiosa. Il gruppo principale d'immagini è nella parte alta della parete mentre altre scene sono ancora visibili nell'area centrale dove si osservano anche tracce di segni e di incisioni vandaliche.
La scena principale ha due gruppi di soggetti: alcune figure maschili allineate con diversi danni superficiali, forse eseguite ab antiquo e, a un livello più alto, un ulteriore gruppo di figure che si muovono verso l'immagine di quella che, comunemente, è stata chiamata la "bestia".
In particolare si nota un personaggio di dimensioni maggiori, rappresentato nel classico stile di Wadi Sura, affiancato da un altro individuo stretto da bende, mentre in basso si osservano alcuni dei famosi "nuotatori" che hanno dato nome alla grotta. Questo gruppo di figure termina, più a destra, proprio con l'immagine della "bestia". Il contorno di quest'ultima è stato disegnato con un tratto rosso sottile, mentre l'interno è colorato in marrone. Sul corpo è stata disegnata successivamente una rete a trama sottile di colore bianco. Sopra ci sono altre figure le cui gambe sono sovrapposte al dorso della bestia.
A soli 40 metri di distanza, si trova la più piccola Grotta degli Arcieri, che ha un ingresso ampio 10 metri orientato a ovest-sudovest. Come nella Grotta dei Nuotatori, si entra nella cavità, alta 5 metri, direttamente dal fondo dello wadi. Soltanto una piccola porzione delle pitture originali è visibile e si estende su una superficie di quasi tre metri per uno. Nella scena si riconoscono alcune figure longilinee che imbracciano archi. Hanno arti sottili, mentre la testa, a causa della rottura della roccia, non è più visibile.
La presenza di varie figure di bovini, all'estremità opposta della parete, suggerisce la presenza di gruppi di pastori più che di cacciatori come invece gli archi farebbero supporre. "Le pitture superstiti - spiega la Barich - sono qui anche meno leggibili di quelle osservate nella Grotta dei Nuotatori e ciò è da attribuire alla presenza di una patina biancastra di efflorescenze saline e a depositi di polveri superficiali".
Il terzo sito, la Grotta Foggini, si trova alcuni chilometri più a ovest, su uno dei contrafforti che dal Gilf settentrionale degradano verso lo Wadi Sura. Attualmente l'ingresso alla grotta è sbarrato da uno spesso deposito di sabbia portato dal vento che copre ampia parte della parete che misura circa 18 metri in larghezza e 6 metri in altezza. La superficie di roccia tuttora visibile è interamente ricoperta da pitture e incisioni. "Ci troviamo di fronte a un sito davvero eccezionale che non è esagerato definire come la Cappella Sistina del deserto e che è stato decorato da generazioni e generazioni di artisti prima del suo abbandono a causa del cambiamento climatico. Questo riparo ha tramandato la testimonianza del comportamento simbolico e rituale delle popolazioni che in antico hanno abitato la regione. Per questo motivo rappresenta un documento straordinario dell'interazione di un gruppo sociale con il mutevole ambiente sahariano. Tra le numerose figure si possono isolare alcuni motivi iconografici più rappresentativi. Centinaia di immagini di mani, dipinte con la tecnica del negativo, sono concentrate nella parte sinistra della parete. Esse offrono una forte emozione perché suggeriscono la presenza di vere moltitudini che hanno visitato questo luogo. Si possono contare, poi, decine di figure maschili dipinte in posizione frontale e di profilo. Sono rappresentate nello stile che ha preso nome dallo Wadi Sura in cui si può notare la piccola testa rotonda e la forma schematica del corpo. Particolarmente interessanti sono le figure di alcuni nuotatori - il nome si deve ad Almàsy - dipinti in posizione orizzontale che sono il motivo più popolare dello Wadi Sura. Anche se non è sicuro che possano davvero rappresentare dei nuotatori, queste figure sono rivestite di un significato simbolico".
Un altro motivo molto noto nel repertorio di Wadi Sura è quello dei "mostri" o "bestie": figure ibride, con fattezze al tempo stesso umane e animali. Nella Grotta dei Nuotatori alcune recano sul corpo i segni di danneggiamenti antichi. "L'esatto significato di queste figure non è noto - ammette la studiosa - ma è intuibile la forte valenza simbolica che possiedono. Lo studioso Jean-Loic Le Quellec ha proposto una spiegazione di queste immagini, insieme a quelle dei nuotatori, facendo riferimento ai testi funerari egizi. Sulla base di queste letture, i nuotatori sarebbero i defunti che abitano nel mondo dei morti, chiamato Nun, l'oceano primordiale abitato da un animale mitico che divora quelle tra loro che sono malvage".
Molto rappresentato è anche il motivo dei danzatori che vengono dipinti con strisce di pittura bianca sul corpo. Oltre alle figure umane, sono raffigurati molti animali. Si tratta soprattutto di specie selvatiche - gazzelle, giraffe e struzzi - ci sono poi anche bovidi ma in piccola quantità. Pitture queste che si riferiscono soprattutto a una società di cacciatori.
Il grado di conservazione non è lo stesso per le tre grotte e quella dei Nuotatori si trova in condizioni davvero drammatiche.
"Il progetto del Parco Nazionale del Gilf Kebir appare come la scelta migliore per proteggere l'area dagli attacchi del turismo da fuoristrada. E la nostra sfida - conclude la Barich - dovrà essere quella di promuovere la consapevolezza del significato culturale di questi luoghi irriproducibili attraverso un incisivo lavoro di formazione e divulgazione".
(©L'Osservatore Romano - 25 agosto 2010)