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Vito Mancuso "L’etica ai tempi dell’odio"

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Pubblichiamo la trascrizione (e il video) dell'intervento di Vito Mancuso alla Gariwo NetWeek 2022, l'incontro internazionale dei Giardini dei Giusti e di tutte le realtà che si occupano del tema dei Giusti e della responsabilità personale nel nostro tempo.

Prendo la parola con un po' di trepidazione e un senso di onore. Vorrei riuscire, con il mio pensiero, a servire questo tema così delicato - umano e disumano allo stesso tempo - che è l’odio. L’etica ai tempi dell’odio: questo è il titolo che mi è stato assegnato per l'intervento di oggi. Un titolo che immagino supponga che questi nostri tempi siano i tempi dell’odio. 

Vi chiedo quindi: Conoscete dei tempi che non abbiano vissuto l’odio, strutturalmente inteso e operante? Conoscete una parte della Storia per la quale si possa dire "qui è solo amore"?

Odio è sempre.

Penso a quella scena de La tregua in cui Primo Levi, al ritorno da Auschwitz, incontra il greco Mordo Nahum, che lo rimprovera dicendo: “Non sai che la cosa più importante sono le scarpe, prima ancora del cibo? Se non hai le scarpe, non puoi andare a prendere il cibo”.
“Sì, ma adesso la guerra è finita”, risponde Levi.
Allora Mordo Nahum lo guarda, come 'uno che sa' guarda 'qualcuno che non sa', e dice: “Guerra è sempre”. 

Possiamo dire, oggi, che odio è sempre. Penso sia un riconoscere la Storia. Caino e Abele. O Remo e Romolo, l’altro fratricidio su cui è fondata Roma e buona parte dell’Occidente. Potremmo convocare il serpente, se volessimo parlare del peccato, del mito di Genesi 3. E, comunque, odio è sempre.
Insieme al fatto che odio è sempre, però, possiamo dire che anche etica è sempre. Qui è la sorpresa.

Quando venne chiesto a Margaret Mead, un’antropologa britannica degli anni '70, “Qual è il momento in cui gli essere umani sono diventati umani? C’è nella storia della paleoantropologia un momento nel quale gli uomini sono diventati umani?",
Mead rispose: “Sì, è stato quando abbiamo rinvenuto un femore risanato. Quando, cioè, abbiamo osservato che un essere umano si era rotto una gamba e qualcuno lo aveva aiutato, connettendo un osso rotto con l’altro, in modo tale che si potesse risanare. Ecco, lì è nata l’umanità".

Mi viene in mente, a questo proposito, l’inizio dell’Eneide“Arma virumque cano”, “Canto le armi e l’uomo”. Ossia l’uomo che viene inteso come vir: guerriero. Abbiamo tante ragioni per osservare questo: l’odio, la forza, il male, la vittoria, l’oppressione, la selezione. E abbiamo, allo stesso tempo, tanti elementi per dire: canto l’amore, il bene, la giustizia, la cura, il prendersi cura. I care, come diceva e insegnava Don Milani.

Voi ragazzi in sala, sapete cosa intendo quando parlo di Don Milani? Immagino di no. È come quando parlo di campioni del calcio della mia età ai ragazzi di oggi o quando sentivo io parlare dei campioni dell’età di mio padre.
Don Milani era un sacerdote cattolico divenuto famoso per due ragioni. La prima, l’obiezione di coscienza: l’obbedienza non è più una virtù. 
La seconda, per la scuola.
Era stato, infatti, mandato in un paesino, il più povero della Toscana, che si chiamava Barbiana. Lì, capì che, prima ancora di fare il prete, c’era bisogno di promuovere l'istruzione, l'educazione. Senza la conoscenza non c’era niente. 
Il primo giorno di scuola, Don Milani diceva ai ragazzi di scrivere su un foglio I care (mi prendo cura) e di appenderlo sulla porta della classe. "Tutte le volte che entrate, ricordatevi: I care, io mi prendo cura".
In grande contrapposizione, peraltro, al motto delle camicie nere me ne frego.

