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La teologia della liberazione

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Anselmo Palini, insegnante e saggista, ha approfondito soprattutto i temi della pace, dell’obiezione di coscienza, dei diritti umani. In questo articolo prende in esame la Teologia della Liberazione. Parla in tal senso di più teologie e di più approcci, riferendosi poi alla Teologia del Popolo, di cui è portatore anche Papa Francesco.

Il contesto storico 

Dopo la vittoriosa rivoluzione cubana del 1959, che porta al potere Fidel Castro e pone fine alla dittatura di Fulgencio Batista, nei paesi dell’America centrale e meridionale si diffondono il malcontento e la protesta per le marcate disuguaglianze sociali e per le diffuse situazioni di ingiustizia. In tale contesto le Forze Armate assumono una presenza sempre più significativa nella vita dei vari Stati, con lo scopo di reprimere sul nascere ogni tentativo di modificare l’assetto politico e sociale. Di fronte alle prime timide proteste sindacali e alle richieste di riforme sociali, si realizzano pressoché in tutti i paesi latinoamericani i colpi di stato, i golpe, tramite i quali i militari, al soldo dell’oligarchia economica e dei grandi potentati nordamericani, prendono il potere. È la terribile stagione delle dittature militari che durerà fino alla caduta del muro di Berlino e al venir meno del “pericolo comunista”. 

L’ideologia alla base dell’azione dei militari è quella della “sicurezza nazionale”: tutto ciò che sa di socialismo e di marxismo, di Chiesa conciliare e di Chiesa dei poveri, di sindacato e di cooperative, di rivendicazione di diritti civili e politici ecc., viene considerato sovversivo, comunista, e dunque va eliminato.

Se in alcuni paesi già prima della rivoluzione cubana i militari sono al potere, in Brasile ciò avviene nel 1964 con un golpe e questo esempio di governo autoritario e repressivo caratterizzerà per i due decenni successivi la maggior parte dei paesi latinoamericani. L’11 settembre 1973 un golpe, compiuto dal generale Augusto Pinochet, porta al potere i militari anche in Cile, dove dal settembre 1970 governava la coalizione di sinistra capeggiata da Salvador Allende, che aveva regolarmente vinto le elezioni; centinaia sono le vittime, migliaia gli arresti e lo stesso Allende trova la morte nel corso del golpe. 

Il 24 marzo 1976 è la volta dell’Argentina con i generali Videla (per l’esercito), Massera (per la marina) e Agosti (per l’aeronautica) che prendono le redini del potere: almeno 30 mila persone finiscono nella lista dei desaparecidos, mentre altre migliaia sono incarcerate, costrette all’esilio o assassinate. 

Questi colpi di Stato, caratterizzati da una spietata politica di repressione poliziesca, avvengono con il sostegno degli Stati Uniti, che non vogliono la realizzazione sulla porta di casa di una “Seconda Cuba” che metta in discussione gli interessi economici delle grandi multinazionali statunitensi presenti in America Latina. 


Il vento del Concilio e la Conferenza di Medellín 


La realtà di tutta la Chiesa latinoamericana, salvo alcune significative eccezioni, come quella di Bartolomeo de Las Casas e di pochi altri al tempo della Conquista, è stata inizialmente quella di una Chiesa coloniale, alle dipendenze delle monarchie del vecchio continente, in particolare di Spagna e di Portogallo; poi una Chiesa schierata accanto ai grandi proprietari terrieri e alle forze conservatrici; infine una Chiesa che un grande Concilio plenario latino-americano riunitosi a Roma nel 1899 ha caratterizzato come copia fedele di quella europea, disciplinata e intransigente (1). 

Una spinta a leggere la realtà del proprio paese con occhi nuovi, attenti ai gravi problemi che vi sono e alle marcate disuguaglianze sociali, viene dal Concilio Vaticano II, aperto l’11 ottobre 1962, a opera di Giovanni XXIII nella Basilica di San Pietro con una cerimonia solenne, durante la quale pronuncia il celebre discorso Gaudet Mater Ecclesia, che indica lo scopo principale del Concilio: fare in modo che la dottrina fondamentale della Chiesa sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai tempi (2) . Si tratta del primo Concilio veramente universale: raccoglie infatti oltre 2.500 fra cardinali, patriarchi e vescovi cattolici di tutto il mondo. La Chiesa cattolica da “eurocentrica” si scopre Chiesa universale per la presenza significativa di rappresentanti delle comunità africane e latinoamericane. È un Concilio che non vuole essere “contro” qualcuno, ma a favore di una profonda riforma della Chiesa. 

