Massimo Recalcati "Quei ragazzi così pieni di narcisismo da non tollerare un rifiuto"
intervista a Massimo Recalcati
a cura di Maria Novella De Luca
Professore, per cercare di capire cosa può aver armato la mano di Filippo Turetta, abbiamo
molto citato in questi giorni il “retaggio del patriarcato”. O sarebbe più giusto parlare di
quella ferita narcisistica che spesso lei ha chiamato in causa per descrivere il malessere dei
nostri adolescenti e post adolescenti?
«Il mito del nostro tempo è quello del successo individuale. Si tratta di un nuovo imperativo che
rende impossibile l’esperienza del fallimento. Chi corre piano o chi cade è tagliato fuori. Si tratta di
un vero e proprio culto della prestazione e del perfettismo.
Subire il rifiuto di una ragazza significa riconoscere i propri limiti,che non si può essere tutto né
avere tutto. Significa accettare una sconfitta delle proprie aspirazioni.
Per questo a volte il ricorso alla violenza sostituisce la dolorosa constatazione della propria
insufficienza. È una tendenza del nostro tempo: rifiutare l’ostacolo, la perdita, il fallimento, il
dolore».
Possiamo provare a spiegare che cosa intendiamo quando parliamo del narcisismo di questa
generazione? È davvero il loro malessere?
«Il narcisismo dei figli è sempre un prodotto di quello dei genitori. Oggi una delle angosce più
diffuse tra i genitori è quella di tutelare i loro figli proprio dal rischio del fallimento e della caduta.
Questo non aiuta i figli ad assumere la responsabilità delle loro parole e delle loro azioni. E,
soprattutto, a comprendere che è proprio attraverso la caduta e il fallimento che la vita dei nostri
figli acquista una forma effettiva. Sono gli adulti responsabili di non trasmettere ai figli il senso
della legge, ovvero che non si può essere tutto, avere tutto, sapere tutto, fare tutto…».
Quanto lo specchio dei social influisce nello spingerli al confronto esasperato provocando
anche depressioni e frustrazioni?
«Il mondo social nei suoi aspetti più patologici esalta il perfettismo e il principio di prestazione.
Non c’è in quel luogo alcuna confidenza con l’esperienza della caduta e della solitudine. Tutto deve
apparire perfetto. Anche l’eventuale caduta diviene in certi casi un modo per raccogliere like… È
una virtualità narcisistica dove tutto deve apparire ideale».
Quale può essere il meccanismo che scatta nella testa di un giovane di 22 anni che uccide la
sua fidanzata più brava negli studi, più sicura, aggrappandosi alla propria fragilità per non
farsi lasciare? L’incapacità di questa generazione di maschi di accettare la forza delle donne?
«Non solo dei maschi di oggi. Da sempre gli uomini che odiano le donne sono uomini che non
sopportano la loro libertà. L’ideologia del patriarcato si è retta su questo principio repressivo di
fondo: negare sistematicamente la libertà delle donne. Non a caso Adorno e Horkheimer
assimilavano la libertà delle donne alla libertà dell’ebreo. C’è qualcosa di insopportabile, di
intollerabile nell’una e nell’altra. Sono il rimosso dell’Occidente. Per questa generazione specifica
di maschi il problema si è complicato, almeno per un verso, perché riconoscere di non essere tutto
per l’altro è una ferita narcisistica insopportabile. Ma non dobbiamo dimenticare che al fondo di
ogni narcisista c’è il buio della depressione. Non è tanto l’invidia ad avere spinto Filippo ad
uccidere, ma la frattura di un legame che per lui costituiva la sola salvezza possibile dal buio della
depressione. Una rottura che avviene in due tempi: il primo è quello nel quale Giulia dichiara la fine
del suo amore; il secondo quando si approssima a discutere la sua tesi di laurea. Sono due fratture
irreversibili inflitte all’ideale della coppia simbiotica».
In che modo gli adulti possono entrare in contatto e prevenire tragedie che nascono dalla
ferita narcisistica?
«Non servirà certo introdurre nelle scuole un’ora di educazione affettiva, sessuale o sentimentale …
Il rispetto per l’altro e, in particolare, per le donne non è una materia specialistica come lo sono la
chimica o la letteratura. Sarebbe come pensare che per costruire buoni cittadini sia sufficiente
un’ora di educazione civica alla settimana. La cultura del rispetto della differenza avviene
innanzitutto nelle famiglie e nella Scuola. Sono la famiglia e la Scuola i due principali educatori con
il compito di alimentare nei nostri figli la cultura del rispetto della differenza: la testimonianza dal
lato della famiglia che possano esistere relazioni ispirate dalla cura e dalla accoglienza e la cultura
dal lato della Scuola come antidoto nei confronti della violenza».