Giuseppe Lorizio "Il sacro e il potere"
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In particolare, un passaggio cruciale interpella la teologia e chiede un ulteriore approfondimento: gli abusi troverebbero il loro humus in «una struttura gerarchica investita di potere sacro, che fa sì che sacerdoti, religiosi e vescovi vengano considerati esseri superiori, non grazie a competenze personali o professionali, ma semplicemente perché ricoprono un ruolo. Questo è aggravato dal fatto che questo privilegio viene ricondotto alla sfera divina, quindi a qualcosa che sta al di là di qualsiasi giustizia terrena. Noi siamo considerati un mondo a parte e questo teologicamente è molto pericoloso perché non rispetta il pilastro del cristianesimo, cioè che Gesù Cristo si è fatto uomo accettando di sottoporsi alla giustizia terrena».
«Dottrina cattolica»
Facile a questo punto, come suol dirsi, «affondare il dito nella piaga» e se ne occupa l’amico e collega Fulvio Ferrario, apprezzato teologo valdese sul suo blog, allorché, dopo aver precisato che non si possa trarre spunto da queste affermazioni per introdurre una polemica tra confessioni cristiane, afferma: «è giusto rilevare, però, che Zollner formula, a modo proprio, alcune delle fondamentali obiezioni evangeliche alla dottrina cattolica del ministero, che è il perno (non UN, ma IL perno) della dottrina cattolica della Chiesa».
Qualche distinguo si rende necessario, anche perché, se la realtà corrispondesse a quanto qui descritto, non si capirebbe perché persone come padre Zollner e il sottoscritto, ma anche tante altre, si ostinerebbero a restare «cattolici» fin nelle midolla. E la prima distinzione riguarda quella che Ferrario chiama la «dottrina cattolica» e la «mentalità diffusa».
Quanto al primo lemma, non possiamo dimenticare la lezione del concilio ecumenico Vaticano II circa il ministero, all’interno di un processo di riconciliazione con la modernità e conseguentemente di «de-sacralizzazione» delle figure ministeriali. Un magistero che si innesta in una tradizione da intendersi in maniera molto più ampia rispetto a quanto il tradizionalismo sostiene, rifacendosi soltanto a quanto enunziato a partire dal concilio di Trento (con la relativa enfasi sulla ritualità del messale di san Pio V).
Di qui una provocazione salutare, quale quella messa in campo dal collega evangelico: l’impegno a far sì che l’ultimo concilio venga recepito e assimilato nella forma mentis dei credenti, sia a livello personale che comunitario. E su tutto ciò ci stiamo interrogando e stiamo lavorando a sessant’anni dalla sua celebrazione.
«Mentalità diffusa»
Più problematico il riferimento alla «mentalità diffusa», in quanto sono in molti, preti e laici, a non aver recepito la visione di Chiesa e di ministero presente nel Vaticano II, per cui si continua a rappresentare una forma sacralizzata (e oserei dire “pagana”) delle figure ministeriali.
In tal senso, piuttosto che intestare al rinnovamento conciliare i mali della comunità ecclesiale, essi vanno invece ricondotti al persistere di mentalità, atteggiamenti, comportamenti e rappresentazioni di tipo pre-conciliare. A tal proposito, nel furore della polemica antiprotestante post-tridentina, si è spesso caduti nel tranello di identificare la «sacramentalità del ministero» con la «sacralità del potere» (operazione in verità già presente in età medievale).
La differenza è abissale e non la coglie solo chi si ostina a non voler riconoscere la faticosa conversione ecclesiale che ci ha condotti a percepire e a vivere sempre più il ministero come servizio. Qui occorre distinguere con attenzione tali «reazioni» da quanto di autentico è stato trasmesso nella Chiesa attraverso i secoli che ci hanno preceduto.
In ogni caso, anche a questo livello, mentre permangono atteggiamenti «sacralizzanti» il ministero, in particolare del diacono, del prete e del vescovo, bisogna avere il prosciutto sugli occhi per non vedere forme e prassi consolidate e presenti nei territori, in cui, soprattutto i preti si presentano alle loro comunità e nelle città e nei borghi in cui vivono con un profondo senso del «servizio» che sono chiamati a rendere, con tutti i difetti e i limiti del loro essere umani.
Provocazioni salutari
In conclusione, la «dottrina cattolica» sulla Chiesa e sui ministeri non si orienta a partire dalla «sacralità del potere», bensì dalla «sacramentalità del ministero». E su questo va tenuto aperto il dialogo con i fratelli evangelici.
In questa prospettiva ogni sacralizzazione del potere, in quanto genera abusi (e non solo in ambito sessuale) va denunziata e perseguita e ciò non tanto a livello giuridico, ma nella formazione delle coscienze dei candidati ai ministeri e dei laici, chiamati a comprendere fino in fondo il carattere diakonico, ossia di servizio, che ogni forma di ministerialità è chiamata a vivere.
Rimanere convintamente cattolici, pur lasciandosi provocare dalle riflessioni di fratelli di altre appartenenze, significa quindi rimboccarsi le maniche semplicemente perché il messaggio del Vaticano II sia finalmente compreso, ben interpretato e vissuto dalla base ai livelli alti della comunità.
Fonte: Settimana News