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Enzo Bianchi “Sperare in tempi difficili”

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Conversazione con Enzo Bianchi 
Rocca 15 aprile 2024
di Stefano Zecchi

“Casa della Madia” luogo dell’ascolto, del silenzio, dell’accoglienza, della fraternità. Siamo nella bella campagna di Albiano d’Ivrea nel canavese, in una bella giornata di sole e veniamo accolti con amicizia e affetto da Fratel Enzo Bianchi. 

Carissimo Fratel Enzo, come stai? 
Sto bene, molto bene. Dopo alcuni mesi di malattia, anche grave, sono stato ricoverato in ospedale e sottoposto ad alcune operazioni. Adesso mi sono ripreso, mi sento come prima, nonostante sia entrato in dialisi, ma la mia vita si svolge in pieno ritmo, con la forza che avevo prima. Sono contento di questa situazione, che non speravo più, vista la mia età di ottantuno anni. 

Ci puoi raccontare com’ è nata Casa della Madia? E come mai questo nome? 
“Casa della Madia” è nata per caso. Quando sono andato via da Bose, ho cercato subito, nonostante le difficoltà, perché era il tempo della pandemia e non era facile muoversi viste le restrizioni che c’erano, ho cercato una casa nel Monferrato. Perché il Monferrato è la mia terra, sia perché l’amavo particolarmente e la ritenevo indicata per una vita monastica. Abbiamo trovato una ventina di strutture che potevano essere adatte, ma purtroppo il costo di queste strutture nel Monferrato è altissimo, prezzi proibitivi, da un milione di euro in su e noi non avevamo nessuna possibilità di raggiungere cifre simili. Abbiamo poi trovato, per caso, questa struttura abbandonata dai proprietari. Una bella struttura che ben si adattava ad una vita comunitaria, anche se aveva necessità di una ristrutturazione. Visto anche il prezzo abbiamo fatto un mutuo bancario e siamo riusciti ad acquistarla e poi pian piano abbiamo fatto anche i lavori di ristrutturazione. Ci aveva anche affascinato il nome “Casa della Madia”, perché in questo luogo venivano costruite le madie, un mobile in cui si faceva il pane. Era augurante per noi, il luogo del pane, della condivisione, dove si conserva il lievito e tutto questo ci ha accompagnato nella scelta. 

Tu sei nato nelle Langhe, nel Monferrato, terra del buon vino, come ha inciso nella tua vita l’esser nato in questo luogo? 
Direi tantissimo. Chi ha letto il mio libro, “Il pane di ieri”, vede come io sia un monferrino, appartenente al Monferrato Langhe, perché sono al confine fra questi due raggruppamenti di colline di vigne senza fine. Ho portato dentro di me da sempre il mondo contadino, il mondo della vite, che la sento come la mia spina dorsale, il mondo del vino, dell’uva e soprattutto i piccoli paesi che formano questa regione. Paesi in cui c’era la costruzione di un’umanità un tempo davvero diversa da quella che si sta costruendo oggi. Un’umanità piena di rapporti, di riconoscimenti, un’umanità che certamente aveva le sue problematiche, ma faceva in qualche misura luccicare lo sperare insieme, perché insieme si stava, insieme si sentiva di avere un unico destino, insieme si sperava. 

