Lo scorso 28 settembre, a Pompei, la biblista Rosanna Virgili ha tenuto una meditazione per il clero delle diocesi campane sul tema “Il Vangelo del Creato”. Per gentile concessione pubblichiamo di seguito il testo della meditazione. Nella meditazione la biblista ha parlato di «ecologia creativa». Già nella creazione all’uomo è affidato il compito di «coltivare e custodire il giardino in mezzo alla steppa» in armonia con le altre creature. E «tutto vive» nella «relazione tra Dio e l’uomo» al fine di «generare vita» e «meraviglia». La rottura del patto produce a catena «infecondità» tra maschio e femmina, «ostilità» con le altre creature e tra fratelli, Caino e Abele. Con l’annuncio della Risurrezione il cristiano riceve di nuovo il dono della prima creazione e il dovere di salvaguardare il creato nella storia, ma molto di più, la nuova creazione e il dovere di custodire il corpo del Battesimo innestato in quello del Signore morto e risorto, in un impegno dinamico volto al futuro di cieli e terre nuove». Ecco l’«ecologia cristiana» capace di ridare «un posto visibile a Dio nella storia».
IL VANGELO DEL CREATO
Prendersi cura della casa comune
Il Vangelo ricevuto e trasmesso
“Vi ricordo, fratelli, il vangelo che vi ho annunciato, che voi avete anche ricevuto, nel quale state anche
saldi, mediante il quale siete salvati, purché lo riteniate quale ve l'ho annunciato; a meno che non abbiate
creduto invano. Poiché vi ho prima di tutto trasmesso, come l'ho ricevuto anch'io, che Cristo morì per i nostri
peccati, secondo le Scritture; che fu seppellito; che è stato risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture”
(1Cor 15,1-4).
Parlare del “Vangelo del creato” ha, per i cristiani, un legame originario: quello tra il creato e il
Vangelo, appunto. In quest’ultimo è una chiave, uno sguardo, una prospettiva da cui vedere il
mondo che, già nel nome “creato”, viene sottinteso come l’opera di un Creatore. Gli apostoli e
gli scrittori biblici del Nuovo Testamento hanno lasciato un Vangelo ai cristiani che è
sinteticamente espresso nei versetti soprastanti tratti dalla Prima Lettera di Paolo ai Corinti. Il
Vangelo che Paolo ha ricevuto e continua a trasmettere è un depositum innanzitutto di meraviglia,
di miracolo, di gioia: il sogno realizzato della Resurrezione! Lo sconfinamento del limite della
morte verso la terra promessa della Vita eterna. Il canto della libertà, la giustizia della
liberazione, la bellezza della luce che lacera la coltre delle tenebre. Un canto che attraversa,
però, il pianto della terra: “morì” e “fu sepolto”. L’allusione alla tomba, scavata nella terra, fa
pensare alla vitalità del grembo, fonte di vita, che si è trasformato nel gelo del sepolcro, in un
silenzio di morte. E in quel “morì” detto di Gesù, che Paolo ha ricevuto, la prima eredità umana,
trasmessa attraverso il “primo” uomo biblico, l’adam genesiaco; eredità che la “primizia di coloro
che sono risuscitati dai morti” (1Cor 15,20) – Gesù Cristo – ha riscattato, mutato, liberato,
rigenerato in un corpo risorto, il Suo.
Se questo è il nucleo del Vangelo, allora nel “Vangelo del creato” è implicata una responsabilità
per tutti noi: quella di rigenerare il mondo, attestando, così, la Resurrezione del Signore; un
“Vangelo per il creato”. Il creato ci è stato consegnato con luci e ombre ancorché nella sua anima
vi fosse l’anelito verso una luce assoluta. Tocca ai credenti, ai battezzati, innestati – col battesimo
- nel Corpo morto e risorto del Signore, “rivelare” al creato la sua pienezza e il suo compimento.
“Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi” dice ancora
Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 8,22). Il “Vangelo del Creato” è un work in progress, un opus
che spetta agli umani. La bellezza del creato lo illumina dal futuro e non dal passato. La terra ci
è stata consegnata come un piccolo “giardino” in mezzo a una grande steppa. La steppa è,
simbolicamente, quella dell’ingiustizia, della cupidigia, dello sfruttamento, della violenza, della
guerra, della morte: quanto è contenuto in quel “morì e fu sepolto” di Gesù. Il giardino è, invece,
simbolo della rifioritura della vita, oltre la morte: “è risorto ed è apparso”. Gesù risorto apparve,
infatti, ai suoi discepoli e, oggi, essi cono chiamati a darne testimonianza, a farne “vangelo per il
creato”.
I. Il Vangelo del creato: patti voluti e violati
Nel cuore del Medioevo, considerato nell’epoca dell’Illuminismo un “evo” di buio, un tempo di
oscurità in senso culturale e religioso, Francesco d’Assisi viene colpito da un raggio di splendore:
esso viene dalla terra, dal mondo, dal cosmo. Da quella che genericamente chiamiamo “la
natura”. Il Cantico di frate Sole squarcia il velo di morte e di peccato che forme talvolta eccessive
di spiritualismo avevano teso sul creato e sul mondo medievale, e lo rivela, al contrario, colmo
di colore, di luce e di bellezza. Forse solo unacanzone napoletana popolare come “O sole mio” può
suscitare la stessa meraviglia verso tutte le creature a partire, per l’appunto, dal sole:
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature spetialmente messor lu frate sole
lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo,
porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle: in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’ acqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
(Francesco d’Assisi, Cantico di frate sole, 1182 – 1226).
Sappiamo come Papa Francesco abbia dedicato e ispirato le sue due prime encicliche al Santo di
Assisi e a questo Cantico. Il titolo della prima è, non per nulla, la citazione dell’inizio del
ritornello del Cantico francescano: Laudato sì. Un canto di lode sapienziale che evoca il ritmo e
gli argomenti del primo capitolo della Genesi biblica: “Dio disse: "Sia la luce!". E la luce fu. Dio vide
che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le
tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo” (Gen 1,4-5). C’è un dato fondamentale nella
dinamica della creazione: tutte le cose sono create due a due: il cielo con la terra, il mare con
l’asciutto, il sole con la luna. Il creato è una rete di corrispondenze e di vitali relazioni; è
essenziale che nessun “patto” si rompa: quello del cielo con la terra come quello del mare con
l’asciutto. Il creato vive dell’ordine in cui le cose sono disposte, è fecondo perché ognuna di loro
è insostituibile; “Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo” dice il Qoèlet (cf 3,11). Ogni creatura scaturisce dalla parola di Dio: “Dio disse” e le cose furono (cf. Gen 1,6.9.11; ecc.).
All’origine del mondo non v’è forza né violenza, né guerra né competizione – come avviene in
altri miti di cosmogenesi del Vicino Oriente Antico – ma v’è solo quel seme di vita che è la
parola. Nell’essere pronunciata da Dio, la parola si fa cielo e terra, animali dell’aria e dell’acqua,
uomo e donna, allo stesso tempo. Rivelando così che ogni cosa viene all’essere come relazione,
fatta per unirsi all’altra e per unirsi in un rapporto di generativa libertà. Ogni estremo è disposto
per agire con l’altro, per costruire la pace: il mondo è retto dal ponte della parola, dalla giuntura
della “diplomazia”.
Le mani degli umani
Ma questo armonioso creato, uscito dalla bocca di Dio e in cui Egli si rivela, viene consegnato
nelle mani degli umani, affinché lo governino. Nel giorno di sabato Dio si ritira e lascia loro di
sviluppare e dare compimento alla sua opera. Nel secondo capitolo di Genesi questo diventa
esplicito:
“Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna
erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che
lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio
plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere
vivente” (Gen 2,4b-7).
