Marinella Perroni "Il duplice principio mariano-petrino"
In un breve video divenuto recentemente virale sono collezionate reazioni cariche di emozione e di entusiasmo di molte bambine afroamericane nel vedere alla televisione una versione del film della Disney La Sirenetta in cui Ariel ha la pelle scura. Un video ben confezionato, che ci ricorda che l’inclusività di una cultura si misura anche sull’immaginario. E le bambine afroamericane che si emozionano nel vedere una Ariel con la pelle scura ci dicono una cosa che resta valida per qualsiasi comunicazione, anche quella magisteriale dei Papi: ascoltare, leggere, vedere significa recepire alcuni segnali, espliciti o impliciti poco importa, che radicano dentro di noi un insieme di convinzioni, che contribuiscono a strutturare le nostre identità, che favoriscono la costruzione di un immaginario collettivo nel quale tutti veniamo rispecchiati. Proprio qui sta allora il punto: rispecchiati come?
Cominciare così un discorso su qualcosa che è invece molto serio, forse anche un po’ difficile, può sembrare strano. Eppure, in quella pubblicità della Disney c’è la chiave di lettura di quanto sto per dire su ciò che “in codice” si chiama il “principio mariano-petrino”. Una formula ricorrente nel Magistero degli ultimi quattro Pontefici per parlare della vita della Chiesa e, soprattutto, della partecipazione ad essa di donne e uomini: si intuisce subito che Maria è prototipo del femminile e Pietro lo è del maschile ed è chiaro che, quando i Papi usano la formula del “principio mariano-petrino”, vogliono affermare che tutti, donne e uomini, devono sentirsi a casa nella Chiesa perché è luogo in cui il rapporto tra maschile e femminile è di stretta reciprocità. All’inizio del terzo millennio, però, una reciprocità che assegna alle donne il carisma dell’amore e agli uomini l’esercizio dell’autorità dovrebbe farci almeno riflettere. Ma, forse, è bene andare con ordine.
Dobbiamo l’invenzione del “principio mariano-petrino” a uno dei più grandi teologi del secolo scorso, Hans Urs von Balthasar, che sperava di far accettare il primato della Chiesa di Roma a tutte le confessioni cristiane sulla base dell’integrazione del ministero petrino nella mistica mariana. Non a caso, il testo in cui il teologo svizzero espone questo duplice principio, mariano e petrino, si intitola Il complesso antiromano. Come integrare il papato nella chiesa universale. Certo, lui stesso non si aspettava che il bipolarismo mariano-petrino avrebbe avuto così grande fortuna. Ma è pur vero che, almeno fino a qualche decennio fa, il ricorso agli archetipi del maschile e femminile era facilmente spendibile in qualsiasi ambito.
Comunque, von Balthasar non avrebbe mai immaginato che da quel momento tutti i pontefici vi avrebbero fatto riferimento, non più però per integrare il papato nella vita della Chiesa universale, ma per integrare donne e uomini dentro la chiesa. Paolo VI lo ha ripreso nella Marialis cultus, Giovanni Paolo II lo ha assunto e rilanciato nella Mulieris dignitatem, Benedetto XVI se ne è servito per spiegare senso e valore della porpora cardinalizia. Francesco, poi, lo ha già citato fin dall’inizio del suo pontificato, lasciando capire che lo considera un paradigma ecclesiologico utile se non addirittura necessario. Proprio perché ha avuto tanto credito magisteriale mi sembra importante proporre una riflessione e, forse, anche aprire una discussione. Paolo VI afferma che Dio «ha collocato nella sua Famiglia – la Chiesa –, come in ogni focolare domestico, la figura di Donna, che nascostamente e in spirito di servizio veglia per essa e benignamente ne protegge il cammino verso la patria, finché giunga il giorno glorioso del Signore». Riprende cioè alla lettera l’affermazione di von Balthasar secondo cui «l’elemento mariano governa nascostamente nella Chiesa, come la donna nel focolare domestico».