Com’è nato il tuo desiderio, possiamo dire la vocazione, alla vita monastica? 
Devo dire che c’è stato un insieme di situazioni. Mia madre è morta che avevo otto anni e mio padre non era credente, ed eravamo rimasti noi due soli. Due donne vicine di casa si erano prese cura di me. Una di loro che era anche intellettualmente raffinata mia aveva regalato a tredici anni, dopo avermi regalato la Bibbia a dodici, le regole di San Basilio, pubblicate nel 1932, le conservo ancora. Quelle regole sono state per me sempre sul comodino, mi hanno sempre accompagnato. Giunta la giovinezza mi sono chiesto che cosa dovevo fare. Dopo un’esperienza di alcuni mesi presso l’Abbé Pierre, alla periferia di Ruane, vivendo con gli straccioni, con gli scarti della società, non come volontariato, ma in mezzo a loro. Perché l’Abbé Pierre non voleva volontari ma persone che si identificassero con questi scarti, con questi straccioni, con questi alcolizzati, vivendo sotto i ponti della Senna. Questa esperienza mi cambiò profondamente. Mi convertì da un cristianesimo di Azione Cattolica ad un cristianesimo del Vangelo. Non potei più pensare a quella che era la strada già tracciata, ed era la strada della vita politica, ero già segretario del movimento giovanile provinciale della Democrazia Cristiana ad Asti. Ma lasciai tutto e andai a vivere da solo a Bose, in questa frazione abbandonata, senza luce elettrica, senza acqua potabile, case diroccate abbandonate dai contadini negli anni ’20. Tutto questo per fare una vita monastica, che fosse quella di Basilio, che non fosse una vita religiosa, che fosse la vita che possono fare tutti gli uomini senza diventare una casta o qualcosa di separato o privilegiato. Semplici cristiani. Grazie a Basilio e a Pacomio ho poi edificato quello che è stato Bose, che aveva questa singolarità di semplici cristiani, non religiosi che vivevano questa presenza nella Chiesa. 

Come ci hai accennato prima hai compiuto da poco ottant’uno anni “…gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti” ci dice il Salmo 89. Hai attraversato tutta la storia della Chiesa di questi ultimi anni, che idea ti sei fatto di tutti questi cambiamenti, dal pre Concilio, al Concilio, al post Concilio? 
Ho vissuto con grande attenzione, con grande coinvolgimento questa Chiesa perché sono sempre stato impegnato nella vita ecclesiale. Da sei anni fino a diciannove alle sei del mattino ho sempre servito Messa, ho avuto una vita ecclesiale molto intensa. A otto anni sono stato a Roma dal Papa, ho vinto un concorso del Piemonte perché ero quello che conosceva meglio i Vangeli. Sono arrivato al Concilio come cristiano tridentino doc, con le rigidità, i legalismi che erano del pre Concilio. Il Concilio mi ha convertito, mi ha fatto fare tutti i passaggi. Poi ho seguito il post Concilio che coincideva con gli anni universitari, la vita a Bose mi ha dato la possibilità di vedere la vita della Chiesa, di vedere i sui sviluppi e le successioni dei papi, che ho conosciuto bene. Giovanni Paolo II, il cardinale Ratzinger di cui ero amico fin dal 1978 e poi Francesco che ha avuto per me un amore veramente forte, oserei dire che mi sento perfino indegno di tanto amore, di tanta attenzione da parte sua. Vedo oggi una Chiesa affaticata, stanca, che fa fatica ad andare avanti. Manca una visione del futuro, non sa bene dove andare. Il Papa ha visioni profetiche, ma il popolo di Dio non lo segue. C’è un divario molto forte fra il popolo di Dio e il Papa, fra il Papa e i Vescovi. Il Papa si sta arrestando, si sta fermando, lo si vede da mille cose. È impedito ad andare avanti come sentirebbe da un impulso interiore dello Spirito Santo, perché il popolo di Dio fatica, si è assottigliato, è diventato una minoranza, sembra perdente costantemente nel confronto con il mondo. Questa diagnosi molti altri non hanno il coraggio di farla: un popolo di Dio che ha perso la fede e la fraternità. Quando si perde tutto questo la Chiesa si sfilaccia. La Chiesa stessa diventa una realtà soltanto religiosa, ma non è più viva, non cammina più insieme con gli uomini verso il domani. Questa è la situazione, abbiamo sperato tanto specialmente nel post Concilio. Ho sperato nell’ecumenismo, posso dire ho dato tutta la vita per l’ecumenismo e oggi ci troviamo l’ecumenismo in frantumi, fra le Chiese e all’interno della Chiesa cattolica. Divisioni che noi non conoscevamo certamente in questi ultimi tempi. 