La creazione del mondo è narrata nel suo evolversi: dapprima non c’è che steppa e nessun
cespuglio d’erba spunta dal suolo per mancanza di pioggia ma anche del lavoro dell’uomo. Si
introduce – simbolicamente – il tema della tecnica che sarà attività tipica dell’essere umano:
senza il lavoro dell’uomo non ci sarà un giardino in Eden! Un modo per dire cosa l’autore biblico
immaginava all’origine: la terra era stata resa un habitatadatto alla vita grazie al lavoro dell’uomo,
frutto non solo di sudore (come si dirà più tardi) ma, innanzitutto, della sua intelligenza
“scientifica” e delle sue capacità tecniche. Certamente da Dio verranno elementi essenziali quali
la pioggia e, poi, una sorgente d’acqua che spunta dal suolo e che si divide in quattro canali ad
avvolgere e rendere fecondo il suolo altrimenti desertico (cf Gen 2,5).
Un giardino nella steppa
Il giardino dove Dio “pose Adam” è un ambiente da “custodire e coltivare” ed ecco espressa la
responsabilità umana: non quella non di “conservare” ma di collaborare all’opera del Creatore
sviluppando e trasformando gli elementi. Dovremmo parlare, pertanto, di una “ecologia
creativa” e non conservativa, come spesso si intende.
In un testo sapienziale incastonato curiosamente nel libro di Giobbe si loda la sapienza che Dio
ha elargito all’uomo:
“L'uomo pone un termine alle tenebre
e fruga fino all'estremo limite,
fino alle rocce nel buio più fondo.
In luoghi remoti scavano gallerie (…)
Contro la selce l'uomo stende la mano,
sconvolge i monti fin dalle radici.
Nelle rocce scava canali
e su quanto è prezioso posa l'occhio.
Scandaglia il fondo dei fiumi
e quel che vi è nascosto porta alla luce” (Gb 28,3-11).
Si tratta delle attività tecniche da cui nasceranno - nei secoli futuri – anche quelle che chiamiamo
le “tecnologie”. Il Vangelo del creato non censura, dunque, le scienze praticate dall’uomo, al
contrario, le considera direttamente connesse con la Sapienza di Dio. Si tratta di un compito
culturale che attiva quelle che noi chiamiamo “civiltà”; la natura non è, infatti, “perfetta” in sé
stessa ma porta in sé sia la potenzialità del compimento della vita - e del bene - sia del suo
contrario, vale a dire della distruzione della stessa. A tale compito viene associato anche quello
politico espresso nella facoltà che Dio riconosce all’adam di dare i nomi a tutte le altre creature:
“Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse
all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli
esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli
del cielo e a tutti gli animali selvatici” (Gen 2,18-20).
Un munus che conferisce e carica sull’umano la responsabilità di governare le creature prive di
parola: il compito di dare ad ognuna il diritto e la dignità di abitare la terra, di avere il proprio
spazio e il proprio habitat, di essere l’una diversa dall’altra (= il nome) in modo che tutte insieme
possano vivere nella concordia e costruire un mondo plurale e coeso. Un “testo poetico”,
insomma, doveva essere il mondo; una liturgia corale e condivisa dove l’adam si poneva come
custode e costruttore di pace. Mentre, pertanto, il mondo va a comporsi come un’orchestra che
fa le prove per il più riuscito dei concerti, è l’adam che accetta e pone un limite perché non sia
cancellata la trascendenza come origine di ogni cosa: il Creatore che si è ritirato ma che ha lasciato
il segno di sé nella coppia, “immagine e somiglianza” sua. Senza la presenza dell’Altro non
resterebbe che univocità, solitudine e morte; senza la Trascendenza di Dio la luce si spegnerebbe
e il cosmo tornerebbe ad essere caos. Muto e indistinto.
Allo stesso modo l’uomo trova la via della trascendenza nell’altra, nella donna: “E il Signore Dio
disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda»” (Gen 2,18).
La vita dell’uno legata alla vita dell’altro
La relazione è strutturale al creato e alle creature. “La vita dell’uno è legata alla vita dell’altro” dice
Giuda al fratello Giuseppe a proposito di suo padre Giacobbe e il figlio Beniamino (cf. Gen
44,30). Per questo Dio stabilisce la dieta per gli animali terrestri: nessuno potrà cibarsi della
carne dell’altro. Un atto estremamente ecologico: la difesa della potenziale vittima del bisogno
primario di ogni animale: mangiare, nutrirsi, distruggere del cibo per trasformarlo in forza del
mio corpo. Non potrai farlo di un'altra “carne” dice Dio.
“Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che
produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli
esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. Dio
vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,29-31).
L’alleanza tra le varie creature, la dieta che non consente di versare il sangue, i nomi quindi il
diritto di coabitare nella libertà e nella reciprocità, costituiscono l’ordine del creato (kòsmos) la
sua armonia e la garanzia della sua stessa vita. Non c’è futuro se si rompono le alleanze! Ed è
proprio l’essere umano a dover custodire questa politeia su cui si regge il mondo.
Ma – ahimè! – nei racconti mitici che seguono in Genesi (cf. Gen 3-4), tutti i patti del Creato
sono rotti: quello tra l’umano e Dio; quello tra l’uomo e la donna; quello tra l’umano e gli altri
animali, poiché gli umani uccidono gli animali per cibarsene, riempiendo la terra di violenza (cf.
Gen 6,11); tra l’umano e i suoi simili/fratelli (Caino che uccide Abele), tra l’umano e la terra:
Caino rapina lo spazio della terra ad Abele (uccidere = togliere lo spazio sulla terra). Accade la
catastrofe di un mondo diviso e violento e alla logica della pace si sostituisce quella della guerra.
Dopo Caino – nei racconti che seguono e raggiungono l’acme col diluvio - il cosmo è infranto,
non c’è più ecologia, in senso letterale; il diluvio esprime, infatti, una de-creazione ancorchè a
scopo di purificazione. Certamente alla fine del diluvio Dio stringe una nuova alleanza con gli
umani, discendenti mitici di Noè, ma prende atto che gli uomini sono malvagi (cf. Gen 9,5-6) e
consente loro di mangiare la carne pur vietando di consumare il sangue (cf. Gen 9,4).
Il custode l’acqua
Questi testi di Genesi vogliono essere una sorta di eziologia metastorica della condizione del
creato post-diluviano (= l’attuale): il mondo è continuamente minacciato dal caos a causa di un
umano che originariamente “immagine e somiglianza” di Dio - quindi capace di armonia, vita e
bellezza, pace - ora è attaccato dalla volontà di distruzione, divisione, invasione dello spazio
dell’altro. Un quadro caotico che resta sino ad oggi. Nel giardino di Eden, attraverso i racconti
di Genesi, si predisponeva, un uso razionale e civile dell’acqua: il “custodire e coltivare”
dell’uomo indicava la sua capacità di scavare pozzi nelle regioni steppose o di costruire dighe che
convogliassero le acque del Nilo – o degli altri fiumi - verso impianti di irrigazione; l’allusione
del mito biblico era innanzitutto al dono dell’acqua fatto da Dio (la sorgente e i quattro fiumi cf.
Gen 2,10-14) ma anche alle tecniche studiate e predisposte dagli umani per dotare tutti di acqua
potabile. Quanto, una volta usciti dall’Eden, gli umani non fecero e non fanno ancor oggi: manca
una sapienza fraterna che riconosca a tutti il diritto di fruire del necessario per vivere; manca una
gestione umana e sapiente dell’acqua e degli altri beni primari per cui intere popolazioni sono
costrette alla sete o a bere acqua non potabile, mentre alcune – quelle più ricche, come le
popolazioni europee, australiane e americane del Nord – consumano, sprecando, la maggior
parte delle risorse idriche della terra.
Nella lunga avventura dell’Esodo, Mosè imparava da Dio a dare acqua agli esuli ebrei che
vagavano nel deserto, costretti dalla schiavitù subita in Egitto: stupende le scene dove la sete
viene sedata rendendo potabile l’acqua (cf. Es 15,22-26: le acque di Mara) o facendo scaturire
l’acqua dalla roccia (cf. Es 17,1-7). Racconti scritti e trasmessi che hanno molto da dire alla nostra
attualità, ai governanti e ai semplici cittadini, tutti corresponsabili nel creare o meno, politiche
di diritto ai beni primari, invece di lavarsi le mani rispetto alla disperazione di milioni di persone
che si vedono costrette ad emigrare dai loro Paesi a causa della siccità e della fame.
