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Sinodo e voto alle donne: fu vera rivoluzione?

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Un comunicato della Segreteria generale del Sinodo ha annunciato che anche laici e in particolare donne e giovani potranno essere membri votanti alla prossima Assemblea del Sinodo dei vescovi di ottobre. 

Saranno (forse) i posteri a dare l’ardua sentenza. Ma già oggi è per noi possibile sbilanciarci e dire che sì, le modifiche che sono state annunciate il 26 aprile scorso dai cardinali Mario Grech, segretario generale della Segreteria del Sinodo, e Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e relatore generale della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, costituiscono realmente una piccola rivoluzione: effettiva, perché introducono una componente non episcopale che avrà diritto di voto, e simbolica, perché all’interno di questa nuova componente vi sarà un numero significativo di donne. 

Da organismo-evento a processo 

Infatti dentro a un organismo, che però è anche un evento (l’Assemblea di ottobre) che si è trasformato in un processo (dall’ascolto alle due assemblee del 2023 e 2024) e che è denominato «Sinodo dei vescovi» (nato evidentemente come un genitivo prevalentemente possessivo), è stato inserito a modo di «memoria» – dice il comunicato della Segreteria del Sinodo – l’elemento che sarebbe stato mancante nell’Assemblea di ottobre per dare completezza all’intero «popolo di Dio», la cui voce è stata ascoltata in questa prima fase. 

Il tutto senza che questo configuri una «rappresentanza» nel senso politico del termine. 

Vediamo nel dettaglio: dunque i due cardinali – recita il comunicato – «hanno informato la stampa circa la decisione del santo padre di estendere la partecipazione all’Assemblea sinodale a “non vescovi” (presbiteri, diaconi, consacrate e consacrati, laici e laiche)». Nella prospettiva di una «Chiesa tutta sinodale» va «compresa la decisione del santo padre di mantenere la specificità episcopale dell’Assemblea convocata a Roma, ma al tempo stesso di non limitarne la composizione ai soli vescovi, ammettendo un certo numero di non vescovi come membri a pieno titolo». 

Nel registro della memoria, non della rappresentanza 

Questa decisione, prosegue il comunicato, «rinforza la solidità del processo nel suo insieme, incorporando nell’Assemblea la memoria viva della fase preparatoria, attraverso la presenza di alcuni di coloro che ne sono stati protagonisti, restituendo così l’immagine di una Chiesa-popolo di Dio, fondata sulla relazione costitutiva tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, e dando visibilità alla relazione di circolarità tra la funzione di profezia del popolo di Dio e quella di discernimento dei pastori». 

È dunque «nel registro della memoria», conclude il comunicato, «che si iscrive la presenza dei non vescovi, e non in quello della rappresentanza. In questo modo la specificità episcopale dell’Assemblea sinodale non risulta intaccata, ma addirittura confermata. Lo mostra innanzi tutto il rapporto numerico tra vescovi e non vescovi, risultando questi ultimi meno del 25% del totale dei membri dell’Assemblea. Ma soprattutto lo evidenziano le modalità di designazione dei non vescovi: essi infatti non sono eletti da un qualche demos o coetus, di cui assumerebbero la rappresentanza, ma sono nominati dal santo padre su proposta degli organi attraverso cui si realizza la collegialità episcopale a livello di aree continentali, radicando la loro presenza nell’esercizio del discernimento dei pastori». 

In realtà le modifiche sono 4 (il tutto si trova in un file di domande-risposte linkabile dalla pagina del comunicato). 

Domande-risposte sulle modifiche 

1) «Anche le (arci)diocesi che non fanno parte di una conferenza episcopale potranno eleggere un vescovo». 

2) «Non sono più presenti i 10 chierici appartenenti a istituti di vita consacrata, eletti dalle rispettive organizzazioni che rappresentano i superiori generali. Vengono sostituiti da 5 religiose e 5 religiosi appartenenti a istituti di vita consacrata, eletti dalle rispettive organizzazioni che rappresentano le superiore generali e i superiori generali. In quanto membri hanno diritto di voto». 

3) «Non ci sono più gli uditori, ma si aggiungono altri 70 membri non vescovi che rappresentano altri fedeli del popolo di Dio (sacerdoti, consacrate/i, diaconi, fedeli laici) e che provengono dalle Chiese locali. Vengono scelti dal papa da un elenco di 140 persone individuate (e non elette) dalle 5 riunioni internazionali di conferenze episcopali (CELAM, CCEE, SECAM, FABC, FCBCO), dall’Assemblea dei patriarchi delle Chiese orientali cattoliche e, in modo congiunto, dalla Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti e dalla Conferenza dei vescovi cattolici del Canada (20 per ognuna di queste realtà ecclesiali). Si è seguita la ripartizione territoriale adottata per la celebrazione delle assemblee sinodali continentali della Tappa continentale. Si chiede che il 50% di loro siano donne e che si valorizzi anche la presenza di giovani. Nella loro individuazione si tiene conto non solo della loro cultura generale e della loro prudenza, ma anche della loro conoscenza, teorica e pratica, oltre alla loro partecipazione a vario titolo nel processo sinodale. In quanto membri hanno diritto di voto. Inoltre, oltre ai 70 membri non vescovi di cui sopra è opportuno ricordare che, anche tra i membri di nomina pontificia, sarà possibile aver membri non-vescovi». 