Proprio riguardo all’ ecumenismo, questa guerra fra Ucraina e Russia come incide nei rapporti con le Chiese ortodosse? 
È una guerra che in realtà sotterraneamente era combattuta molto prima, perché dopo la caduta del comunismo, gli ortodossi si sono sentiti offesi dall’invasione missionaria cattolica. Loro non hanno un apparato missionario come noi e soprattutto una dimensione del territorio, che chiamano territorio canonico, per loro è più importante della dimensione di un popolo. Questo aveva creato attrito fra i greco-ortodossi, aveva creato attrito fra le Chiese e poi è apparso un certo nazionalismo, si è cominciato ad avere un frazionamento di Chiese all’interno della stessa Ucraina. Per cui attualmente ci sono quattro Chiese ortodosse in Ucraina, senza contare i greco-cattolici. La Russia questa aggressione, in cui il patriarca si è mostrato coinvolto benedicendo la guerra, ha inteso vederla come una missione difensiva per i valori cristiani, contro i valori corrotti dell’occidente. Tutto questo ha fatto si che fra le Chiese si sia creata una tensione forte, per cui le Chiese di origine greca si sono staccate da quelle di origine slava e anche fra quelle di origine slava non c’è più quella sintonia che c’era prima. Il mondo ortodosso è molto diviso e la Chiesa cattolica è paralizzata, perché ha sempre avuto come principio quello di dialogare con tutta l’ortodossia e non con una Chiesa piuttosto che con un’altra. Oggi si trova costretta a non dialogare per non offendere l’una, per non offendere l’altra, per non entrare in concorrenza. L’ecumenismo è veramente in frantumi e non sappiamo quanti anni occorreranno perché si possa sperare in un ecumenismo il quale porti veramente il volto di chi vuole l’unità delle Chiese e non che ogni Chiesa faccia la sua strada. 

In gioventù sei stato attivo nella Fuci, una vera scuola di formazione per i cattolici impegnati in politica. Oggi non esistono più scuole di formazione, i cattolici in politica non ci sono più e se ci sono afoni. C’è disaffezione per la cosa pubblica. Come possiamo recuperare, coinvolgere specialmente i giovani all’amore per la polis? 
Io credo che vada fatta una diagnosi molto chiara. Risalendo a quando negli anni ’90 i Vescovi, soprattutto con Ruini, hanno cancellato i cattolici democratici, quelli che furono accusati con disprezzo di essere cattolici adulti. A quel punto i cattolici sono stati smarriti, all’interno della sinistra hanno perso propulsione e hanno perso una capacità di coinvolgimento con gli altri. Sono diventati dei cattolici accodati alla sinistra, accodati al Partito Democratico e di conseguenza sono senza entusiasmo, senza forza, senza una motivazione. I cattolici devono riscoprire la loro identità, che senza diventare un partito (non è più il tempo del partito cattolico) ma in collaborazione con altri, percorrano lo stesso tragitto di giustizia, di pace, di uguaglianza, e possano davvero essere una forza alta. Con i giovani è difficile adesso. Con le scuole è stato tentato più volte, ma ho visto che non hanno reso, anche scuole fatte bene, basta pensare a quelle in Sicilia, a Milano… il tessuto cattolico deve ritrovare una certa unità, ma è alla radice che questo tessuto non c’è più. Persino i preti non riescono a radunare un tessuto che sia compatto e che abbia capacità di legami. La gente deve interrogarsi su cosa fa della Chiesa una fraternità. Ma in questa maniera credo che si può far poco. Se invece i cristiani hanno dei legami sono capaci di portare un messaggio nel mondo e una presenza anche nella politica. Non è possibile che i cristiani vivano in minoranza senza un’efficacia all’interno della società. 