Alla fine del libro dell’Apocalisse c’è la visione una “Gerusalemme celeste” dove l’acqua sarà
gratuita, nessuno dovrà pagarla:
“Io sono l'Alfa e l'Omèga,
il Principio e la Fine.
A colui che ha sete
io darò gratuitamente da bere
alla fonte dell'acqua della vita” (21,6).
Una profezia che viene proiettata sulla fine dei tempi ma che comporta anche l’impegno di un
“già”, nel presente interno alla storia, per tutti coloro che sentono questa pagina come Parola di
Dio: compito dei cristiani è che il prezzo dell’acqua, la proprietà sulla stessa non generi
un’economia di ingiustizia e di arbitrio sulla vita dei più poveri, di coloro, cioè, che non potranno
bere perché non avranno di che pagare. Un delitto che grida agli occhi di Dio: nessun essere
umano, nessun governo, nessun potere o potentato è legittimato a disporre dell’acqua, vale a
dire della vita o della morte di un altro, tanti altri, continenti interi di creature di Dio.
Molti sono i passi di denuncia di una sciagurata “custodia dell’acqua” nella Laudato sì: “L’acqua
potabile e pulita rappresenta una questione di primaria importanza, perché è indispensabile per la vita
umana e per sostenere gli ecosistemi terrestri e acquatici. Le fonti di acqua dolce riforniscono i settori sanitari,
agropastorali e industriali. La disponibilità di acqua è rimasta relativamente costante per lungo tempo, ma
ora in molti luoghi la domanda supera l’offerta sostenibile, con gravi conseguenze a breve e lungo termine.
Grandi città, dipendenti da importanti riserve idriche, soffrono periodi di carenza della risorsa, che nei
momenti critici non viene amministrata sempre con una adeguata gestione e con imparzialità. La povertà di
acqua pubblica si ha specialmente in Africa, dove grandi settori della popolazione non accedono all’acqua
potabile sicura, o subiscono siccità che rendono difficile la produzione di cibo. In alcuni Paesi ci sono regioni
con abbondanza di acqua, mentre altre patiscono una grave carenza” (LS 28)
“Un problema particolarmente serio è quello della qualità dell’acqua disponibile per i poveri, che provoca
molte morti ogni giorno. Fra i poveri sono frequenti le malattie legate all’acqua, incluse quelle causate da
microorganismi e da sostanze chimiche. La dissenteria e il colera, dovuti a servizi igienici e riserve di acqua
inadeguati, sono un fatto- re significativo di sofferenza e di mortalità infantile. Le falde acquifere in molti
luoghi sono minacciate dall’inquinamento che producono alcune attività estrattive, agricole e industriali,
soprattutto in Pae- si dove mancano una regolamentazione e dei con- trolli sufficienti. Non pensiamo
solamente ai rifiuti delle fabbriche. I detergenti e i prodotti chimici che la popolazione utilizza in molti
luoghi del mondo continuano a riversarsi in fiumi, laghi e mari” (LS 29).
“Mentre la qualità dell’acqua disponibile peggiora costantemente, in alcuni luoghi avanza la tendenza a
privatizzare questa risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato. In realtà, l’accesso
all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la
sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo
ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare
ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità. Questo debito si salda in parte con maggiori
contributi economici per fornire acqua pulita e servizi di depurazione tra le popolazioni più povere. Però si
riscontra uno spreco di acqua non solo nei Paesi sviluppati, ma anche in quelli in via di sviluppo che
possiedono grandi riserve. Ciò evidenzia che il problema dell’acqua è in parte una questione educativa e
culturale, perché non vi è consapevolezza della gravità di tali comportamenti in un contesto di grande
inequità” (LS 30).
