Massimo Recalcati "Israele-Hamas, gli occhi chiusi sulla realtà"
La Repubblica, venerdì 19 ottobre 2023
L’Occidente democratico non sembra voler riconoscere il carattere epocale della strage del 7 ottobre
perpetrata da Hamas. Migliaia di esecuzioni di civili uccisi a sangue freddo o barbaramente
trucidati, centinaia di ostaggi e feriti, devono essere rimossi il più rapidamente possibile per
ricordare che se c’è il terrorismo di Hamas è perché c’è una dittatura inumana — quella israeliana
— che ha relegato il popolo palestinese in una condizione di asservimento insopportabile. Quello
che colpisce non è questo ragionamento, il quale presuppone elementi di verità, ma l’immediatezza
con la quale si è espresso.
La ferocia inaudita dell’attentato terroristico non avrebbe dovuto suscitare innanzitutto sdegno e
solidarietà incondizionata? In primo piano, invece, si è manifestata una tendenza irresistibile che da
ventidue secoli attraversa l’Occidente: individuare nel popolo ebraico la sola e unica causa del
proprio male. È la tendenza dell’antisemitismo che dipinge l’ebreo come incarnazione del male,
dello spirito perfido e predatorio del peggiore capitalismo, come deicida, colpevole di non avere
saputo riconoscere il vero Dio, ecc.
Non a caso in La finzione del politico, Lacoue-Labarthe ricorda come il trattamento riservato agli
ebrei nella Shoah sia lo stesso riservato ai rifiuti industriali o ai parassiti... Di qui la sottovalutazione
della condizione estremamente difficile in cui si trova lo Stato di Israele dal tempo della sua nascita:
figlio di uno sterminio senza uguali nella storia dell’umanità, circondato da Paesi ostili che sin dal
giorno della sua costituzione hanno scatenato guerre finalizzate al suo annientamento, oggetto di un
pregiudizio ideologico rabbioso, ecc… In gioco mi pare essere un vero e proprio fenomeno di
scissione. In che cosa consiste, in un senso anche clinico, una scissione? Consiste nello
sdoppiamento della visione delle cose in modo tale che una parte di questa visione, quella più
insopportabile per il soggetto, possa venire cancellata, annullata, soppressa. Ne risulta,
inevitabilmente, uno sguardo afflitto da macchie cieche, incapace di cogliere l’intero.
Nel caso specifico di Israele, si tratta di uno sguardo offuscato dalla cataratta ideologica
dell’antisemitismo. Ma questa cataratta è la stessa che impedisce allo stesso governo di Israele di
vedere come le sue politiche più segregative non favoriscano affatto la pace in Medio Oriente.
Anche in questo caso è all’opera un chiaro fenomeno di scissione: come non vedere che sottoporre
un popolo alla compressione sistematica dei propri diritti può provocare un terreno di coltura per
l’esercizio della violenza?
In questi giorni si attende una reazione militare da parte di Israele che si annuncia essere senza
precedenti. Il suo diritto a punire i responsabili della mattanza e a difendere la sua identità è
legittimo. Netanyahu, che ha sulla coscienza l’inasprimento di una politica anti-palestinese miope e
discriminatoria, cavalca questa esigenza collettiva.
Nondimeno, nell’opinione pubblica israeliana, tendenzialmente ricompattata dallo stato di guerra, si
alzano voci dissonanti. Per esempio quelle dei familiari degli ostaggi che esigono che si faccia tutto
il possibile per salvare i loro cari. Se il governo israeliano ascoltasse con attenzione e rispetto queste
voci potrebbe dare prova esemplare della sua natura democratica evitando di cadere nella terribile
tentazione della vendetta che rischia di confondere il gruppo terrorista di Hamas con il popolo
palestinese.
Porre la priorità degli ostaggi significherebbe ricordare che la democrazia è la vera alternativa ad
ogni forma di fanatismo perché è innanzitutto difesa del valore irriducibile delle vite di ciascuno. È
quello che la ferocia di Hamas vorrebbe invece cancellare nel nome di un Dio folle che esige la
distruzione dello Stato di Israele. Non a caso l’astuzia cinica del gruppo terrorista utilizza gli
ostaggi come scudi umani, come sta facendo, del resto, anche con quella parte del popolo
palestinese che non può allontanarsi da Gaza.
I due estremi tendono sempre a toccarsi: la necessità della distruzione di Israele è una vera e propria
macchia cieca che rischia di compromettere la causa palestinese; il radicalismo nazionalista sionista
anziché raggiungere la pace fomenta di fatto l’odio per Israele. Ma non dobbiamo dimenticare che
la scissione delle scissioni in Occidente è proprio quella dell’antisemitismo. Una scissione che
perdura indistruttibile nonostante l’Europa oggi emetta leggi e provvedimenti miranti a colpire chi
ne fa l’apologia. Le manifestazioni di odio per Israele nel nostro Paese, in un momento nel quale
avrebbe dovuto predominare quantomeno un comune sentimento di pietas, mostrano quanto la
scissione antisemita sia ancora drammaticamente viva. Essere autenticamente democratici
significherebbe operare sempre contro la tentazione della scissione favorendo processi di
integrazione e di inclusione. Non è solo un criterio per definire la salute mentale ma anche quella
politica di un popolo.