Il 16 novembre 1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio, alcune decine di padri conciliari, oltre la metà dei quali latinoamericani, su iniziativa di dom Hélder Câmara e dei vescovi belgi, si riuniscono nelle catacombe di Santa Domitilla, un luogo antico e simbolico del cristianesimo delle origini. Nel corso della celebrazione liturgica, presieduta da mons. Charles Himmer, vescovo di Tournai (Belgio), viene presentato un documento con una serie di impegni che i presenti sono invitati ad assumere. Si tratta di mettere in pratica lo spirito del Vangelo, testimoniando con la propria vita la novità del messaggio cristiano. La firma di questo “Patto delle Catacombe” viene apposta, durante la celebrazione, sull’altare. I vescovi si impegnano a vivere in povertà, a rinunciare ai simboli del potere, a mettere i poveri al centro del loro ministero pastorale, a operare per la giustizia e per un nuovo ordine sociale (3). Gran parte dei firmatari sono vescovi latinoamericani e questo porterà vento nuovo nei loro paesi, che rimanevano attanagliati da gravissime disuguaglianze socioeconomiche e da regimi militari. L’unico italiano firmatario è il giovane vescovo ausiliare di Bologna, Luigi Bettazzi. 

Un altro momento che influenzerà fortemente la Chiesa latinoamericana è la seconda Conferenza Generale del suo Episcopato (4), che si svolge dal 24 agosto al 6 settembre 1968 a Medellín, in Colombia. La Conferenza, che viene inaugurata personalmente da Paolo VI, a Bogotà, il 24 agosto 1968, è una sorta di momento fondativo per la Chiesa latinoamericana che fino ad allora era stata un’estensione di quella europea. La Conferenza di Medellín approva sedici documenti, sui vari aspetti della vita della Chiesa; quelli che hanno più risalto riguardano la pace e la giustizia sociale. In tali testi si afferma “la scelta preferenziale per i poveri” e si sottolinea la necessità che la Chiesa si impegni in modo concreto nella denuncia delle ingiustizie sociali, presenti in America Latina in forme strutturali. Fondamentale si rivela l’apporto di diversi teologi presenti alla Conferenza come esperti, teologi che negli anni a seguire diverranno i maggiori esponenti della Teologia della Liberazione. La Conferenza di Medellín vede la Chiesa latinoamericana passare da una posizione di puntello dell’esistente e dell’ordine tradizionale a una missione di sostegno ai processi di liberazione in atto nel continente. Il termine “giustizia”, fino ad allora considerato sinonimo di sovversione, entra nel lessico ecclesiale, al pari di quello di liberazione. 

Il teologo Jon Sobrino, sopravvissuto al massacro dei gesuiti dell’Università Centroamericana (Uca) di San Salvador in quanto all’estero quando irruppero i militari, ha affermato che “a Medellín si ebbe una vera irruzione dei poveri e una irruzione di Dio nei poveri. Venne alla luce una nuova Chiesa ed emersero con stupore comunità, vescovi e sacerdoti, vita religiosa e seminari, movimenti di laici e laiche, teologia, pastorale e liturgia. Una irruzione che recuperò Gesù di Nazareth, lasciato nel dimenticatoio per anni, a volte nascosto nelle forme di pietà, senza riferimento alla storia, a volte sequestrato perché non disturbasse gli oppressori” (5). 

Il Concilio e Medellín sono certamente gli eventi che favoriscono il sorgere in America Latina della Teologia della Liberazione, un modo nuovo di guardare alla storia e alla vita. 


La Teologia della Liberazione 


La data di nascita della Teologia della Liberazione può essere indicata nel 1971, anno della pubblicazione di un libro con tale titolo a opera del peruviano Gustavo Gutiérrez (6). 

In che cosa consiste la Teologia della Liberazione? Così l’ha spiegata Gregorio Rosa Chávez, rettore del seminario di San Salvador negli anni in cui Oscar Romero è arcivescovo della capitale salvadoregna: 

“Non è affatto facile parlare della Teologia della Liberazione dal momento che, per quanto si trovi un ethos comune tra gli autori, è il frutto di tendenze e approcci distinti. Per questo, soprattutto quando parlo di questo tema con dei giornalisti, la prima cosa che dico sempre è che si dovrebbe parlare di ‘teologie della liberazione’, al plurale. Personalmente mi aiuta sempre molto ricordare alcune parole di Gustavo Gutiérrez, pronunciate nell’aula magna dell’Università di Lovanio nel 1974. Colui che era conosciuto come il padre della ‘teología de la liberación’, iniziò la sua lectio magistralis ricordando agli astanti che la sua nozione di teologia era quella classica: il discorso su Dio. Poi spiegò, però, quella che per lui era la differenza: mentre i teologi europei si preoccupavano del ‘non credente’, i teologi della liberazione si preoccupavano del ‘non uomo’ (el no hombre). Terminò poi la sua dissertazione con queste lapidarie parole: ‘Para que este no hombre se ponga de pié, existe la teología de la liberación’(la teologia della liberazione esiste perché questo non uomo si rimetta in piedi)” (7). 