“Una maggiore scarsità di acqua provocherà l’aumento del costo degli alimenti e di vari prodotti che
dipendono dal suo uso. Alcuni studi hanno segnalato il rischio di subire un’acuta scarsità di acqua entro
pochi decenni se non si agisce con urgenza. Gli impatti ambientali potrebbero colpire miliardi di persone, e
d’altra parte è prevedibile che il controllo dell’acqua da parte di grandi imprese mondiali si trasformi in una
delle principali fonti di conflitto di questo secolo” (LS 31).
II. Il Vangelo sul creato
Col Vangelo i cristiani non ereditano, però, solo il morire e l’essere sepolto di Gesù in ciò che
simbolicamente abbiamo letto come la frattura delle alleanze e la minaccia della morte
sull’ecologia della vita. Su uno sfondo sacramentale la morte di Gesù assume la morte di Abele
e di tutti gli uccisi al mondo per mano dei loro fratelli (= gli altri umani). Anche Gesù ha subito
il fratricidio e non c’era nemmeno una tomba per accoglierlo se non fosse stato per la generosità
di Giuseppe di Arimatea. Ucciso come un malfattore e rigettato come carne maledetta. Il suo
corpo innocente è un compendio di tutti gli innocenti la cui vita è recisa e il cui sangue grida a
Dio dalla terra (cf Gen 4,10). Il primo grande atto di anti-ecologia è la strage degli innocenti che
continuamente si ripete sulla terra a corrompere la sua maternità. Un disprezzo cui reagisce
l’Amore di Dio e che si esprime nella incarnazione e resurrezione del Figlio.
Ed ecco la seconda parte del Cantico delle Creature:
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli che ‘l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare:
guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;
beati quelli che se trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ca la morte secunda no ‘l farà male.
La morte non farà male! La morte non sarà rigor mortis ma travaglio del parto, grazie alla
“rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8,19). Dinamismo dello Spirito che attiva una vittoria sulla
morte, una ecologia creativa, costruttiva, riconciliativa, riparativa. Quindi, ancora una volta,
non conservativa. Nel corpo risorto del Signore appare il rinnovamento del creato. Nel suo corpo
mistico si ricongiungono le alleanze interrotte, la resurrezione è l’opera della pace. Un’eredità
di profezia e di speranza che deve tradursi in atti pratici, concreti, storici. Ed ecco la
responsabilità di costruire la giustizia economica, politica, sociale. Di fare della terra – massacrata
dal caos delle divisioni, della malvagità, dell’ingordigia e delle guerre – un nuovo giardino di
Eden, una nuova terra promessa. Una nuova città, una nuova Gerusalemme, mirabilmente
descritta nell’Apocalisse:
"Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate" (Ap 21,3-4)
Questo è il messaggio e l’annuncio del Vangelo sul creato: esso apre un’opera di riscatto nella
storia, sulla scia della Resurrezione. Esige, pertanto l’impegno politico affinché nessun uomo,
donna né popolo siano schiavi di un altro; che la terra sia “madre” di tutti e tutti possano muoversi
in essa per cercare condizioni di vita possibili e migliori (= il diritto di migrare e il delitto di
erigere muri); che ci sia uno ius terrae fondato sul predicato che: “la terra è di Dio” concessa a
tutti in usufrutto perché fraternamente si costruisca la pace. Il Vangelo sul creato prevede che
ogni limes (“confine militarmente difeso”) debba tradursi in limen (“soglia”) in quel sogno che
l’amore del Signore ha reso una speranza, vale a dire che il mondo rinunci a concepirsi e volersi
come diviso, ferito, indegno, dove i ricchi rapinano spazi immensi di mondo confinando nelle
suburre i poveri e dove nessuno sa – come Caino – dove sia il proprio fratello.
La terra del Vangelo sarà bella, dolce, spaziosa, condivisa, donata - non “meritata”, né acquistata
con denaro - da un Dio padre per cui tutti siamo figli, sorelle e fratelli.
Sarà un Paese nato da un Giubileo, che giunge nell’ “oggi” del Signore Gesù:
“Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l'anno di grazia del Signore.
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti
erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi
avete ascoltato" (Lc 4,18-21).
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