Chi ha ragione dunque? Le camicie nere o Don Milani? Se osserviamo la questione dal punto di vista semplice, da quello del bilancio storico, non lo sappiamo. Noi non siamo in grado di dire, dal punto di vista storico, se ci sono più motivi fondati per odiare o per amare, per servire il male o per servire il bene. Obietti il primo tra di noi che non si è sentito dire: "In certi casi devi essere furbo".

Ripenso al gioco Oppressi e Oppressori, di cui ho sentito la spiegazione prima. Cosa c'entra con il nostro discorso? C'entra perché questo gioco mostra ai ragazzi che c’è una domanda importante: “E tu da che parte stai?”.

Nei miei libri tento di elaborare l’etica anche dal punto di vista della ragione. Ma, allo stesso modo, sono convinto che non sarà mai l’argomento razionale a farci affascinare, a farci stare dalla parte del bene e dei Giusti. Non è il calcolo o la ragione, è qualcos’altro. Come lo chiamate quel qualcosa d’altro? Forse scintilla, sentimento, empatia, passione...

Torniamo all'odio. 
Innanzitutto dobbiamo parlare di quanto l’odio sia affascinante. L’odio cos’è? È un sentimento.
Rispetto a che cosa? Che cosa lo veicola? Il male.
Dunque, il male rappresenta la dimensione oggettiva mentre l’odio è la dimensione soggettiva. Allo stesso tempo, specularmente, il bene è la dimensione oggettiva, ciò che veicola l’amore, è ciò che fa in modo che ci si disponga a favore del bene. Non quello necessariamente per una persona, ma l'amore ideale, il valore...
Abbiamo quindi a che fare con queste due dimensioni: oggettiva e soggettiva al contempo. E dobbiamo constatare che il male vende. Ricordo un episodio di quando lavoravo in Mondadori. Proposi un certo libro sul bene. La risposta del direttore editoriale di Mondadori fu la seguente: "Vito, non hai ancora capito che il bene non vende mentre il male sì?".

Se andiamo in una libreria a vedere che cosa vende maggiormente, scopriremo che sono i thriller con la goccia di sangue che cola. È il fascino indubbio del male e dell’odio che lo veicola. Cadremmo in un grande errore pensando che questa cosa riguardi gli altri e che noi siamo il "Giardino dei Giusti" e il male non ci interessa. A volte può capitare che odiamo gli odiatori, per esempio. Scendendo nel loro stesso terreno di gioco...

Dobbiamo quindi comprendere le diverse tipologie di odio, indagare perché l’odio ha questo fascino.

La prima tipologia è l'odio tra padre e figlio. È incredibile, ma l’odio tocca profondamente la struttura sociale, la cellula fondamentale della società umana: la famiglia, padri e figli, madri e figli.
Possiamo pensare al mito: Urano che viene evirato da Crono, quest'ultimo che viene a sua volta malmenato da Zeus. Se i Greci, che erano un popolo intelligente, hanno pensato a qualcosa del genere, è perché hanno raffigurato nel mito la quotidianità. Il mito è la prima forma di filosofia. È più vero della Storia, in quanto essa racconta un fatto avvenuto una volta, mentre il mito narra qualcosa che accade sempre. Se lo si legge in maniera storiografica è falso, ma bisogna interpretarlo in chiave filosofica. 
Il mito ci testimonia la presenza dell’odio nella famiglia, tra padri e figli, tra fratelli. Ho già fatto l’esempio di Caino ed Abele, ma ricordiamo anche Eteocle e Polinice. Ne I sette contro Tebe di Eschilo, Eteocle e Polinice si uccidono alla settima porta di Tebe; uno uccide l’altro e poi vengono cremati. E, ce lo insegna Dante, mentre i corpi stanno bruciando, le stesse fiamme salendo combattono l’una contro l’altra. A tal punto l’odio è inestinguibile.

