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Vito Mancuso "Laicità, un equilibrio difficile che affonda le radici nella storia"

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Lo Statuto Albertino, cioè la Costituzione che resse il Regno di Sardegna dal 1848 e poi l’Italia unita dal 1861 fino alla Repubblica, all'art. 1 recitava così: “La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi”.

La stessa impostazione si ritrova in altre Costituzioni di quel fatidico 1848, come lo Statuto del Granducato di Toscana e la Costituzione del Ducato di Parma. La prospettiva è invece più intollerante nell’art. 3 della Costituzione del Regno delle Due Sicilie, sempre dello stesso anno: “L’unica religione dello Stato sarà sempre la cristiana cattolica apostolica romana, senza che possa mai essere permesso l’esercizio di alcun’altra religione” (art. 3). Infine nella Costituzione della Repubblica Sociale del 1943 si legge: “La religione cattolica apostolica e romana è la sola religione della Repubblica Sociale Italiana” (art. 6). 

Con o senza tolleranza verso gli altri culti, quanto rimane comunque invariato fino alla Costituzione repubblicana del 1948 è la proclamazione del cattolicesimo quale religione di Stato. Il che insegna che la laicità non è originaria, lo è piuttosto la commistione tra religione e politica, anzi spesso la loro sovrapposizione: il faraone è divino, l’imperatore è divino; e, sull’altro versante, il papa è re, la Chiesa è uno Stato. Nel passato ogni Stato ebbe una sua religione e la Chiesa una sua politica, non senza una serie di invasioni di campo da una parte e dall’altra. Nel primo caso si pensi allo Stato pontificio che, a clamorosa smentita della laicità, per più di mille anni (728-1870) governò buona parte d’Italia reprimendo il libero pensiero, la democrazia liberale, i diritti umani. Ecco, per esempio, quanto scriveva Leone XIII nel 1888: “Non è lecito invocare, difendere, concedere un’ibrida libertà di pensiero, di stampa, di insegnamento o di culto, come fossero altrettanti diritti che la natura ha attribuito all’uomo” (Libertas praestantissimum, in DH 3252). Per quanto riguarda invece l’invasione della politica nella sfera religiosa si pensi alla furia iconoclasta della Rivoluzione francese, alla soppressione e spogliazione dei monasteri da parte di Napoleone, all’uccisione di preti e suore durante la guerra civile spagnola, ai moltissimi credenti eliminati dai comunisti. Questa permanente trasgressione dei confini genera un sospetto: la distinzione in cui consiste la laicità non è troppo delicata per la storia reale? 

È proprio per questo che sono quanto mai preziosi gli articoli 7 e 8 della nostra Costituzione: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”, con il seguito dell’articolo che rimanda ai Patti Lateranensi del 1929, rivisti nel 1984, per la concreta gestione delle varie materie. Ed ecco l’art. 8: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”. 

La teoria della distinzione tra religione e politica, in verità, è antica, perché risale a Gesù, a quando cercarono di metterlo in difficoltà interrogandolo sulla liceità delle tasse ai romani ed egli fattosi dare una moneta rispose: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Matteo 22,21). Questa frase è all’origine della separazione Stato-Chiesa e del moderno concetto di laicità che caratterizza oggi la politica occidentale, ma è tutt’altro che di semplice applicazione perché nella realtà è spesso difficile distinguere quanto è “di Cesare” da quanto è “di Dio”: si pensi, per esempio, agli ambiti di scuola, vita e famiglia rispetto a cui papa Benedetto XVI giunse a parlare di “principi non negoziabili”. Per quanto concerne la bioetica e il diritto familiare sono le cronache quotidiane a mostrare come la distinzione tra quanto è “di Cesare” e quanto è “di Dio” sia spesso molto complicata, e per quanto riguarda la scuola si pensi ai finanziamenti statali alle scuole private cattoliche e all’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, su cui ora mi soffermo. 

L’art. 33 della nostra Costituzione dichiara: “Enti privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituzioni di educazione, senza oneri per lo Stato”. Molto inchiostro è stato versato sul quel “senza oneri per lo Stato”, ma a tutt’oggi io rimango convinto che esso semplicemente significhi che lo Stato non deve finanziare in nessun modo chi vuole avere una propria scuola diversa da quella statale (la quale lo sa il Cielo quanto abbia bisogno di fondi). Vi è poi la questione dell’insegnamento della religione, al cui riguardo il punto fermo del ragionamento è il fatto che oggi lo Stato non ha più una sua religione. Perché allora nelle scuole si insegna la religione cattolica, con programmi e docenti scelti dalle autorità episcopali? Questa situazione innaturale costringe a rendere facoltativo l’insegnamento della religione, il che è palesemente insensato, visto che la religione appartiene da sempre al cammino dell’umanità e oggi è particolarmente necessaria per comprendere la geopolitica contemporanea. Come sono obbligatorie l’arte, la musica, la filosofia, la letteratura e altre espressioni dello spirito umano, così dovrebbe esserlo la religione, perché come non esistono civiltà senza arte o letteratura, così non ne esistono senza religione. Anzi, per capire sia l’arte sia la letteratura occorre conoscere la religione, come sa chiunque apra la Divina Commedia o guardi alla pittura italiana. La religione, quindi, dovrebbe tornare a essere obbligatoria, ma è evidente che al momento non può che rimanere facoltativa perché in Italia il suo insegnamento non è laico ma confessionale. Il che mostra come il cammino verso la laicità auspicata dall’art. 7 della nostra bellissima Costituzione sia ben lungi dall’essere concluso. 


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