Maria Teresa Milano "Bibbia e musica. Dal Magnificat agli spiritual, Cohen e De André: la Parola si fa canto"
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Maria Teresa Milano
«La Torah è il libretto d’opera di Dio e noi siamo il coro», ha scritto il rabbino Sacks. La miriade di espressioni musicali nate dalla Bibbia in ogni tempo e cultura svela qualcosa di Dio. E di noi.
Il rapporto simbiotico tra Bibbia e musica è da sempre oggetto di studio e nei secoli è stato fonte d’ispirazione per composizioni di ogni genere, dall’opera lirica al pop, dai canti popolari in ogni lingua e dialetto, al rock e al jazz. È un universo intero, in cui dialogano ricerca storica e creazioni inedite e noi possiamo farne oggetto di studio e/o sedere in poltrona e ascoltare le note di quella grande epopea, assumendo il ruolo di spettatori, affascinati dalla molteplicità di espressioni che prendono forma dalle pieghe del testo.
C’è però un ulteriore approccio possibile, in cui possiamo provare a lasciare il ruolo di semplici spettatori per farci coinvolgere in prima persona, entrando nei tanti significati che la musica assume e guardando alla Bibbia come a una complessa e affascinante polifonia corale, in cui ogni voce racconta qualcosa di sé e dunque di noi. E ogni silenzio, proprio come nelle migliori composizioni, ha un preciso significato. Ogni canto nella Bibbia, al di là della specificità storica e del contesto letterario, è espressione di universali e suscita riflessioni non solo sull’esistenza, ma anche sui meccanismi politici e sociali che governano il nostro tempo.
La preghiera sommessa di Anna nel Tempio di Shilo, simbolo del desiderio viscerale di maternità, si trasforma in un canto colmo di gratitudine e di speranza nel futuro con la nascita del figlio Samuele e quel canto, esattamente come quello di Maria madre di Gesù con cui presenta straordinarie affinità, assume un valore politico e sociale in cui le normali logiche di potere vengono ribaltate perché il braccio forte del Signore farà rovesciare i potenti dai troni e innalzerà gli umili. La voce delle due donne esprime il sogno di una nuova storia segnata dalla liberazione, dal riscatto e dalla giustizia, temi che secoli dopo saranno veicolati anche grazie agli spiritual intonati da migliaia di persone in America nelle marce guidate dal Civil Right Movement e grazie a diversi brani nati in quegli anni, come Blackbird composta da Paul McCartney nel 1968 e portata al successo dai Beatles.
Nell’America degli anni ’60, gli spiritual afroamericani, che riprendono temi e personaggi biblici, assumono un profondo significato politico e cantare significa difendere gli ideali di uguaglianza e di libertà di cui la Bibbia si fa portatrice. Anche gli schiavi importati dall’Africa per lungo tempo avevano invocato con il canto l’arrivo di un nuovo Mosè, che li avrebbe salvati.
E lo stesso Mosè, dopo l’attraversamento del Mar Rosso, eleva il proprio inno di lode a Dio in forma poetica e al termine, la sorella Miriam prende in mano il tamburello e canta; la sua voce segna il passaggio fondamentale dalla schiavitù alla libertà e dunque l’inizio della storia e l’accoglienza della Legge.
Ed è interessante che nel libro del Deuteronomio, quando la morte di Mosè è ormai vicina, in riferimento alla necessità di vivere, comprendere e tramandare di generazione in generazione la Legge, Dio dica: «E ora, scrivete per voi questo canto e insegnatelo ai figli di Israele, ponetelo nella loro bocca; questo canto sarà per me testimone» (31,19).
Come ha scritto Rav Jonathan Sacks, «la Torah è il libretto d’opera di Dio e noi siamo il coro, perché la musica è il linguaggio dell’anima», e dunque ci permette di essere interpreti e di sviluppare nuovi sguardi sul testo che sfuggono alla forza e alla gabbia dei significati finiti e dei pensieri immutabili. La “musica” della Bibbia e la miriade di espressioni musicali che ne sono scaturite in ogni epoca e in ogni cultura, divengono lo spazio in cui possiamo riconoscere i limiti del carattere apodittico che si è troppo spesso attribuito al testo ed eliminare la patina di moralismo, nonché la tentazione dell’assunzione di modelli paradigmatici, per accostarci alla narrazione non solo con la ragione e le strutture mentali ricevute in eredità, ma anche e soprattutto con l’intelligenza emotiva. Perché è esattamente lì che la musica agisce.
E allora credo, coglieremo il senso più profondo dell’umanità che caratterizza i personaggi ne La buona novella di Fabrizio De André o dell’ebraico “hinneni” (eccomi) che Leonard Cohen incide in un disco pochi mesi prima di morire, quando come ogni essere umano fa i conti con la propria vita e la propria storia e che riprende la risposta data secoli prima da Abramo, Samuele, Maria madre di Gesù, ecc… Sentiremo con altro spirito le benedizioni al figlio della celebre Forever Young di Bob Dylan o il sogno di maternità cantato da Noa nella sua Uri, un raffinato brano pop con il testo della poetessa Rachel Bluwstein che richiama il grido disperato della Rachele biblica moglie di Giacobbe.
Guarderemo con altri occhi lo spiritual Mary don’t you weep, che annuncia la fine del tempo delle lacrime e racconta il riscatto del popolo salvato da Mosè, degli afroamericani guidati da Martin Luther King e di Maria Bloch Bauer, a cui è dedicata una versione in stile west coast nel film Woman in Gold.
E allora, la “partitura biblica” stratificata nei secoli, non sarà solo oggetto di studio, curiosità culturale o sorella minore della più solida e affidabile interpretazione esegetica, bensì uno spazio assolutamente serio, in cui le note e i canti possono donarci domande nuove. A ciascuno le proprie.
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