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Enzo Bianchi, Fabio Rosini "Commenti Vangelo 18 dicembre 2022"

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Commento al Vangelo della domenica e delle feste 
di Enzo Bianchi fondatore di Bose

Come Dio è venuto tra noi
18 dicembre 2022
Quarta Domenica di Avventoanno A

Mt 1,18-24

¹⁸Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. ¹⁹Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. ²⁰Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ²¹ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». ²²Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ²³Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. ²⁴Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

 

 

Gli uomini e le donne di oggi sono tentati di leggere come un mito questo racconto “miracoloso”, ma occorre capire ciò che in profondità vuole comunicare alla nostra fede. Questa l’intenzione dell’evangelista: far comprendere al lettore che un uomo come Gesù solo Dio ce lo poteva dare, che è stato Dio a inviarlo; anzi, se Gesù era in forma di Dio e si è spogliato con l’umanizzazione, allora è veramente il frutto della volontà di Dio e dell’acconsentimento dell’umanità a questo “meraviglioso scambio”, a queste nozze. Come dire che Gesù era in relazione con Dio, che era la presenza di Dio tra gli uomini? L’unzione dello Spirito santo che feconda il grembo di Maria appare un racconto adeguato per fondare la fede.

 

 

Brevi note sulle altre letture bibliche

 

Isaia 7,10-14

 

Il profeta Isaia inizia il suo ministero dopo la vocazione e la missione ricevute nel tempio nel 740 a.C. (cf. Is 6,1-13). Si reca dal re Acaz, in una situazione di crisi politica, e gli chiede di non temere e di confidare nel Dio di Israele, perché solo chi crede può restare saldo (cf. Is 7,4-9). Poi lo invita a chiedere un segno al Signore, per poter credere. Di fronte al rifiuto del re, è il profeta stesso a promettere un segno di salvezza da parte del Signore: “Una giovane donna concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Immanu-El”, Dio-con-noi. La nascita di un bambino sarà dunque segno e pegno che Dio è con noi, con il suo popolo santo. Il brano evangelico odierno cita questa profezia.

 

Lettera ai Romani 1,1-7

 

L’inizio della Lettera ai Romani è teologicamente densissimo: “Paolo” è “servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il Vangelo”. Cosa contiene questa buona notizia? Ciò che era stato promesso dai profeti nelle sante Scritture si è compiuto con la venuta del Figlio di Dio nel mondo, “nato dalla discendenza di David”, dunque uomo fragile e mortale, ma “costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della resurrezione dei morti”. Ecco tutto il Vangelo: Gesù è nato come uomo, è vissuto come uomo fino alla morte, ed è stato risuscitato dai morti, divenendo il Vivente, il Signore per sempre. Il brano evangelico odierno illustra come Gesù è discendente di David, il Re Messia.

 

 

* * *

 

L’Avvento sta per concludersi e dopo tre settimane nelle quali l’attesa era indirizzata alla parousía, alla manifestazione finale del Veniente, il Figlio dell’uomo nella sua gloria, ora inizia un tempo di memoria: ricordiamo eventi del passato, la preistoria del Messia, facciamo memoria di come il Figlio di Dio è venuto nel mondo, perché proprio questi eventi fondano la nostra attesa della venuta gloriosa di Cristo. Si faccia pertanto attenzione: non attendiamo il Natale, evento già avvenuto che possiamo solo ricordare, ma confessiamo la nostra fede nel Signore Gesù anche nel suo venire nel mondo, confessiamo il mistero centrale della nostra fede, l’incarnazione, nelle tappe e negli eventi che hanno manifestato il disegno di salvezza di Dio.

 

Qual è dunque la ghénesis (cf. anche Mt 1,1), l’origine di Gesù? Così la racconta Matteo: c’è una ragazza di Nazaret di Galilea, Maria, promessa sposa di Giuseppe. Questa era l’usanza nelle nozze ebraiche: venivano stipulate con il fidanzamento, ma a volte passava un certo tempo tra l’impegno matrimoniale e la convivenza dei due sposi, soprattutto se in età adolescenziale. In questo tempo in cui Maria e Giuseppe non convivono ancora insieme e quindi non consumano le loro nozze, accade ciò che è umanamente inaudito: Maria si trova incinta, il suo grembo è fecondato, vi è in lei un figlio che attende di venire alla luce. Cosa significa questo fatto? Diciamolo subito: quel Figlio solo Dio può darlo, e l’azione creatrice di Dio è all’opera in Maria. Non il caso né la necessità, il destino, presiedono a quella gravidanza, ma la volontà di Dio stesso, che vuole essere “veniente” tra gli umani. Ecco la genesi di Gesù di Nazaret:

 

una donna, Maria,

lo Spirito di Dio che agisce in lei come Spirito creatore che “cova sulle acque” (cf. Gen 1,2, versione siriaca)

e un uomo che appare come un testimone.

 

L’evangelista Matteo non si interessa né alla reazione psicologica di Maria né a quella di Giuseppe, ma vuole metterci di fronte a una situazione reale, pur nell’aporia: Maria è incinta senza aver conosciuto uomo e Giuseppe ignora cosa possa essere accaduto. Quest’ultimo è presentato come uno tzaddiq, ossia un giusto, un credente, e venuto a conoscenza della situazione di Maria pensa di sciogliere il vincolo nuziale, senza dire nulla pubblicamente, per non svergognarla. Difficile per noi decifrare cosa muoveva Giuseppe ad assumere tale decisione, e va detto che i commenti al riguardo, anche quelli dei padri della chiesa, sono incerti, a volte persino ridicoli. Secondo alcuni egli vorrebbe applicare la legge sull’adulterio, ma senza giungere alla violenza (cf. Dt 22,23-24); secondo altri è ferito e deluso… Più semplicemente, si può pensare che Giuseppe, accolta la spiegazione fornitagli da Maria, essendo pieno di timore di Dio, pensa di fare un passo indietro, per non vantare nessun diritto su quel bambino che Maria dice venire da Dio: di fronte alla paternità di Dio, Giuseppe rinuncia alla propria!

