Umberto Galimberti: «Non si può proprio fare a meno di Gesù»
intervista a Umberto Galimberti a cura di Paolo Campostrini
17 Luglio 2023
«Io? Non sono né ateo né credente». Ma ha scritto un libro su Gesù, professor Galimberti. «L'ho
scritto. Con un grande biblista, Ludwig Monti. L'ho scritto per i bambini perché vorrei che
studiassero il catechismo». Ecco un grande laico che difende l'ora di religione. E la ragione è che,
dice, ignorando la religione i ragazzi che diventeranno uomini e donne non capiranno niente di
storia dell'arte. Di tutta la nostra cultura artistica fatta di flagellazioni, santi e sante. E qui viene
fuori l'idea guida del libro di Umberto Galimberti e di quello che lo studioso di antropologia
culturale, filosofia della storia, psicologia dinamica che insegna a Ca' Foscari, scrittore, ricercatore
di neuroscienze e psichiatria, pensa della questione. E cioè che la fede è una cosa e la religione
un'altra. La prima è raggiungibile attraverso vie imperscrutabili, è il luogo del contatto col sacro e
dunque con i misteri della morte e della vita che stanno chiusi nella nostra coscienza di uomini; la
seconda, la religione, non è altro che "la sacralizzazione della cultura". Dice così. Lo è per il
cristianesimo come per l'Islam. Forse meno per l'ebraismo. È dunque il luogo fisico dove quello che
siamo prima della fede, quello che sappiamo del mondo, il modo in cui guardiamo l'universo, la
letteratura, i miti, l'arte, la scienza, viene riversato e prende forma di legge. Di struttura. E dove c'è
struttura sfuma l'afflato, si disfa la nostra paura delle cose ultime. Siamo rassicurati dalle norme, ed
è questo il centro della questione. E poi l'affondo: "Gesù non ha mai fondato una religione". Ecco
dove ci conduce un libro impaginato come quelli delle favole, semplice e pure illustrato. Si intitola
"Le parole di Gesù" (Feltrinelli editore). Ci prende per mano e pone degli interessanti interrogativi.
Che attengono al fatto che abbiamo del Messia un'idea un po' troppo mediata dalla religione che si è
affermata dopo di lui. Perdendo di vista il modo con il quale Gesù vedeva il mondo, noi tutti e
anche il suo rapporto con Dio.
Da dove partiamo professor Galimberti?
Da una parola.
Italiana, latina?
No aramaica. La lingua di Gesù. La parola è "emet". Vuol dire azione. Ma anche verità. Non è un
caso che nell'Israele di allora un po' tutti comprendessero o fossero a conoscenza di questi
significati.
Anche Gesù, naturalmente.
Lui per primo. Quando dice "io sono la via, la verità e la vita", dice cose che gli ebrei
comprendevano.
Noi un po' meno?
Molto meno. Quando dice vita sa che nel vecchio testamento il Dio dagli ebrei è chiamato "il
Vivente". Il nemico di Dio non è il peccato come ora crediamo: il nemico di Dio è la morte. La via è
poi quella della salvezza, che lui indica. Non è una differenza da poco.
E la verità-emet, professor Galimberti?
Ecco il punto. La verità sta nel fare. Nell'agire ora. Non c'è la contemplazione degli antichi greci
che poi hanno influenzato tutta la nostra cultura occidentale. Gesù ci chiede di mettere in pratica.
Rifugge dalla teoria delle religioni consolidate. E ci dice una cosa fondamentale: la salvezza non sta
nel futuro, la salvezza è adesso. È nei comportamenti quotidiani.
E come si fa?
Lo dice nel discorso della montagna. Quando spiega che la salvezza sta nel vestire gli ignudi, nel
dare da mangiare agli affamati nel proteggere e aiutare i profughi, i senza patria, gli indifesi e i
bisognosi. E chi racconta egli stesso che mise in pratica tanto di questi precetti?
Dica.
Il samaritano. Dagli ebrei tradizionalisti considerato alla stregua di un eretico.
È questo il "prossimo", quando dice aiuta il prossimo tuo?
Dice di più, altro punto decisivo di coniugazione del concetto di verità con quello di azione. Di fare.
