Paolo Crepet «Chiusura, isolamento, paura. È la generazione "a-social"»
Bambini e adolescenti sempre più dipendenti dai “social network”. Troppi ne fanno un uso “fuori misura” fino al punto di venirne condizionati nei comportamenti. Secondo il Report Global Digital 2022 in Italia sono più di un milione e mezzo i ragazzi tra 13 e 17 anni formalmente iscritti a una piattaforma “social”, che sia Facebook, WhatsApp, Instagram oppure TikTok. Ma, in realtà, sarebbero molti di più, non tracciati. È una nuova emergenza. «Siamo arrivati all’apice degli effetti negativi di un uso smodato e incontrollato dei “social”, si è perso il senso del limite – commenta lo psichiatra, sociologo ed educatore Paolo Crepet – si sta assecondando il cinismo di certe aziende che fatturano trilioni di dollari sfruttando l’immagine dei nostri figli ». Le conseguenze di un’esposizione eccessiva (e quasi sempre inconsapevole)? Seri pericoli per la salute psichica e fisica, che sono cresciuti dopo la pandemia da Covid-19 con episodi di cyberbullismo, sindromi da hikikomori, furti di identità, casi di istigazione all’odio e alle discriminazioni che vedono come vittime dei minori. « E non dobbiamo dimenticare che tra gli effetti nefasti ci sono anche distorsioni delle capacità cognitive e un calo della memoria e dell’attenzione» precisa Crepet.
Cosa sta succedendo, professore? I “social” dovrebbero in realtà favorire le relazioni e la condivisione tra le persone. Invece, per molti giovani e giovanissimi, si riducono in isolamento, paura e chiusura.
Faccio un esempio: se una ragazzina si fa un selfie e lo posta perché il mondo lo veda, a contare è solo la sua rappresentazione visiva, tutto il resto passa in secondo piano. È ora di mettere un argine, i “social” in realtà dovrebbero chiamarsi “a-social”, visto che predicano l’assoluta solitudine.
Cosa bisognerebbe fare, allora?
Cominciare dalla scuola che, nel nostro Paese, sembra indenne dalle riforme. È da Gentile che non se ne fa una seria? Eppure nel frattempo il mondo è cambiato. Ma l’Italia no. Tutto è bloccato. Non c’è mai un vero cambiamento, è una questione di mentalità. Bisognerebbe cominciare la prima elementare un anno prima e finire il ciclo di studi superiori a 18 anni e non a 19 come adesso. In mezza Europa è così. Questo consentirebbe di lavorare prima, di mettersi prima sul mercato del lavoro. Quindi bisognerebbe passare al tempo pieno e chiudere la scuola media, che è la meno qualificata. Si tratta in ogni caso di una questione complessa.
E vietare l’uso degli smartphone e dei dispositivi elettronici a scuola è giusto, secondo lei, per evitare i guasti dei “social network”? C’è una circolare, varata dal ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, il 19 dicembre scorso, che lo stabilisce.
Sono d’accordo, è opportuno che dalle 8 alle 13.30 si vietino i cellulari nelle scuole: ma dove sono le sanzioni? Eppoi il divieto dovrebbe valere anche per gli insegnanti. Perché se il professore sta al telefono per i fatti suoi quando i ragazzi fanno il compito in classe, non serve a niente. Docenti e genitori devono saper dare il buon esempio. Ci vorrebbe inoltre, in tutte le scuole, un intervento intelligente, del tipo: una o due ore a settimana di insegnamento su come si fa una ricerca sul web, cioè come usare Google o Youtube in modo corretto per approfondimenti o per poter svolgere attività didattiche.
E alzare l’età di ingresso ai “social” a 16 anni anzichè agli attuali 14?
E come si fa a controllare? Se però i giovani vedessero che gli adulti sono preoccupati, e non indifferenti, e si vietassero loro quelle piattaforme dove i margini di sicurezza sono bassissimi, forse sarebbe un modo per parlarci e far capire quali sono i gravi rischi che corrono.
Che ne pensa dell’ipotesi, avanzata dalla Garante per l’infanzia e l’adolescenza, di introdurre una specie di “Spid” gestito dai genitori per regolamentare l’ingresso a Internet o ai “social” dei loro figli?
Ripeto, non tutta la tecnologia digitale è da negare, c’è quella buona e quella cattiva. Non si può dire “no” o “sì” e basta: è più complicato.
E la questione dell’intelligenza artificiale, che viene spacciata come “il futuro” della tecnologia e dell’umanità? I ragazzi ne sono affascinati...
Ma gli stessi Elon Musk, fondatore di SpaceX e il “padrone” di Apple, Steve Jobs, la ritengono pericolosa. Che facciamo, la introduciamo nelle scuole? Governo e opposizione se ne guardano bene...
Ma tra i rischi, c’è anche quello del suicidio? I dati forniti dall’ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma parlano di un aumento dei tentativi di suicidio tra i giovanissimi del 75% nel periodo della postpandemia rispetto al periodo precedente….
In realtà, l’idea del suicidio per un adolescente è la più comune, ma non da adesso. E comunque non è un aspetto legato all’uso dei “social network”. L’ideazione del gesto di uccidersi nasce semmai da incomprensioni, da un fallimento, cose che accadono a quell’età. È la dimensione del vuoto. Non dovremmo preoccuparci oltre questo, secondo me.
Fonte: Avvenire