E María López Vigil, giornalista, grande esperta di America Latina, ha delineato la Teologia della Liberazione come una coniugazione di fede e di giustizia: “Io credo che la Teologia della Liberazione più che un corpo dottrinale - pur essendo anche dottrina - sia soprattutto una concezione di vita, un vissuto, un’attitudine, un compromesso, delle lenti attraverso le quali guardare Dio dalla realtà dell’ingiustizia e della disuguaglianza e, viceversa, per provare a osservare questa realtà iniqua con gli occhi di Dio, occhi che non sono neutrali, perché Dio prende posizione: quella dei poveri, che devono smettere di esserlo, così come ci dimostrò Gesù di Nazareth. Nella Teologia della Liberazione al primo posto viene la vita, viene la realtà, vengono gli impegni e con loro i cambiamenti. Poi, in un secondo momento, la teoria raccoglie tutto questo e gli dona una forma compiuta” (8). 

Secondo padre Bartolomeo Sorge l’opzione preferenziale dei poveri, fatta propria dalla Chiesa latinoamericana a Medellín e poi tematizzata ulteriormente dalla Teologia della Liberazione, è “una scelta non ideologica ma evangelica, ben più efficace e radicale di quella esclusivamente politica. È la scelta che Gesù stesso ha compiuto, fino al punto di prendere il volto e le sofferenze dei poveri. Non è possibile essere cristiani e non stare dalla parte dei poveri” (9). 


Voci, martiri e luoghi della Teologia della Liberazione 


Il regista francese Francois Xavier Drouet ha realizzato nei mesi scorsi un documentario per ricostruire la memoria della Teologia della Liberazione, sottolinearne l’importanza storica attraverso numerose interviste e un corposo bagaglio di immagini di repertorio, ripercorrendo le lotte sociali in El Salvador, Nicaragua, Brasile, Messico, rievocate anche attraverso la citazione di alcuni passi evangelici. A dispetto dell’idea marxista della religione intesa come “oppio dei popoli”, François Xavier Drouet è andato a incontrare uomini e donne che hanno operato per cercare di realizzare già in terra delle tracce di Regno di Dio. Ne è nato il documentario L’évangile de la Révolution, il racconto del coraggio, dell’impegno e della sete di giustizia di tanti cristiani che hanno cercato di mettere in pratica le intuizioni della Teologia della Liberazione. Tra gli intervistati anche il domenicano Frei Betto che al tempo della dittatura ha conosciuto la brutalità delle carceri brasiliane. Nel suo intervento Frei Betto si ricollega a Marx per ricordare che definì la religione anche come “il grido di un cuore in una società senza cuore”. La fedeltà a questo grido, si ricorda nel documentario, sin dagli anni Sessanta del secolo scorso ha comportato il sacrificio della vita per quasi 200 tra preti, suore, missionari, religiosi in America Latina, oltre a migliaia di catechisti e operatori pastorali. 


Martiri della giustizia 


In America Latina, di fronte alle drammatiche esigenze storiche, la Chiesa si è trovata a fare i conti con le proprie fragilità e contraddizioni. Accanto a vescovi che, se non complici, certamente sono stati in silenzio di fronte alle dittature militati e alle gravi condizioni di vita dei propri popoli, vi sono stati vescovi, sacerdoti e laici che hanno preso sul serio l’annuncio evangelico di pace e di giustizia, proponendo con la propria concreta azione pastorale un percorso di liberazione e di riscatto sociale. Non ci troviamo di fronte a dei teorici della Teologia della Liberazione, bensì a persone che l’hanno praticata nel concreto della propria azione pastorale. Solo alcuni esempi emblematici. 

In Guatemala abbiamo mons. Juan Gerardi, massacrato a colpi di pietra il 26 aprile 1998, un pastore che ha messo i poveri e la necessità del loro riscatto al centro della propria attività, poiché nei poveri vedeva il volto di Cristo che andava difeso da tutte le oppressioni e liberato da tutte le forme di schiavitù. 

