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Vito Mancuso "Etica sessuale completamente da riscrivere"

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Professor Mancuso, il messaggio cristiano viene oggi percepito soprattutto come messaggio etico. Ci sono, a suo giudizio, aspetti dell'etica cristiana in generale, e cattolica in particolare, oggi non sufficientemente messi in luce o, per così dire, non ancora scoperti?

«Anzitutto partirei dalla sua premessa: rispecchia la realtà, ma occorre dire che essa indica un segnale di crisi della religione. E questo perché l'etica non è esclusiva della religione: ci sono persone dalla vita esemplare che non sono credenti, e viceversa. Lo specifico della religione è infatti la speranza. Per quanto riguarda il cattolicesimo, l'aspetto più urgente da scoprire è quello riguardante l'etica sessuale, che deve essere completamente riscritta considerando la liceità dei rapporti prematrimoniali e l'uso dei contraccettivi» …

Papa Francesco richiama costantemente l'attenzione al tema della misericordia divina. Lei condivide questa impostazione o ritiene che alla inquietudine esistenziale delle società occidentali odierne gioverebbe di più una riflessione su altri aspetti del Vangelo? E quali, eventualmente? 

«Leggendo il Vangelo ci si imbatte ovviamente nella proclamazione della misericordia divina, ma anche nella proclamazione di un giudizio divino. In passato si è parlato poco della misericordia e troppo del giudizio. Ora avviene il contrario. Ma sono due aspetti che vanno tenuti insieme perché la misericordia, che richiama la Grazia, infonde coraggio, e la realtà del giudizio divino infonde responsabilità, perché porta alla dimensione della libertà, nel senso del libero arbitrio». 

La preoccupa maggiormente che si imponga, in particolare tra i giovani, una concezione della vita di tipo agnostico o di tipo ateo? 

«Mi preoccupa l'affermarsi di una concezione della vita superficiale, ristretta all'apparenza e al cinismo. Mi preoccupa la chiusura di orizzonti e ampiezza di vedute di chi nemmeno prende in considerazione il fatto religioso, di chi se ne frega completamente, pensando che siano tutte favole, tutte cose senza senso. Ma sia l’ateo, che con serietà sa che cosa è in gioco e motiva razionalmente la propria posizione, sia l'agnostico che, non si sente di dire né sì né no al divino, hanno una sfida che li interpella, perciò non sono superficiali e quindi non suscitano la mia preoccupazione». 

Nel suo libro «A proposito del senso della vita» sembra riacquistare vigore l'aut aut avere o essere che tanto partecipe e appassionato interesse suscitò negli anni '70, e mi riferisco al celebre saggio di Erich Fromm. Molti anni prima, anche il grande Gabriel Marcel lanciava ammonimenti analoghi, senza però le coloriture politiche contestatarie che accompagnarono l'interesse per Fromm e, forse, anche l'atteggiamento stesso di Fromm. In che cosa, lei, professore, si sente vicino e in che cosa lontano da Fromm e da Marcel?

«Mi sento in sintonia con entrambi. Al liceo ho letto i bellissimi ''L'arte di amare'' e ''Avere o essere?'' di Fromm e più tardi, in seminario, parti di ''Homo viator'' di Marcel. Quest'ultimo parla della vita umana come di un pellegrinaggio. E, diversamente dal vagabondaggio, il pellegrinaggio è diretto a una meta, non è un girare a vuoto. Di Fromm mi piace inoltre ricordare alcune bellissime pagine sul desiderio di dare e ricevere sempre e a qualsiasi età: e questa attitudine va appunto coltivata per tutta la vita come un'arte di amare». 

Nel suo ultimo libro ''Etica per giorni difficili'' sembra che la valorizzazione dell'essere rispetto all'avere si concretizzi in un invito a invertire la rotta dell'edonismo individualistico affermatosi sempre di più a partire dagli anni '80. 

«Sì, è così, anch'io condivido questa visione».

Il suo pensiero sembra ridare vigore al concetto di apocatastasi predicato da Origene, cioè, alla fine dei tempi, di cessazione dell’inferno.

«Certo, è la mia posizione, e l'ho espressa molti anni fa nel libro ''L'anima e il suo destino'': io prendo la distanza dal credere alla dannazione eterna, ma credo invece a un inferno al quale Dio porrà fine: quindi credo in una sorta di purgatorio alla potenza. E questo perché l'eternità dell'inferno sarebbe in contraddizione con l'essenza di Dio che è infinito amore». 

Quindi, se l'inferno fosse eterno, significherebbe che Satana ha il medesimo statuto ontologico di Dio. 

«Esatto. Ma essendo ciò impossibile, non credo all'eternità della dannazione». 

Se, con poche e semplice parole, lei dovesse spiegare a un giovane perché la teologia è bellissima, che cosa gli direbbe? 

Gli direi che la teologia, come anche la filosofia, è bellissima solo se avesse la vocazione a occuparsi di ciò che non si vede, di ciò che non consiste in conoscenze certe, come nel caso della scienze naturali, per esempio, o anche del diritto. Gli direi che è bellissima perché, come nel caso della filosofia, e mi riferisco alla metafisica, in chi la studia discende uno stile di vita che guarda al mistero dell'esistenza. Chi non avverte questo senso del mistero non può percepire la bellezza della teologia e della filosofia, e allora è meglio che si occupi di altro». 


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