E poi c'è l'odio tra marito e moglie, il femminicidio, l'uxoricidio. Odi et amo: ti amo così tanto che, se te ne vai, ti uccido. Quasi a voler vedere come questa passione totale che è l’amore si possa trasformare, come insegnava Catullo, repentinamente nell’odio. Cosa siamo, se possiamo dire a una persona “ti amo” e, proprio per quella passione, diventare veicoli di morte?

Poi c'è l’odio politico, sia quello di sinistra che quello di destra. Sono uguali?
È indubitabile che il totalitarismo di sinistra e quello di destra abbiano prodotto odio. Io sono giunto a questa conclusione: sono uguali dal punto di vista del bilancio effettivo del male compiuto. Contando i milioni di morti, le stragi, le distruzioni, l’uno le ha compiute in una maniera più "tedesca", l'altro più "russa".
C’è però una differenza secondo me - che non sono né di destra né di sinistra e nemmeno imparziale, ma guardo le cose senza quell’attaccamento che stare da una parte porta. Penso che l’odio dalla sinistra sia strumentale: si uccide la classe borghese, i credenti, per giungere a una società in cui tutti stanno bene, in cui tutti sono uguali. Mentre, nella destra, l’odio è proprio l’obiettivo. Vi leggo una frase di Nietzsche: “Si deve acquistare quella enorme energia della grandezza per foggiare l’uomo futuro allevandolo, da un lato, e, dall’altro, annientando milioni di malriusciti: e non si deve venir meno per il dolore che si crea – un dolore quale non fu mai visto finora”. È l'aforisma 964 della Wille zur Macht, che Adolf Hitler leggeva con molta attenzione. Nietzsche era il suo filosofo preferito. 

Abbiamo questo: un odio un plebeo contro i migliori.
Socrate nell’Apologia dice: "Si è sviluppato nei demos ateniesi un potente odio contro di me".
I migliori spesso vengono odiati. Anzi, succede che proprio la gente "piccola", per essere qualcuno, sente di dover odiare i grandi, e odiandoli acquista identità. Così mi spiego l’odio contro Liliana Segre.
Sciascia diceva ne Il giorno della civetta che gli uomini si dividono in cinque categorie: uomini, mezz'uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà. La quinta categoria ha bisogno di odiare qualcuno di grande per sentirsi a sua volta tale.

Sono molte le tipologie di odio. L’odio sessuale, etnico, di genere, per i diversi... 
Da dove viene questa forza? Da due cose. Una è l’ignoranza del fenomeno in sé: non hai mai visto o conosciuto una persona con un’altra tendenza sessuale rispetto alla tua e dunque pensi che sia il tabù assoluto.
Ma c’è anche un altro elemento, ossia il pregiudizio dell’idea che l’odio sia più forte. Il male, di cui l’odio è il vettore, attrae gli essere umani non tanto perché siano perversi, ma perché sentono che il male è forte mentre il bene è debole: se sei malvagio gli altri ti rispettano, hanno paura di te. E allora ci sei, esisti. Se invece sei buono, no. 
Esiste questa idea che il bene sia debole, mentre la gente vuole essere forte. Siamo attratti dalla forza, perché è una dimensione strutturale, della fisica: le quattro forze fondamentali, le due forze nucleari, la forza elettromagnetica, la forza di gravità... Ogni fenomeno consiste grazie alla forza.
Non è sbagliato voler essere forti, ma bisogna esserlo da essere umani.

Qui entrano in gioco la conoscenza e l’intelligenza.
Il punto è comprendere che non è vero che l’odio e il male sono più forti e lo si intuisce proprio a partire dalla fisica: non c’è niente che esista che non sia un sistema. Sapete indicarmi un fenomeno fisico che non sia il risultato di un’aggregazione? Esiste nel mondo qualcosa che esiste di per sé, senza essere il risultato di un’armonia? La risposta è no.
Vale anche per i nostri atomi, per le particelle subatomiche. Non ci sono mattoncini fondamentali, ci insegna la fisica quantistica. Anche quello che appare come un elettrone a volte è un corpuscolo altre un'onda, a seconda del tipo di relazione che istituisce. L’organismo non è semplicemente materia aggregata, ma possiede un surplus di energia che fa sì che sia vivente. Questo surplus a sua volta si relaziona e forma la cultura, il miracolo del linguaggio, della mente, della conoscenza.
Tutto questo è possibile grazie alla relazione.