In El Salvador si sviluppa la vicenda di Oscar Romero, assassinato sull’altare il 24 marzo 1980. Soprattutto nei tre anni in cui è stato arcivescovo di San Salvador, mons. Romero ha sempre più chiaramente sentito il grido del proprio popolo, oppresso nei diritti fondamentali, e a questo popolo ha prestato la propria voce, indicandogli la strada della conversione e della nonviolenza per uscire dal dramma che stava vivendo. Si schierò così, sempre più decisamente, in difesa dei poveri e degli oppressi, convinto del fatto che i valori evangelici andassero incarnati e non solo affermati, che non bastasse raccogliere i moribondi e i sofferenti, ma che fosse anche necessario denunciare le situazioni di violenza strutturale e istituzionalizzata, indicare in modo preciso le responsabilità dei sequestri, dei soprusi e dei massacri. La liberazione fu al centro della sua azione pastorale di arcivescovo poiché ai poveri e agli oppressi andava data una speranza di riscatto e di emancipazione. 

In Argentina abbiamo il vescovo Enrique Angelelli, che fu un riferimento per l’allora giovane gesuita Jorge Bergoglio. La sua voce venne messa a tacere per sempre dai militari con un falso incidente stradale il 4 agosto 1976. E poi non possiamo non ricordare Hélder Câmara, Pedro Casaldaliga, Antonio Fragoso, Maria Pires, Manuel Larrain, Leonidas Proaño... tutti vescovi che nel concreto della loro azione pastorale hanno operato per la giustizia e la liberazione. 


La teologia del popolo 


Nel 1967 la Conferenza Episcopale argentina costituisce la Coepal (Commissione episcopale di pastorale), con il compito di elaborare un Piano Nazionale di Pastorale secondo lo spirito del Vaticano II. La compongono alcuni vescovi, poi teologi, pastoralisti, religiosi e religiose, sacerdoti diocesani e altri ancora. Proprio questa commissione è l’ambito in cui nasce la teologia argentina del popolo (10), un’originale posizione teologica che mette i poveri al centro della propria riflessione, privilegiando un’analisi storico-culturale della realtà rispetto a quella socio-economica di tipo marxista. Papa Francesco si è così riferito alla teologia argentina del popolo: “Quando ci avviciniamo al nostro popolo con lo sguardo del buon pastore, quando non veniamo a giudicare ma ad amare, troviamo che questo modo culturale di esprimere la fede cristiana resta tuttora vivo tra noi, specialmente nei nostri poveri. E questo, fuori da qualsiasi idealismo sui poveri, fuori da ogni pauperismo teologale. È un fatto. È una grande ricchezza che Dio ci ha dato. Aparecida (11) ha fatto un passo avanti nel riconoscerla. Se prima si parlava di “religiosità popolare” (il termine resta in uso), Paolo VI fa un passo in avanti e dice: sarebbe meglio chiamarla pietà popolare. Aparecida fa un altro passo in avanti e la chiama spiritualità popolare” (12). 


Conclusione 


La Teologia della Liberazione mantiene oggi tutta la sua attualità e rappresenta un forte invito rivolto alla Chiesa a guardare alla storia con gli occhi di chi resta indietro, di chi viene messo ai margini, di chi bussa e non trova porte aperte.


Anselmo Palini 


Note 


1) Su questi aspetti si rimanda al numero monografico di “Concilium”, 5/2009, dedicato ai Padri della Chiesa in America Latina. 


2) Giovanni XXIII - Paolo VI, Discorsi al Concilio, a cura di Pasquale Macchi, introduzione del cardinale Vincenzo Fagiolo, presentazione di mons. Loris Francesco Capovilla, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1996, p. 46. 


3) Su questo Patto si vedano: AA.VV., Il Patto delle Catacombe. La missione dei poveri nella Chiesa, Emi, Bologna 2015 e, di Giancarlo Pani, Il Patto delle Catacombe, in “La Civiltà Cattolica”, 3972, 26.12.2015, pp. 542-552. Giancarlo Pani nel suo saggio, confrontando vari elenchi, indica in 57 il numero dei primi firmatari. 


4) In merito alla Conferenza di Medellín si rinvia a Silvia Scatena, In populo pauperum. La Chiesa latinoamericana dal Concilio a Medellín, Il Mulino, Bologna 2008 e al dossier, a cura di Mauro Castagnaro, della rivista “Missione Oggi”, n. 5, settembre-ottobre 2018, dal titolo Medellín 1968-2018. Pentecoste dell’America Latina; Massimo De Giuseppe, L’altra America. I cattolici italiani e l’America Latina. Da Medellín a Francesco, Morcelliana, Brescia 2017. 