Il principio mariano prevede dunque una caratterizzazione “materna” e “domestica” del ruolo delle donne. Von Balthasar insiste però sulla precedenza inclusiva della mistica mariana rispetto alla ministerialità petrina: la prima è condizionante perché onnicomprensiva e liberante, mentre la seconda è condizionata perché ministeriale e amministrante. Dal canto suo, Giovanni Paolo II afferma che nella sua essenza la chiesa è insieme «mariana» ed «apostolico-petrina» perché la sua struttura gerarchica è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo, ma anche perché nella gerarchia della santità proprio la «donna», Maria di Nazareth, è «figura» della Chiesa e per questo esalta la funzionalità salutare del “genio femminile” nei confronti dell’uomo-maschio. Per Benedetto XVI , poi, «tutto nella Chiesa, ogni istituzione e ministero, anche quello di Pietro e dei suoi successori, è “compreso” sotto il manto della Vergine, nello spazio pieno di grazia del suo “sì” alla volontà di Dio». Anche Francesco infine fa fatica a liberarsi dalla visione patriarcale che costringe maschile e femminile dentro uno schematismo che non diventa meno pericoloso quando si stabiliscono Pietro e Maria come figure simboliche di riferimento e si riserva, a Pietro, cioè agli uomini, il ministero dell’autorità e a Maria, cioè alle donne, il carisma dell’amore.
I bipolarismi sono sempre seduttivi perché illudono. Fanno credere che le differenze si possano risolvere in una formula e la complessità possa essere contrabbandata con la semplificazione. Eppure, le diverse amplificazioni retoriche alla cui radice c’è l’identificazione donna-focolare, cioè tra femminile e domestico, femminile e interiore, femminile e accogliente, femminile e spirituale, da una parte, e dall’altra tra maschile e ministerialità, maschile e autorità, maschile e potere rappresentano una vera e propria difficoltà, in senso tecnico uno “scandalo”, per donne e uomini che non possono più concepire la differenza sessuale in termini gerarchici. Anche perché è diventato ormai del tutto chiaro che forme di esaltazione mistica del femminile sono direttamente proporzionali al rifiuto di riconoscimento pubblico dell’autorità delle donne.
La questione si pone dunque in tutta la sua durezza: il principio mariano-petrino non esprime una ideologia e una retorica della differenza sessuale e della differenza di genere che è stata ormai smascherata come una delle coperture dei privilegi patriarcali? Tra l’altro, il sistema dei saperi dentro il quale si situa l’odierna valutazione della differenza sessuale e di genere ha preso ormai definitivamente le distanze dalla psicofisiologia che doveva il suo fondamento alla biologia aristotelica e non permette in nessun modo di far corrispondere la distribuzione di ruoli e poteri alle morfologie biologiche o, tanto meno, a classificazioni psicofisiologiche.
Il bipolarismo maschile-femminile, che ha occupato la scena addirittura ossessivamente quando il pensiero teologico era totalmente androcentrico e patriarcale, da più di un secolo, da quando cioè le donne prima sono diventate “questione femminile” e poi, scrollatasi di dosso questa offensiva espressione, hanno deciso di sentirsi a pieno titolo protagoniste della vita sociale, politica ed ecclesiale, è stato ormai sottoposto a decisive revisioni e importanti ribaltamenti. Anche nella vita delle chiese. E il principio mariano-petrino che garantisce la conservazione di stereotipi dottrinali, assetti istituzionali, pratiche devozionali, rivela ormai tutta la sua fragilità. Anche perché oggi nulla può sfuggire al controllo del rapporto tra ordine simbolico, premesse antropologiche e ricadute sociali. Neppure il pensiero teologico. Per questo le ragazzine afroamericane che esultano perché Ariel ha il loro stesso colore di pelle ci ricordano che nessuna parola, nessun pensiero, nessuna immagine è “neutra”: tutte veicolano una visione della vita. Inclusiva o discriminatoria. Per questo l’invito è ormai pressante: parliamone.