4) «I rappresentanti dei dicasteri che parteciperanno, sono quelli indicati dal santo padre», che – possiamo esserne sicuri – ne ridurrà significativamente la presenza. 

Quale rapporto con le forme «democratiche» 

Alcune considerazioni anche alla luce dell’interessante congresso internazionale che dal 27 al 29 aprile si è tenuto alla Pontificia Università Gregoriana su «La teologia alla prova della sinodalità», su cui torneremo più ampiamente in un altro commento. 

In definitiva rimane confermato il dispositivo in base al quale sinodi dei vescovi, consigli dei gerarchi delle Chiese orientali cattoliche e conferenze episcopali sono gli unici organismi che hanno il potere di eleggere (a scrutinio segreto) delegati (vescovi) all’Assemblea secondo quanto previsto dal can. 346 del Codice di diritto canonico. La novità sta che gli organismi dei religiosi sono comparati ai precedenti nella loro potestas elettiva e che gli eletti non sono solo chierici ma religiosi e religiose in parti uguali. Di fatto le uniche donne «elette» saranno delle religiose. 

Infatti tutti gli altri (giovani, donne, laici o altri ancora) saranno designati da vescovi e poi ratificati dal papa in persona, al quale spetta un’ampia possibilità di scelta. 

Dunque una procedura della corrente prassi democratica per i membri-vescovi e religiosi e una procedura invece più simile alla cooptazione (indicazione-designazione in base ad alcuni criteri guida) che culmina nella ratificazione da parte del vertice. 

A partire dal ragionamento su questi meccanismi procedurali mi viene in mente quanto acutamente osservato – tra l’altro – da Christoph Theobald al congresso della Gregoriana: occorre prendere atto che «la ragione politica e la ragione sinodale s’incrociano» e che tale incrocio non può essere liquidato dalla più scontata delle affermazioni che dice che «la Chiesa non è una democrazia». 

L’uso degli aggettivi: «intaccato» 

Uno dei maggiori timori che in questo percorso sinodale si percepisce è che l’associazione dei laici ai processi decisionali possa «intaccare» la potestas episcopale, perché, nonostante le parole dicano il contrario, spesso i vescovi sembrano non essere «popolo». 

Il fatto che il comunicato usi proprio questo aggettivo è una evidente excusatio non petita ai sicuri attacchi del partito anti-sinodale, che tra i vescovi ha alcuni chiassosi esponenti. 

Più seriamente, durante un dibattito in Gregoriana Michael Seewald si chiedeva se non fosse giunto il tempo di un approfondimento, ripensamento, conversione del significato della collegialità episcopale nel suo rapporto con la sinodalità. 

D’altra parte è risultato molto chiaro che il Cammino sinodale tedesco, scegliendo di associare i laici sia nel momento del decision making sia in quello del decision taking (con i correttivi delle necessarie percentuali differenziate di voti a favore, dove cioè i vescovi avevano una preminenza) sia da alcuni via preferibile alla soluzione scelta, ad esempio, dal Concilio plenario australiano, che ha associato i laici nel primo momento ma quanto al secondo lo ha riservato solo ai vescovi. 

Ne è stata prova, al congresso, il duro intervento in questo senso del sottosegretario del Dicastero per i testi legislativi, mons. Markus Graulich. 

Il ruolo del diritto canonico 

La decisione d’introdurre questi cambiamenti senza apparentemente modificare nessun canone del Codice di diritto canonico porta immediatamente alla domanda sul suo ruolo nella vita della Chiesa (da leggere il libro di Fantappiè sul tema). O all’affermazione fatta da alcuni secondo i quali esso sarebbe un ostacolo sulla via della «riforma» sinodale della Chiesa. 

Come ha acutamente osservato Myriam Wijlens, non c’è canone che possa rendere «obbligatoria» la sinodalità a chi non la vuole vivere e, d’altra parte, è vero che in barba al Codice la storia della Chiesa ha registrato prassi e istituzioni sorte perché se ne percepiva la necessità ma recepite da esso molto tempo dopo, come nel caso delle conferenze episcopali. 

In altre parole, se manca l’habitus sinodale non ci sarà codificazione canonica che terrà. E, al contrario, dove c’è una forte volontà di viverla – soprattutto se proveniente dal «supremo legislatore» – un modus per realizzarla lo si troverà sicuramente. 

Quindi, sì, questa può essere considerata una piccola grande rivoluzione e la riprova sarà il suo concreto funzionamento in assemblea. 


Maria Elisabetta Gandolfi
 
CAPOREDATTRICE ATTUALITÀ PER “IL REGNO”


Fonte: Re-blog 

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