I laici, le donne non hanno ancora un ruolo significativo all’interno della Chiesa. Abbiamo ancora, nonostante papa Francesco, una Chiesa clericalizzata. Che giudizio dai del sinodo? Arriveremo ad avere i “viri probati”? Nella Chiesa primitiva il ruolo delle donne era essenziale, anche come diaconesse, come mai questa chiusura verso il diaconato femminile? 
Io avevo molte speranze, adesso ne ho molte meno. Soprattutto dopo l’uscita di un documento che prepara la prossima sessione che dovrebbe dar origine all’ instrumentum laboris per la sessione di ottobre. Un documento lunghissimo, farraginoso, tutto attento al meccanismo, allo svolgimento, alla macchina, all’organizzazione, non ai punti. Sembra che ci si interessi più di come procedere, invece d’indicare dei punti verso cui procedere. Si parla di un diaconato femminile, ma per me non è essenziale. S’inventi invece un ministero per la donna, come hanno fatto nel Nuovo Testamento, quando mancava un ministero hanno inventato il ministero dei sette. Non erano diaconi, il ministero dei sette. Per la donna, se non vogliono fare il diaconato, lo inventino. Perché le donne devono avere assolutamente voce nella liturgia, nella predicazione del Vangelo, durante la vita nella Chiesa, nei luoghi in cui si comanda. Le donne sono l’altra parte del mondo, non si vede perché devono essere costantemente ausiliarie degli uomini, finché saranno ausiliarie degli uomini ci sarà il clericalismo e questo non va. Per quanto riguarda i “viri provati” temo di no, purtroppo. Hanno tutti paura, il celibato dei preti che è una legge, dovremmo vederlo si nella sua gloria, ma anche nella sua miseria. Noi invece lo conserviamo sempre come perla preziosa. Non si tratta di toglierlo, ma si tratta di permettere anche a uomini che siano sposati, che siano “provati”, che possono esercitare il ministero la dove è necessario. Sapendo che nella Chiesa per secoli è stato possibile, nelle Chiese orientali, Chiese cattoliche orientali ci sono ancora preti sposati. Perché tanta paura? Vale di più l’eucarestia oppure un assetto di Chiesa formale? Io temo… anche vedendo questo documento confuso, che parla un ecclesialese che lo capiscono forse soltanto quelli che l’anno scritto. Io confesso che non l’ho capito, l’ho letto tre volte senza capirci niente. Non c’è visione, non c’è un orientamento. Temo che in quel caso il sinodo diventi un aborto e questo sarebbe triste, perché sarebbe una grande delusione per molti cristiani che aspettavano dal sinodo un rinnovamento della vita della Chiesa, un rinnovamento nella comunione. Perché il sinodo serve solo per avere una comunione più reale, più concreta, più vera fra i cristiani. Che la Chiesa sia davvero una fraternità, come la chiamava Pietro nella sua prima lettera, ricordando che la Chiesa se non è una fraternità sarà un’identità religiosa, ma non è la Chiesa di Gesù Cristo. 

Fra israeliani e palestinesi non si vede una via d’uscita all’infuori della guerra. La corsa a gli armamenti aumenta sempre più. Che ruolo possono avere le Chiese in questa fase storica? Ci sarà una speranza di pace nella terra di Gesù? 
È molto difficile. Io conosco quella terra, perché ho dimorato a lungo sia in Israele che nei territori occupati, conosco bene sia gli israeliani che i palestinesi. La soluzione sarebbe quella di due popoli due stati, sia pure con il rischio che uno stato voglia diventare più forte dell’altro, essere il carabiniere dell’altro. Io credo che l’unica cosa è avviare un processo di pace, lo facciano anche l’autorità islamica e le autorità cristiane. Ma chi dovrebbe imporre la pace, mi rincresce dirlo, sono gli americani che aizzano questa guerra e non vogliono finirla, questo è il dramma. Perché nel Medio Oriente sono costantemente gli americani che accendono guerre dall’ Afganistan, alla Siria, ecc. O noi riusciamo a far stare gli americani in una situazione di osservanza della pace nel mediterraneo o altrimenti continuerà la guerra, perché loro continuano a farla quasi per tenere sempre vivo il mediterraneo come un luogo di scontro in cui misurano la propria forza. 

