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Massimo Recalcati "Nella poesia si incontrano Eros e Psiche"

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La Repubblica, 29 gennaio 2024 

Novalis avvertiva coloro che intendessero avventurarsi nel comprendere o, addirittura, nel provare a spiegare l’amore che la sola possibile iniziazione a questo oscuro discorso era quella offerta dai poeti.

 Sarebbe la poesia la sola educazione sentimentale possibile, la sola porta d’entrata al mistero inaccessibile di Eros. Non certo quella della scienza che vorrebbe ridurre l’esperienza dell’amore a una burrasca di dopamina in certe zone del cervello e nemmeno quella della psicoanalisi che tenderebbe a ridurre quel mistero alla ripetizione inesorabile dell’amore per la madre. Sicché ogni amore non sarebbe altro che la riedizione di un primo amore necessariamente interdetto perché incestuoso. Eppure la psicoanalisi stessa ha fatto dell’incandescenza dell’amore la materia elettiva della propria pratica. È quello che Freud scopre molto presto, con grande sorpresa e sconcerto: l’analista è destinato a divenire l’oggetto dell’amore di transfert dei suoi pazienti. In questo senso egli ha potuto paragonare il lavoro dello psicoanalista non tanto a quello, più volte evocato, dell’archeologo che rintraccia, a partire dai resti sopravvissuti del passato, l’antica città sepolta dell’inconscio, ma a quello più sulfureo del chimico che è obbligato a maneggiare sostanze pericolose che esigono, per non esplodere o provocare danni, estrema cura e prudenza.

Ma se Freud riteneva che nel suo fondo l’amore fosse inseparabile da una ripetizione inconscia che colloca l’amata o l’amato sullo sfondo necessario dell’amore materno e del suo carattere primario, è stato Lacan, nutrito dalla poesia di Rimbaud, a sottolineare come l’incontro d’amore sia tale non tanto perché replica un amore indimenticabile già sperimentato nell’infanzia, ma perché si sottrae ad ogni ripetizione, perché si svela inaudito, sorprendente, radicalmente inatteso, nuovo. Sono, dunque, i poeti, non gli psicoanalisti, ad insegnarcelo: l’incontro d’amore è un colpo, un urto, un taglio, talvolta una catastrofe persino, che ci spoglia del nostro Io sottraendoci all’ordine rassicurante della realtà canonica. In questo la poesia ribadisce che nell’amore è sempre in gioco una perdita di governo. Non solo del proprio Io, costretto a vivere una esperienza radicale di decentramento, ma anche delle leggi ordinarie del mondo. Nell’incontro d’amore non è, infatti, solo in gioco il destino dell’Uno che deve scoprirsi come Due, ma del mondo stesso. La nascita di un amore non può prescindere dalla nascita di un altro mondo, di un nuovo mondo, non più, appunto, del mondo dell’Uno, ma del mondo del Due. La condivisione segreta dell’evento del mondo come evento del Due è la gioia più propria dell’amore. Per questa ragione la fine di un amore può rivelarsi così traumatica. Non solo perché la separazione incrina l’unità del Due, ma perché ogni fine porta con sé la fine del mondo nuovo dei Due, rimarca non solo la morte di un amore, ma la morte del mondo che questo amore ha fatto nascere. La fine di un amore è la fine di un mondo. Per questo i poeti hanno sempre cantato insieme all’ebbrezza dell’amore anche l’agonia della sua fine. Se l’amore segna un nuovo inizio del mondo, o, meglio, mostra che l’evento del mondo non cessa mai di iniziare, la sua morte porta con sé la morte del mondo dei Due. Se l’amore ha introdotto il brivido dell’eterno nel divenire del tempo, la sua fine non cancella quel brivido, ma ne mostra la caducità. Senza l’amore il mondo perde la sua vita, la sua nomenclatura, la sua esistenza. Questo significa altresì che l’incontro d’amore, come ogni incontro, appartiene al regime puro della contingenza. Non può essere previsto, non può essere necessario, non può rientrare in un programma. Per ogni amore vale sempre quello che Picasso diceva della propria creazione artistica: “Io non cerco, trovo”. L’incontro d’amore porta con sé questo spiazzamento, è un evento che non dipende dalla nostra ricerca ma che assomiglia ad una visitazione, ad un sentirsi, appunto, trovati. Un imprevedibile che fora ogni automatismo, un urto imprevisto che fa apparire una luce nel buio. Eppure in ogni incontro d’amore c’è qualcosa, ci insegnano ancora i poeti, che ci autorizza a dire che si tratta di un reincontro, di un ritrovamento. Non accade solo nella durata dell’amore; l’evento del primo incontro tende a ripetersi e non ad esaurirsi; la costanza, la dedizione, l’abitudine trasformano la contingenza pura di quell’incontro in una necessità scritta nelle stelle, in una ripetizione che assomiglia, come scrive Ungaretti, ad una “quiete accesa”. Ma accade anche quando i Due vivono la sensazione di essersi già visti, conosciuti, incontrati.

