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Mariangela Gualtieri: «Senza gli altri non siamo nulla»

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Capita a volte di sentire una parola che, stagliandosi sul brusio quotidiano, si impone per la sua forza. Una parola capace di zittire i rumori che solitamente ci accompagnano e ci stordiscono e di mostrarci qualcosa di nuovo, o forse di antico, sicuramente profondo. «… ringraziare desidero / per l’amore, che ti fa vedere gli altri / come li vede la divinità / per il pane e il sale / per il mistero della rosa…»: è accaduto quando Jovanotti, all’ultimo festival di Sanremo, ha letto questi versi di Mariangela Gualtieri. Strano destino quello dei poeti: per anni creano i loro versi nel silenzio, poi un festival di canzoni li rende noti al grande pubblico

Si ricorda quando e perché ha sentito il bisogno di scrivere poesie per la prima volta nella sua vita?

Il bisogno di una lingua più espressiva, più parlante della lingua corrente c’è stato in me fin dalla prima infanzia. Ricordo molto bene il disagio di non avere le parole, disagio che mi ha accompagnato per tutta la vita. Ho cominciato prestissimo a scrivere poesie e poi, derisa da qualcuno, ho smesso ed ho ripreso a quarant’anni. Un esilio dalla parola durato molto a lungo, durante il quale ho abitato con passione il disegno, la pittura e lo studio ad alta voce dei poeti.

Di recente ha sottolineato l’importanza di declamare la poesia, di dirla a voce alta. Perché è così importante l’oralità quando si ha a che fare con i versi?

La grande energia della poesia si attua pienamente quando anche la sua forma sonora viene espressa, e poi quando è condivisa, in una coralità d’ascolto. Nella musica questo è chiarissimo: non ci basta leggere gli spartiti, desideriamo trasformarli in forza acustica. Allora tutti i corpi dei presenti vengono immersi in quel bagno sonoro e tutti i corpi ne godono insieme. La poesia è musica, ha tutti i poteri della musica, compresa quella gioia del corpo.

Nella poesia 9 marzo 2020 ha scritto: Adesso lo sappiamo quanto è triste / stare lontani un metro… Con la pandemia abbiamo scoperto che sono le relazioni a dare senso alla vita, che siamo parte di un tutto… