Clicca

Aggiungici su FacebookSegui il profilo InstagramSegui il Canale di YoutubeSeguici su Twitter   Novità su Instagram

Silvano Petrosino "La perfezione del quotidiano"

stampa la pagina
Che cosa c’è di «perfetto» nei giorni che trascorre a Tokio il signor Hirayama, protagonista dell’ultimo film di Wim Wenders (Perfect days, 2023)? Nulla, si potrebbe rispondere. In effetti la storia narrata dal film è in verità una non storia: non ci sono colpi di scena, nessun mistero da risolvere, nessuna tragedia da testimoniare, nessuna storia d’amore da esaltare. Le giornate di Hirayama (il cui nome, è bene ricordarlo, è lo stesso del protagonista de Il gusto del sakè [1962] di Ozu, uno dei maestri di Wenders) procedono lentamente, semplicemente, obbedendo ad una progressione di gesti che è sempre la stessa: il risveglio al mattino (senza l’uso della sveglia), l’attenta sistemazione del futon, il lavarsi i denti e l’igiene personale, il lavoro mattutino presso i bagni pubblici di Tokio progettati da famose archistar, la regolare frequentazione dei sentō (bagni a pagamento pubblici), la cena nel solito locale, il ritorno a casa, la lettura serale, il riposo notturno. Una vita semplice, quasi fin troppo semplice, caratterizzata da una ripetitività senza inquietudine che sembra rasentare la monotonia; non a caso alcuni hanno criticato il film proprio per questa dolciastra sottolineatura della semplicità, per questa retorica delle «cose semplici», che non sarebbe altro che un evidente sintomo dell’intellettualismo del regista tedesco. 

Ma alla domanda posta all’inizio si potrebbe anche rispondere: tutto. In effetti l’intero film è una sorta di celebrazione di un’idea di «perfezione» liberata da ogni contaminazione con l’«eccezionale» o con lo «straordinario» o con lo «stravagante». All’interno di una simile prospettiva il «perfetto» rinvia ad uno «splendore» che è proprio non di un qualche essere particolare, ma di ogni singolo esistente (ad esempio, anche della fragile piantina di cui Hirayama decide di prendersi cura). 

Le due risposte ricordate – nelle giornate del protagonista del film di Wenders sembra che non ci sia nulla di particolarmente perfetto, ma al tempo stesso sembra anche che tutto in un certo senso lo sia o lo possa diventare –, queste due risposte non sono in contraddizione tra di loro. L’esperienza dello stupore – e lo stupore è senza alcun dubbio uno dei temi fondamentali attorno ai quali il film ruota – conferma la pertinenza di questo strano intreccio tra il nulla e il tutto. In effetti, di per sé nulla stupisce, o meglio: non c’è qualcosa o qualcuno che abbia in sé la misteriosa proprietà di stupire; al tempo stesso tutto può stupire, ed anzi sembra che proprio gli esseri più «insignificanti» abbiano lo strano potere di attirare la nostra attenzione e di meravigliarci. In Spuren (1936, trad. it. Garzanti 1994) Ernst Bloch afferma che ciò che stupisce può essere «il modo in cui una foglia si muove nel vento […] il sorriso di un bambino, la sguardo di una ragazza, la bellezza di una melodia». D’altra parte, non sempre una foglia che si muove nel vento, o il sorriso di bambino, o lo sguardo di una ragazza, o la bellezza di una melodia stupiscono; bisogna così riconoscere la particolarità del carattere d’eccezione che contraddistingue lo stupore: quest’ultimo, infatti, è senza alcun dubbio un’esperienza eccezionale ma altrettanto certamente non è mai un’esperienza dell’eccezionale. 

Ciò che il film di Wenders mette in scena è l’evidenza di questa «eccezione non eccezionale»; esso, infatti, da una parte riprende il quotidiano, e, come osserva acutamente Blanchot, «Il quotidiano è ciò che noi siamo innanzitutto e in genere: nel lavoro e nel tempo libero, durante la veglia e il sonno, per la strada, nell’esistenza privata. Il quotidiano siamo noi di solito […]Quali che siano i suoi aspetti, esso ha un carattere essenziale, non si lascia cogliere. Sfugge. Appartiene all’insignificante, e l’insignificante è privo di verità, di realtà, di segreti […] È ciò che passa inosservato, è ciò che non vediamo mai per la prima volta, ma che possiamo solo rivedere dopo averlo sempre già visto […] Il quotidiano sfugge. È la sua definizione» (L’Éntretien infini, 1969, trad. it. Einaudi 2015). D’altra parte, evitando con cura la trappola degli «effetti speciali» e le attraenti sirene del «fantastico» e del «sentimentale», esso mostra lo splendore di tale «insignificanza», mostra come proprio il quotidiano possa essere vissuto e guardato come il luogo dello splendore più concreto, l’unico a poter essere abitato da un’esperienza autenticamente umana. Sempre Blanchot, citando Lukács, osserva: «È questo il confuso quotidiano […] Ma ecco sopraggiungere bruscamente una luce, “Qualcosa si accende, appare come un lampo sulle via della banalità… è il caso, il grande istante, il miracolo”. E il miracolo “irrompe nella vita in modo imprevedibile… senza relazione col resto, trasformando l’insieme in modo chiaro e semplice”. Col suo splendore, separa i momenti indistinti della vita quotidiana […]». 

L’esperienza dello stupore, dunque, rappresenta una rottura della quotidianità, del «confuso quotidiano», senza per questo essere una fuga dalla realtà; qui non vi è alcuna estasi o rapimento, ma anzi l’istituirsi di un rapporto più interno e intimo con la realtà che ora appare nell’evidenza di uno splendore che va al di là del semplice apparire. Forse i giorni di Hirayama sono «perfetti» proprio perché illuminati, anche se solo occasionalmente, da questo splendore che finisce per trasformare – ecco un miracolo senza allucinazione, ecco il miracolo del cinema stesso quando quest’ultimo, come voleva Bresson, riesce ad essere «cinematografo» – il mondo stesso, tutto «l’insieme in modo chiaro e semplice».


Silvano Petrosino (Milano 1955), studioso di filosofia contemporanea, si è occupato prevalentemente dell’opera di M. Heidegger, E. Lévinas e J. Derrida. 
Oggetto dei suoi studi sono la natura del segno, il rapporto tra razionalità e moralità, l’analisi della struttura dell’esperienza con particolare attenzione al rapporto tra la parola e l’immagine. 
Insegna Filosofia della comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano. 
Il suo ultimo libro, pubblicato da Vita e Pensiero, è "Piccola metafisica della luce".

«Ti è piaciuto questo articolo? Per non perderti i prossimi iscriviti alla newsletter»

stampa la pagina


Gli ultimi 20 articoli