In un altro tempo, in un’altra stagione della vita, in un altro mondo. Platone ha costruito su questa sensazione il mito di Eros come mito della ricomposizione dell’“intero”, destinato prima a spezzarsi e poi a risolidificarsi proprio grazie alla potenza di Eros che consente alle due parti scisse di ritrovare la loro antica origine comune. In realtà che gli amanti dichiarino la sensazione di essersi riconosciuti come già conosciuti, sebbene non conduca a nessun “intero”, dice però qualcosa di essenziale sull’amore. Non tanto nel senso di una mantica che definirebbe l’incontro come un destino fatale, già scritto, già avvenuto, ma in quello per cui nell’incontro i Due incontrano qualcosa di sé stessi che però li sorprende perché proviene da un altro. È questa la struttura di ogni incontro: una alterità che ci perturba, come direbbe Freud, perché ci espone a qualcosa che è al tempo stesso straniero e familiare. Sono, infatti, queste le due radici più profonde del sentimento amoroso.

Un’altra lezione che possiamo trarre dalle poesie d’amore è che non esiste amore tra anime perché l’amore è sempre un amore tra corpi. I poeti non lo dimenticano e per questo indugiano sui dettagli del corpo di chi cattura il nostro amore. Sono i capelli, le labbra, il viso, la schiena, la lingua, la voce, gli occhi, la gola, il respiro, le mani, l’ombelico, il cuore, i seni, il petto, la fronte, le ciglia, le cosce, i piedi, le pupille, i denti, le spalle, le braccia, il sangue, la pelle, il ventre, i pollici, i polmoni, le dita, le lacrime, la carne. L’erotica amorosa eleva ogni dettaglio del corpo alla dignità del divino. Non c’è poesia d’amore che non evochi il corpo di chi si ama. L’amore mostra non tanto che un corpo nasconde un’anima, ma che non c’è anima che non sia corpo. Per questo scrivere d’amore è come fare l’amore. Non solo dire ma proprio fare l’amore. È la lussuria della scrittura poetica. Catastrofe del linguaggio, direbbe Celan. Non usare il linguaggio come fosse uno strumento ma lasciarsi attraversare dal suo trauma, dall’impossibile a dire che esso porta con sé come il suo segreto più radicale. Per questo la parola d’amore è sempre poetica e viceversa, ogni parola poetica è parola d’amore.

Essa tocca l’impossibilità di fare e di essere Uno con l’Altro, l’illusione dell’intero, della congiunzione senza scarti dei Due.

Per questo la poesia d’amore rinuncia ad ogni proprietà, ad ogni appropriazione, ad ogni sequestro. E per questo uno dei gesti più alti dell’amore è quello di chiudere gli occhi, rinunciare alla vigilanza, perdere più che acquisire, dare più che avere, amare più che essere amati.

L’amore esige non solo il desiderio e la sua erotica ma, come meglio di tutti sanno ancora i poeti, anche la cura. Gli amanti sono cristalli che esigono di essere trattati con la “grazia dell’attenzione”, direbbe Simone Weil. Per questo l’incontro d’amore quando accade interrompe il deserto dell’esistenza e la sua incuria. Sospende provvisoriamente il nostro destino di esseri gettati nell’esistenza. Consente di scavare un rifugio, una nicchia, un angolo separato dall’atrocità della vita. Consente di non abdicare alla nostra vulnerabilità. Non si può che amare la vita inerme dell’amato. Non il suo prestigio o la sua gloria. Non il suo potere o il suo sapere. Non il suo avere o il suo regno.

Ma solo l’esigua vita intraducibile del nome proprio, il suo più nudo cuore.

Il libro – Non a te nudo amore di AA.VV. (Crocetti editore, a cura di Nicola Crocetti e Massimo Recalcati, pagg. 180, euro 17)


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