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Alessandro D’Avenia "In pegno. Come non soccombere alla ripresa dei lunedì dell’anno"

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9 gennaio 2023

L’Epifania, appena trascorsa, è la festa dei doni, in alcune tradizioni è infatti il giorno dei regali. A proposito di doni, l’anno scorso mi ha colpito il gesto di un nuovo amico che, le volte che mi ha invitato a cena, alla fine mi ha regalato una bottiglia del vino bevuto durante la serata. Ho provato una gioia, credo, simile a quella di mia nipote quando va a una festa in cui ai bambini invitati viene offerto un piccolo regalo. Quando è l’invitato a ricevere un regalo significa che la sua sola presenza (presente in italiano è il regalo) è dono, e merita di essere sottolineata. Tutto questo mi è sembrato l’avverarsi di quanto avevo letto con stupore nel Signore degli Anelli di Tolkien: nelle prime pagine, che scoraggiano tanti lettori, è descritta minuziosamente la festa di compleanno di un hobbit, popolo che ha la consuetudine di fare doni, non al festeggiato, ma a ogni invitato. Questa inversione di ruoli potrebbe illuminare la faticosa vita ordinaria che ricomincia: l’Epifania, festa dei doni, non è la fine delle feste ma il loro fine. La radice antica della parola dono indicava infatti la creazione di una energia nuova attraverso un potere quasi magico (ne rimane traccia nel nostro «dote»). Perché? 


Leggendo l’Odissea si rimane colpiti dal fatto che, nel congedare chi ha ricevuto ospitalità durante un viaggio, gli si offre un dono. Questo garantiva una rete di alleanze a distanza, necessarie in un mondo in cui avere un posto dove riparare era questione di vita o di morte. Ma perché proprio un dono? Un bene può avere due valori: d’uso, soddisfa bisogni, o di scambio, procura altri beni. 

Se ho una mela posso mangiarla (uso) o darla per un’arancia (scambio). Il dono invece inventa un altro tipo di valore, detto di legame: un bene donato fonda relazioni o rafforza quelle esistenti (ti regalo la mela per creare un legame). Da che cosa dipende? Gli antropologi hanno scoperto che è come se l’oggetto donato ricevesse un pezzo della nostra anima, che poi cercherà di tornare indietro, ma insieme a chi ha ricevuto il dono. Ma allora che differenza c’è tra un dono e uno scambio commerciale? Non si dice forse «scambiarsi» i doni? La differenza sta nel fatto che nel dono non c’è pretesa di contraccambio. 


Nel caso dei doni la restituzione (del pezzo di me che nel «frattempo» rimane presso l’altro) è libera: la possibilità del contro-dono, senza scadenza, in questo modo trasforma il tempo in legame, mentre nel commercio il debito viene subito estinto (la relazione dura quanto la compravendita). Quando un fidanzato dona un diamante, mette un pezzo d’anima nel tempo del «per sempre». Il dono infatti, se non mira a manipolare, controllare o sottomettere, determina uno squilibrio «positivo», che genera e rigenera la relazione (generoso e generare hanno la stessa radice) nel tempo. Il dono apre la possibilità di un legame, in cui però l’impegno – vi risuona il nostro «dare in pegno» - a restituire è a scelta dell’altro. Se il contraccambio è preteso il dono è falso, mira al controllo, mentre il dono autentico «vincola liberando» o «libera vincolando», come i «legami» buoni (il contrario delle «catene»). Il contraccambio è rimandato all’infinito e lo squilibrio creato non è di potere ma di amore, che non è mai essere «in pari» ma «in gioco». Donare è una formidabile risposta umana al nostro essere «a tempo», dà senso al tempo perché il senso del tempo sono le relazioni. In questo periodo abbiamo ricevuto doni, benché la festa non fosse nostra: a Natale (come il mio amico a cena, mia nipote e gli hobbit ai compleanni, gli antichi greci con l’ospitalità) sono gli invitati a ricevere doni. 


A Natale si narra che Dio si fa dono per creare una possibile relazione con gli uomini, tanto che, appena nato, riceve già il contraccambio da sconosciuti (pastori e magi) e, divenuto adulto, sintetizza così la sua esistenza: «Nessuno mi toglie la vita, ma la dono da me stesso, poiché ho il potere di donarla e il potere di riprenderla di nuovo». Questa frase è la definizione di libertà più bella e coraggiosa che io conosca: il dono è il culmine della libertà. Io per esempio ho scoperto una relazione vera con Dio solo quando ho imparato a ricevere doni da lui, liberandomi di un rapporto commerciale (superstizioso): io do questo a Lui e Lui è buono con me (religione, re-ligare, ha la radice di legame, ed è l’opposto di superstizione che invece significa sottomissione). Chi dona veramente cerca una relazione senza scadenza, chi invece lo fa per sentirsi «a posto» o per mettere «a posto» l’altro, non sta donando ma esercitando potere. 


Donare è il segreto di ogni relazione duratura, non essere «in pari» ci «lega», non per senso di colpa o sottomissione, ma per magnificare gratuitamente l’esistenza dell’altro che, se e quando vorrà, risponderà. Un dono autentico dice: «è bello che tu esista, non perdiamoci». Ricominciata la vita ordinaria possiamo coltivare il «potere legante» dei doni: chiederci se in ciò che facciamo c’è un po’ di dono e fare piccole sorprese alle persone amate o da amare meglio. Potremmo anche inaugurare un «salva-donaio» in cui ogni settimana mettere un foglietto con su scritto il dono più bello, alla fine dell’anno potremo così leggere una cinquantina di «presenti» (in italiano i regali sono la «presenza» del donatore, come l’appello a scuola) che ci hanno «legato» alla vita nel 2023, momenti di «grazia» (da gratis) in cui un dono ci ha risvegliato dal sonno o dalla noia. 


La gratitudine è il sentimento (ri-)creativo più potente che io conosca: quando ricevo qualcosa in pegno dentro me scatta l’impegno, un’energia che mi spinge, senza costrizione, a restituire alla vita ciò che mi ha dato, a lasciare in eredità più vita di quella ricevuta. È ri-conoscente chi è stato ri-conosciuto: a scuola, per esempio, i ragazzi sono grati (riconoscenti) se sono gratificati (riconosciuti). Il salvadanaio peserà più di tutte le fatiche dell’anno, perché conterrà il tempo salvato dalle relazioni, cioè dai doni ricevuti e dati. Nella mia prima settimana del 2023 ho scritto questo momento di grazia: «Una lunga camminata nel bosco innevato con la mia amata e due cari amici, per raggiungere una baita nascosta tra le montagne, dove abbiamo condiviso il pranzo del primo dell’anno». E voi?

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