Platone diceva nella Repubblica che la giustizia è così fondamentale che persino una banda malfattori, se vuole fare bene il suo mestiere, deve esercitarla al proprio interno, altrimenti si sfalda. Se il bottino non viene diviso in parti stabilite, se il patto non viene rispettato, la banda si disgrega.

Gabriele Nissim parlava, prima di me, di Vasilij Grossman, un autore che io amo tantissimo e a cui ho dedicato un libro. Grossman, in un testo dal titolo Il bene sia con voi, scrive: 

“C’è un dono superiore rispetto a quello dei geni della scienza e della letteratura, dei poeti e degli scienziati. Il dono supremo dell’umanità è il dono della bellezza spirituale, della nobiltà d’animo, della magnanimità e del coraggio del singolo nel nome del bene. È il dono di cavalieri e fanti timidi e senza nome che con le loro imprese fanno sì che l’uomo non si trasformi in una bestia".

Io mi commuovo di fronte a queste cose. Quindici giorni fa ero a Gerusalemme, allo Yad Vashem, a vedere il viale dei Giusti. Ho ascoltato la guida che raccontava di Gino Bartali, che ha rischiato la vita per portare nella canna della sua bicicletta i documenti per salvare gli ebrei.
"Tu da che parte stai?", dice il gioco Oppressi e Oppressori. Io, dentro di me, non ho alcuna incertezza.

Penso ad Antigone, sorella di Eteocle e Polinice, i fratelli che si uccidono di fronte alla settima porta di Tebe (i quattro figli di Edipo erano Antigone, Ismene, Eteocle e Polinice, figli ma anche fratelli e sorelle).
Quando Eteocle e Polinice muoiono, il sovrano di Tebe, Creonte, lo zio dei quattro, ordina che Eteocle sarà sepolto con tutti gli onori perché amico della polis, mentre Polinice sarà lasciato in pasto agli avvoltoi e ai vermi, in quanto nemico.

Creonte ragionava secondo un preciso criterio, quello della polis, della politica, facendo sì che il diritto si conformasse sulla base della politica. Ecco quindi la fonte del diritto: il potere.
Ci sono filosofi del diritto che pensano che il diritto sia quello positum, positivo. L’unica fonte del diritto è il potere, "Auctoritas, non veritas facit legem", diceva Thomas Hobbes.

Non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore”, risponde però Antigone. Allora, trasgredisce, e seppellisce il fratello Polinice, andando incontro alla punizione. Viene presa e rinchiusa in una caverna e, alla fine, per non vivere lì, si darà alla morte. Che cosa ci ricorda, dunque, Antigone? Ci ricorda quella frase di Vasilij Grossman che prima abbiamo citato.

Concludo dicendo che ci sono due condizioni per annaffiare l’esile pianticella del bene che è dentro di noi. La prima è quella di avere un’apertura della mente e del cuore verso qualcosa più grande.

Vi voglio leggere un brano di due grandi filosofi che hanno dedicato la vita all’etica.
Erano amici tra di loro, un uomo e una donna ebrei, lui si chiamava Hans Jonas e lei si chiamava Hannah Arendt.
Il brano, bellissimo, è contenuto nelle Memorie di Hans Jonas (pag.278 del libro della casa editrice Il Melangolo) e parla di Dio.
Ve lo voglio leggere perché mi piacerebbe che ognuno di noi, credente o non credente, sentisse dentro di sé che è qui per qualcosa di più grande di sé.
Se trovate qualcosa di più grande di voi per cui spendere la vita, avrete una suprema passione, una luce per uscire da questa prigione, da questo eterno ritorno dell'uguale, di io=io.

