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Sabino Chialà "La parresia vissuta da Gesù"

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La ricorrenza evangelica più antica del sostantivo “parresia” è riferita a Gesù e si trova al cuore del Vangelo secondo Marco, il più antico dei quattro. Subito dopo la professione di fede di Pietro, che segna il centro del secondo vangelo, Gesù annuncia per la prima volta la sua passione, morte e resurrezione. Marco dunque annota: “Faceva questo discorso con parresia” (Mc 8,32). Credo sia significativo che la prima espressione di parresia vissuta da Gesù, di cui ci parlano i vangeli, riguardi proprio il suo destino: Gesù comincia a parlare e dunque a entrare nel cammino doloroso che gli si pone dinanzi. Annuncia agli altri, ma allo stesso tempo percorre il proprio cammino, che accetta senza sottrarsi. 
La confessione messianica di Pietro gli fa intravedere la fine, ed egli l’affronta responsabilmente e coraggiosamente. 
Tale prima forma di parresia, quella su di sé, è alla radice dell’altra, mostrata da Gesù nella sua predicazione e nella sua azione. Innanzitutto quando parla, come gli riconoscono i suoi stessi interlocutori, ad esempio farisei ed erodiani che gli pongono il quesito sul tributo a Cesare: 

Maestro, sappiamo che sei veritiero  e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, per ché non guardi in faccia a nessuno” (Mt 22,16). 

Da notare l’insistenza sulla veridicità di Gesù, come riflesso dalla sua imparzialità, cioè dalla sua libertà: si insiste nel dire appunto che il suo parlare è vero perché libero, una qualità, quest’ultima, che i suoi uditori gli riconoscono anche altrove (cf. Gv 7,26). Più di una volta nel quarto vangelo Gesù afferma di parlare con parresia (cf. Gv 11,14; 16,25; 18,20). 
Egli mostra tale libertà perché non si lascia condizionare da nessuno, non segue neppure una strategia propria, una supposta convenienza, a differenza dei capi che anche in questo mostrano la loro distanza dal rabbi di Galilea. Mi riferisco al caso già evocato trattando della coscienza (cf. Mt 21,23-27). L’atteggiamento di quegli interlocutori di Gesù mette in luce un primo aspetto di ciò che si oppone alla parresia: il calcolo utilitaristico. Le risposte date non ricercano la verità “possibile”, ma sono dettate dalla convenienza o dalla paura delle reazioni, in questo caso delle folle: hanno paura di perdere il consenso. Gesù invece mostra la sua parresia, che qui si esprime in un silenzio carico di significato: “Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose” (Mt 21,27). 
In talune circostanze, infatti, il silenzio è l’unica verità possibile ed è anch’esso espressione di parresia. Nel quarto vangelo, dove pure a Gesù è spesso riconosciuta la libertà nel parlare, si ricorda il suo ritirarsi dinanzi alla decisione dei capi di metterlo a morte: “Gesù dunque non camminava più con parresia tra i Giudei, ma di lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim” (Gv 11,54). Qui l’espressione “non camminava più con parresia” indica il fatto che Gesù non si mostrava più in pubblico, ma è significativo il lessico impiegato. Altre volte la parresia del Maestro si fa parola sferzante, come nella lunga requisitoria contro l’ipocrisia di scribi e farisei (cf. Mt 23,1-32), dove le sue parole assumono coloriture profetiche. 
Gesù parla con parresia e invita i suoi discepoli a fare altrettanto, ad esempio laddove invita a non temere di rischiare una parola che potrebbe provocare ripercussioni: 

Non abbiate paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto … Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima … Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri (Mt 10,26-31). 

È possibile parlare e agire con parresia, anche laddove si profilano violenze e persecuzioni, se vi è la consapevolezza che tutto avviene alla presenza di Dio e che nulla va perduto poiché nulla sfugge alle sue mani amorevoli. 
Oltre alle parole, denotano parresia anche le azioni di Gesù, come attestato in molti passi evangelici. Egli mostra di essere libero con quel le medesime categorie di persone che abbiamo visto agire con lui con parresia, primi fra tutti i peccatori. Si mostra libero di agire, incurante dei giudizi altrui, quando chiama Matteo e poi si siede alla sua tavola insieme ai suoi discepoli e a pubblicani e peccatori (cf. Mt 9,9-13), scandalizzando i farisei; quando guarisce in giorno di sabato un uomo dalla mano paralizzata, contestando un’interpretazione rigida e dunque falsa della Legge (cf. Mt 12,9-14); o quando scaccia i venditori dal tempio (cf. Mt 21,12-17). 
Infine Gesù mostra parresia nei confronti del Padre, nei vari momenti di preghiera solitaria di cui parlano i vangeli, soprattutto Luca. Una preghiera in cui osa rivolgersi a Dio chiamandolo “Padre” (cf. Mt 6,9); in cui mette davanti a lui la propria angoscia, come nel Getsemani, chiedendogli che quel calice fosse allontanato da lui, anche se alla fine si affida alle sue mani (cf. Mt 26,39); in cui, nel momento estremo dell’agonia sulla croce, grida la sua desolazione dinanzi a un Padre che sente assente, mettendo tutto nelle parole di una preghiera, il salmo 22 (cf. Mt 27,46). Anche la preghiera che Gesù lascia ai discepoli, accogliendone la richiesta, è un invito alla parresia con il Padre (cf. Mt 6,9-13; Lc 11,1-4). 
Quella vissuta da Gesù è dunque una parresia multiforme, che appare come accettazione della propria missione (parresia con sé stesso), come relazione intima con il Padre (parresia dinanzi a Dio), come parole e gesti che non temono di provocare e di scandalizzare (parresia nelle relazioni interpersonali).


AUTORE Sabino Chialà (Locorotondo 1968) è monaco e priore di Bose dal 2022 a oggi. Studioso di ebraico e siriaco, si è dedicato in particolare allo studio della figura e dell’opera di Isacco di Ninive, di cui ha recentemente pubblicato la prima traduzione italiana completa della prima collezione dei suoi scritti.


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