 

Quell’aporia può essere risolta solo da una rivelazione, dall’alzare il velo da parte di Dio con la sua parola. Ecco dunque l’angelo, il messaggero del Signore, che si fa presente a Giuseppe mentre egli dorme, in un sogno, mezzo attraverso il quale nell’Antico Testamento Dio ha più volte rivelato la sua volontà e la sua azione (come a uno dei figli di Giacobbe, Giuseppe, l’uomo dei sogni: cf. Gen 37,5-11). Il messaggero di Dio si rivolge a Giuseppe ricordandogli la sua identità, che contiene anche una missione: “Giuseppe, tu che sei figlio di David, che hai un posto nella discendenza messianica, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Questa parola del Signore chiede a Giuseppe obbedienza, gli chiede di essere sposo di una sposa che gli dà un figlio come Dio l’ha promesso nella discendenza di David a tutto il popolo santo. Giuseppe deve accettare questa spogliazione del suo essere sposo e saper vivere una paternità non sua: paternità che eserciterà dando al figlio il nome Jeshu‘a, Gesù, che indica la sua missione di salvezza, dunque di perdono dei peccati (cf. Lc 1,77). Giuseppe è invitato a diventare padre, a sentirsi padre di un figlio che non viene dal suo desiderio, dalla sua decisione, ma soltanto da Dio: sarà padre di Gesù secondo la Legge e tale sarà chiamato dai suoi conoscenti che non conoscono le profondità del mistero (cf. Lc 4,22). Giuseppe deve esercitare la sua qualità di figlio di David su colui che è il Figlio di David promesso e acclamato (cf. Mt 21,9).

 

Di fronte a questo racconto di miracolo, gli uomini e le donne di oggi sono tentati di restare esitanti, di leggerlo come un mito, ma con sguardo puro dovremmo giungere a capire ciò che in profondità vuole comunicare alla nostra fede. Più che la forma narrativa, dobbiamo cogliere l’intenzione dell’evangelista, che è questa: far comprendere al lettore che un uomo come Gesù solo Dio ce lo poteva dare, che è stato Dio a inviarlo; anzi, se Gesù era in forma di Dio e si è spogliato con l’umanizzazione (cf. Fil 2,6-7), allora è veramente il frutto della volontà di Dio e dell’acconsentimento dell’umanità a questo “meraviglioso scambio” (antifona dei primi e secondi vespri della solennità di Maria SS. Madre di Dio, 1° gennaio), a queste nozze. Come dire che Gesù era in relazione con Dio, che era la presenza di Dio tra gli uomini? L’unzione dello Spirito santo che feconda il grembo di Maria appare un racconto adeguato per fondare la fede.

 

A Giuseppe, dunque, non è data innanzitutto una “rivelazione” sul Figlio, ma una “vocazione”: come a Osea fu chiesto di sposare una prostituta, a Geremia di restare celibe, a Ezechiele di restare vedovo, a Giuseppe è chiesto di accogliere come figlio Gesù, un figlio che in verità non è suo figlio, ma Figlio di Dio. Così Giuseppe dà alla sua sposa Maria non solo una casa, ma anche un casato, quello di David, permettendole di entrare nella discendenza messianica, di compiere la promessa di Isaia e di imporre al figlio il Nome che contiene in sé anche una missione. Per questo Matteo annota: “Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ‘Ecco, la vergine – termine che viene dalla versione greca dei LXX, mentre l’ebraico dice, alla lettera, “una giovane donna, una ragazza” – concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi’ (Is 7,14)”. Quando Giuseppe si sveglia, senza fare alcuna obiezione, “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, diede alla luce un figlio che egli chiamò Gesù”. Giuseppe era stato definito “giusto”: ora lo conosciamo come credente e obbediente alla parola del Signore nel silenzio. Le vocazioni sono diverse: c’è chi è chiamato da Dio a fare la sua volontà proclamando, annunciando, addirittura gridando (come il Battista, cf. Mt 3,3 e Is 40,3); e c’è chi è chiamato a eseguire, a fare concretamente, in un abisso di silenzio. Nei vangeli non ci è testimoniata alcuna parola di Giuseppe, ma di lui sono attestati l’obbedienza e il silenzio: non mutismo, ma silenzio di adorazione, di custodia, di approfondimento del mistero.

 

Questa pagina può essere per noi un grande insegnamento: ci dice infatti che Dio può sorprenderci e che quando, secondo la nostra giustizia davanti a lui, abbiamo elaborato e deciso un tragitto, il Signore può improvvisamente chiederci di mutare direzione e cammino, verso un orizzonte che ci resta oscuro. È l’ora di obbedire mettendo un passo avanti all’altro, sicuri che “camminando si apre cammino” (Antonio Machado) e che il Signore solo ci precede. Questo deve bastarci.


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Don Fabio Rosini, direttore del Servizio per le Vocazioni della Diocesi di Roma,

commenta il Vangelo del 18 dicembre 2022, IV domenica di Avvento, Anno A.

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