Vito Mancuso «Il ribelle Gesù era un profeta apocalittico: voleva cambiare il mondo»
TRIESTE domenica 11 dicembre 2022 Teatro Verdi
Nell’ambito del ciclo di conferenze “Ribelli”, Vito Mancuso
"Gesù: la rottura della Legge”.
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Intervista di Paolo Marcolin per il Piccolo
In tempi di incertezza e di guerra come quelli che stiamo vivendo, ricostruire il pensiero e l’azione di alcune grandi figure del passato vuole essere una esortazione a coltivare la speranza di un cambiamento sempre possibile. Ai “ribelli” che sono riusciti a cambiare radicalmente il corso degli eventi, a coloro che ci hanno provato e a coloro che hanno immaginato strade diverse da quelle battute fino a quel momento, è dedicato il nuovo ciclo di Lezioni di Storia, ideato e progettato dagli Editori Laterza, promosso dal Comune di Trieste e organizzato con il contributo della Fondazione CRTrieste, Media partner “Il Piccolo”. I sei appuntamenti con gli storici si terranno al Teatro Verdi e saranno, come nelle precedenti occasioni, a ingresso libero fino ad esaurimento posti e inizieranno alle 11.
A inaugurare il ciclo sarà il teologo e docente Vito Mancuso, che domani, introdotto dal giornalista de “Il Piccolo” Pietro Spirito, terrà la lezione “Gesù: la rottura della Legge”. Con il suo pensiero Mancuso non ha mancato di far discutere, attirandosi critiche sia teologiche che filosofiche.
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Professor Mancuso, cosa significa inserire Gesù in un ciclo di lezioni che parlano di “ribelli”?
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«Gesù pensava a una trasformazione della storia, era un profeta apocalittico. Il contesto storico in cui Gesù nasce, opera e muore è segnato dalla dominazione romana, contro la quale si scatenò una lunga serie di rivolte. Per sedare una di queste i romani crocifissero circa 2000 persone a Seforis, che si trova a soli sei chilometri da Nazareth. Gesù, che al tempo aveva circa dodici anni, sapeva benissimo cosa succedeva».
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Gesù si ribella scegliendo la via della non violenza.
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«Quando Gesù parla di regno di dio non intende rimandare a una entità celeste come avrebbe fatto Platone con il regno delle idee. Pensava a un regno in cui avrebbe regnato la giustizia e Israele sarebbe tornata ad avere la sua indipendenza. Quando predicava il regno di dio pensava a qualcosa di estremamente politico e inquietante per le autorità. Non è un caso che le autorità filo governative che collaboravano con l’autorità romana arrestarono e uccisero Gesù. I romani non lo uccisero per motivi religiosi, i romani uccidevano per motivi politici. A finire sulla croce era chi non voleva pagare più le tasse ed era ostile alla dominazione».
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Sul piano storico quali armi aveva Gesù per ottenere questa rivoluzione?
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«Una sola, dio. Gesù era un profondo credente. A differenza dell’ala militarista degli Zeloti, Gesù era un profeta e prendeva sul serio le scritture che parlavano di un giorno di dio nel quale il signore avrebbe liberato Israele».
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Ma la rivoluzione non avvenne. Gesù si sbagliò?
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«Nei vangeli ci sono delle chiarissime affermazioni di Gesù sull’imminenza del regno di dio. Diceva non passerà questa generazione prima che questo avvenga. C’era un’attesa quasi spasmodica testimoniata dalle prime lettere di Paolo. Il suo fu un errore, certo, e che i vangeli testimoniano. Fu una grande delusione che lui stesso confessò con quel suo ultimo grido. Quando sulla croce dice “dio mio perché mi hai abbandonato” pensa che tutta una serie di poteri taumaturgici, cioè una particolare energia sciamanica che lui sentiva e lo aveva portato a pensare di avere uno speciale legame con dio, non funzionano più».
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Lei pensa che Gesù facesse miracoli?
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«Penso che facesse miracoli e che non fosse l’unico nel mondo antico. Non credo che camminasse sulle acque o moltiplicasse il pane, ma che avesse un potere taumaturgico, che fosse dotato di una particolare energia che correva dalle sue mani, dai suoi occhi e dalla sua voce e toccava l’energia interiore delle persone ridando loro forza e vigoria. Gesù sentiva di avere una forza particolare e questo lo aveva portato a ritenere di avere uno speciale legame con dio. In questo senso era figlio di dio. Per gli ebrei del tempo tutti i giusti erano figli di dio, cioè erano ritenuti avere un tale legame con dio da essere concepiti come figli».
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Lei parla di due diverse spiritualità, una è il cristianesimo l’altra il gesuanesimo.
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«Secondo il cristianesimo Gesù è importante perché obbedendo al padre e morendo in croce diventa la vittima immacolata per la nostra redenzione. Io non credo che abbiamo bisogno del sangue innocente di qualcuno per essere salvati, credo che la salvezza della nostra energia interiore, della nostra anima, dipenda dal fatto di aderire a una logica diversa da quella di questo mondo. Questa logica eccedente rispetto alla logica del mondo può essere chiamata dio».
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Secondo il gesuanesimo il concetto di regno di dio è spendibile ancora oggi?
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«Qui entra in gioco la forza dell’esempio, della profezia, della testimonianza, delle parole, del messaggio di Gesù, ascoltando il quale un essere umano può diventare lui stesso un regno di dio; cioè un uomo nel quale regna effettivamente la giustizia, la solidarietà, la misericordia. Quando si fa questo si cambia natura: invece di essere un luogo nel quale regna il calcolo, il do ut des, il principio economico dello scambio, si diventa il regno di quella dimensione non economica più alta e più nobile che è il bene. Secondo me tutto questo è salvifico; se si riproduce a livello personale questa stessa logica, mediante la cura, la giustizia e la generosità, si diventa un regno di dio».
(dalla pagina facebook di Vito Mancuso)