Sono passati cento anni dalla nascita di don Lorenzo Milani, il suo insegnamento è ancora importante per noi. Rivalutato dalla Chiesa, con la visita di papa Francesco a Barbiana, e dallo Stato, con quella del Presidente Mattarella. Lui condannato per apologia di reato, per aver difeso l’obiezione di coscienza, dopo che i cappellani militari della Toscana avevano dichiarato l’obiezione di coscienza una forma di viltà. Fratel Enzo che senso ha oggi il ruolo dei cappellani militari, equiparati ai gradi dell’esercito? Le stellette sulla tonaca, mi danno fastidio. Non è un controsenso viste anche le parole di papa Francesco? Perché non si riescono ad abolire? 
Credo che diano fastidio a tutti i cristiani che riflettono un po’. Ma sono tante le contraddizioni che attualmente la Chiesa ha sulle armi. La Chiesa continua a tuonare contro chi vende le armi, però bisogna essere molto chiari. Il Vaticano ha comprato ultimamente armi molte sofisticate, se pur per la difesa del proprio Stato. Non ci son più alabarde della guardia svizzera che erano decorative, ci sono armi letali ben precise, quindi in realtà c’è un esercito, c’è una guardia palatina armata. Questo, mi rincresce, ma contraddice i discorsi di pace di papa Francesco. È per un uso di difesa, ma la difesa per il vero cristiano, e papa Francesco ne è convinto, si fa con la nonviolenza attiva, non con le armi. Lì doveva crescere il popolo di Dio, noi abbiamo un popolo di Dio che in questi anni la domenica fa i cortei per la pace, ne fa tanti. Ma questi cortei per la pace poi non fanno crescere nulla nella vita concreta dei cristiani. Cosa han fatto i cristiani per imparare che cos’è la nonviolenza attiva, per rendere efficaci le vie della nonviolenza? Il papa non riesce neanche a proporre la nonviolenza attiva e si deve fermare lui, la diplomazia vaticana, a parlare di difesa con armi proporzionate, ma li non c’è il Vangelo. Il Vangelo che ci dice di non rispondere al maligno, ci dice di rispondere all’ingiustizia con una nonviolenza attiva, efficace, con l’aiuto degli altri naturalmente. La via cristiana alla pace dobbiamo imboccarla, i cortei non bastano, si fanno di sabato o di domenica poi si sciolgono subito. Ci vuole un’educazione alla pace nelle scuole, nelle parrocchie, nelle varie iniziative che la Chiesa fa, educazione alla pace attiva, questo deve essere fatto e il papa lo vorrebbe. Qualche volta ne fa un accenno, la indica, ma poi sa che anche lui non può andare troppo avanti nella dottrina perché il popolo di Dio, oggi, non è in grado di seguirlo. 

Grazie Fratel Enzo, grazie davvero, però prima di salutarci vorrei chiedere a te, che considero un “folle di Dio”, una parola di speranza. 
La speranza per me è sempre forte, perché anche nei momenti più bui io mi sento cantare nel cuore quelle parole di san Paolo: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Nessuno ci separerà dall’ amore di Cristo”. E l’amore di Cristo non è soltanto qualcosa di personale, ma è qualcosa per l’umanità, l’umanità si salverà, sarà migliore, nonostante questi momenti bui, queste cadute, questa barbarie, che ogni tanto appare, l’umanità riprenderà, riprenderà meglio. Dobbiamo fare di tutto per questo cammino d’umanizzazione, convinti che non ci saremo più, ma quelli che verranno dopo di noi saranno uomini migliori di noi. La società sarà migliore di quella di oggi. Questa è una speranza che non può venir meno, la speranza umana. Come dicevano gli antichi “l’uomo sta in piedi grazie alla speranza.”










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