Siamo a New York all’inizio degli anni Sessanta, a casa di Hannah Arendt, la quale invita quattro persone. Il racconto è di Hans Jonas:

Lore (la moglie di H. Jonas) e io eravamo invitati insieme con Mary McCarthy e una sua amica che viveva a Roma e che, si appurò poco dopo, era una cattolica convinta. Mostrava verso di me un forte interesse e mi provocò con la domanda: “Lei crede in Dio?”. Nessuno me lo aveva chiesto in modo così diretto – per di più, una persona praticamente estranea! Prima la guardai un po’ perplesso, riflettei, e con mia sorpresa dissi: “Sì!”. Hannah trasalì – ricordo ancora che mi guardò quasi spaventata. “Davvero?”. E io risposi: “Sì. In fondo, sì. Qualunque cosa ciò possa significare, ‘sì’ è più vicino alla verità di ‘no’”. Poco tempo dopo mi trovai da solo con Hannah. Si venne a parlare di nuovo di Dio e lei disse: “Io non ho mai dubitato dell’esistenza di un Dio personale”. Al che io replicai: “Ma, Hannah, questo non lo sapevo proprio! E poi non capisco per quale motivo l’altra sera sei rimasta così sorpresa”. E lei rispose: “Ero sconvolta a sentirtelo dire, non lo avrei mai pensato”.

Con quella confessione, dunque, ognuno aveva stupito l’altro.
Volevo leggervi questo brano perché mostra quell’eccedenza, lo stupore, il fatto di avere un qualcosa che non sai neanche bene nominare, però lo senti. Se questa è la giustizia, se questo è il bene, allora noi capiamo perché dobbiamo impegnarci a favore di quest'ultimo.

La seconda condizione si può comprendere da quest'altro brano, questa volta di Hannah Arendt. Viene da un libro bellissimo pubblicato da Raffaello Cortina, che si intitola Socrate. L’anno di stesura originale è il 1954. All’interno di questo libro si legge così:

Noi, che abbiamo fatto esperienza delle organizzazioni totalitarie di massa, sappiamo che il loro primo interesse è eliminare qualunque possibilità di solitudine. Così noi possiamo facilmente testimoniare come non solo le forme secolari di coscienza ma anche quelle religiose vengano eliminate quando non è più garantito lo stare un po' da soli con se stessi. In certe condizioni di organizzazione politica, la coscienza non funziona più. Un essere umano non può mantenere intatta la propria coscienza se non può mettere in atto il dialogo con se stesso. Cioè, se perde la possibilità della solitudine, necessaria per ogni forma di pensiero”.

Noi non abbiamo a che fare con un’organizzazione totalitaria di massa, però abbiamo a che fare con potenti organizzazioni il cui scopo è catturare la nostra attenzione. Mi riferisco ovviamente ai social media, alle fiction, che catturano completamente il nostro tempo e la nostra attenzione e non ci fanno essere soli. Non di quella solitudine negativa che è l’isolamento, ma di quella positiva che si chiama raccoglimento... quando pensi e soppesi le cose, le persone, te stesso, quello che dici, quello che non dici, quello che hai fatto, quello che non hai fatto, e ti conosci.
Ecco, secondo me queste sono le due condizioni perché si possa essere un albero nel Giardino dei Giusti. Tutti noi siamo chiamati non solo a piantare gli alberi, ma a essere un albero nel Giardino dei Giusti. Lo possiamo fare in primo luogo se siamo attratti da una luce. Abbiamo bisogno, infatti, di una luce più grande del nostro piccolo interesse. Può essere Dio, il bene, la bellezza, la giustizia, la scienza, qualcosa di più grande di noi...
E, in secondo luogo, capiremo questa cosa più grande di noi se ci sarà questo silenzio, solitudine, raccoglimento. Questa capacità di pensare che va coltivata con assiduità, con sistematicità, ogni giorno, per essere un albero del Giardino dei Giusti.

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