5) F. Strazzari, Fragmentos di America Latina. Martiri, profeti e Chiese a rischio, Dehoniane, Bologna 2012, pp. 116-117. 


6) Tra le opere di Gustavo Gutiérrez in traduzione italiana si segnalano le seguenti: Teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1972; La forza storica dei poveri, Queriniana, Brescia 1981; Bere al proprio pozzo. L’itinerario spirituale di un popolo, Queriniana, Brescia 1984; Parlare di Dio a partire dalla sofferenza dell’innocente. Una riflessione sul libro di Giobbe, Queriniana, Brescia 1986; La verità vi farà liberi, Queriniana, Brescia 1990; Il Dio della vita, Queriniana, Brescia 1992; Alla ricerca dei poveri di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 1995; Condividere la Parola, Queriniana, Brescia 1996; Densità del presente, Queriniana, Brescia 1998; Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa (con Gerhard Ludwig Müller), Emi e editrice Messaggero, Bologna-Padova 2013. 


7) In Massimo De Giuseppe (a cura di), Oscar Romero. Storia, memoria, attualità, Emi, Bologna 2006, p. 167. 


8) In Massimo De Giuseppe (a cura di), Oscar Romero. Storia, memoria, attualità, cit., p. 208. Sulla Teologia della Liberazione si rimanda a: R. Gibellini, Il dibattito sulla teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1986; L. Ceci, La teologia della liberazione in America Latina. L’opera di Gustavo Gutiérrez, Angeli, Milano 1999; R. Regidor José, Gesù e il risveglio degli oppressi. La sfida della teologia della liberazione, Mondadori, Milano 1981; L. Boff, La teologia, la Chiesa, i poveri. Una prospettiva di liberazione, Einaudi, Torino 1986; L. Boff, C. Boff, R. Regidor José, La Chiesa dei poveri. Teologia della liberazione e diritti dell’uomo, edizioni Datanews, Roma 1999; R. Piccini (a cura di), Teologia della liberazione. La voce dei suoi teologi, Quaderno della Fondazione Guido Piccini, Calvagese della Riviera (BS) 2008; S. Scatena, La teologia della liberazione in America Latina, Carocci, Roma 2008; Teologia in America Latina, numero monografico della rivista “Credere oggi”, n. 171, Messaggero, Padova 2009; F. Sanchez Diego, L’opzione per i poveri. Storia della teologia della liberazione in America Latina, edizioni Datanews, Roma 2011; La teologia della liberazione compie 40 anni, dossier pubblicato dalla rivista “Missione Oggi”, n. 2, febbraio 2013, pp. 17-32. 


9) B. Sorge, Hélder Câmara: Il sogno di una Chiesa “povera e serva, in “Aggiornamenti Sociali”, 2 (2009), p. 88. 


10) Si veda al riguardo: Enrique Ciro Bianchi, Introduzione alla teologia del popolo. Profilo spirituale e teologico di Rafael Tello, Emi, Bologna 2015, con prefazione di Jorge Mario Bergoglio-Francesco. Evangelizzare il popolo a partire dal popolo, basandosi sulla sua cultura, i suoi linguaggi, i suoi costumi, i suoi modi di interpretare la vita e la storia. È questo uno dei punti nevralgici del pensiero di Rafael Tello (1917-2002), esponente autorevole della teologia del popolo. Sulla teologia del popolo si rimanda anche a: Lucio Gera, La religione del popolo. Chiesa, teologia e liberazione in America Latina, Dehoniane, Bologna 2016, con prefazione di Alberto Melloni e postfazione di Juan Carlos Scannone; Vaticano II e America Latina. La teologia del popolo, in “Osservatore Romano”, 29 marzo 2014. 


11) Il riferimento è alla Quinta Conferenza Generale dei vescovi latinoamericani svoltasi nella città brasiliana di Aparecida dall’11 al 31 maggio 2007. 


12) Jorge Mario Bergoglio -Francesco, Prefazione a E.C. Bianchi, Introduzione alla teologia del popolo Profilo spirituale e teologico di Rafael Tello, cit., pp. 14-15.





Esodo n° 3 luglio-settembre 2024

Religione, fede, politica

contributi di

Beraldo, Bolpin, Borraccetti, De Carlini, De Sandre, Ferrario, Foglia, Galli, Levi Della Torre, Macchi, Naso, Palini, Rubini, Salvarani, Sandri, Simeoni, Simonelli.





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