Noi siamo il prossimo.
Che significa?
Che sono io che devo farmi prossimo del bisognoso, devo approssimarmi a lui. Questa è una vera e
propria azione. Non c'è un prossimo teorico, lontano, straniero o sconosciuto. Noi siamo il prossimo
per chi non ha nulla e chiede aiuto. Non lui.
È un Gesù che si stacca dall''iconografia e dai messali il suo.
E certo. Lui è quello che dice di essere.
Che dice dunque di se Gesù?
Ad esempio non dice mai, mai in nessun passo dei vangeli di essere il figlio di Dio. L'unico a dirlo è
un romano, il governatore Pilato quando lo interroga. Gli chiede se è figlio di Dio e lui risponde: tu
l'hai detto. Inteso, non io.
Poi arriva la morte, la sua morte. Il nemico. E allora?
Gesù giunge a dubitare di Dio. Lo fa perchè ha sempre detto di se di essere "figlio dell'uomo". Lui è
noi. Quando si approssima la cattura, ai Getsemani, mette in dubbio la reale volontà di Dio di
salvarlo dalla morte. E infatti gli dice non "Se puoi salvami" ma, molto chiaramente: "se vuoi". Non
si fida abbastanza. E poi sulla croce si arrischia anche in una bestemmia: perché mi hai
abbandonato?
Lei pone un confine netto tra fede e religione. Perchè?
Lo pone per primo Gesù. Chi sono gli unici che condanna quasi senza appello apparente? I
sacerdoti del tempio. Quelli che custodiscono la sua religione consolidata. Non si fida della
religione. Dice infatti: "Guai a voi". Lui perdona tutti ma non i sacerdoti.
I custodi della teoria?
La teoria, non il fare-emet.
E la religione cristiana?
La fonda San Paolo, non Gesù. Nel 51 dopo Cristo, nel primo concilio, a Gerusalemme. Lì, San
Paolo e San Pietro arrivano anche a litigare. Pietro vorrebbe che il nuovo verbo fosse destinato solo
agli ebrei, ai custodi del testamento, Paolo no, vuole estenderlo ai gentili, alle altre genti. E toglie
anche la circoncisione per avere più seguito.
Perchè la religione è solo sacralizzazione della cultura?
Sacralizza la cultura romana Costantino. Per l'impero. Poi lo fa Carlo Magno, per il sacro romano
impero. Poi arriva la scoperta dell'America. Colombo scambia i battesimi con l'oro degli indigeni.
Infine arriva il Concilio Vaticano II che chiude il cerchio.
Ma come, il concilio di papa Giovanni?
Il Vaticano II si riconcilia col laicismo. Sacralizzando alla fine anche la cultura moderna. Ma spegne
la liturgia, i canti, il latino.
Non fu un bene?
Non per la fede. La fede non si raggiunge con la ragione. La fede ha bisogno di un apparato
emozionale. Gli ortodossi celebrano ancora in greco antico che nessuno conosce. Ma alla fine tutti
capiscono. Come comprendevamo tutti il senso del sacro ascoltando nelle chiese il gregoriano o
facendoci avvolgere dal latino.
Ma il prete girava le spalle ai fedeli.
Ma si rivolgeva all'altare e dunque a Dio. Il sacro era lì.
E invece adesso?
Si parla di sesso, di droga, di questioni sociali, di disoccupazione. E ne parlano i preti in chiesa.
Ecco, stiamo di nuovo sacralizzando la nostra cultura di oggi dopo quella di ieri.
Perché ha scritto il libro?
Per i bambini. Prima ragione. Non fanno più catechismo. Dovrebbero invece sapere cos'è il diavolo,
Cristo, la fede, la crocifissione, la flagellazione. Se no non capiranno nulla di arte. Della nostra arte,
di quella europea più bella. E poi perché sono arrabbiato con chi oggi si dice cristiano, come il
nostro premier, o porta sempre il crocifisso come il nostro ministro. E non fanno verità-azione,
quella che chiede di mettere in pratica Gesù. Per prima cosa: ero profugo e mi avete aiutato, ero
straniero e mi avete accolto.
Emet?
Appunto.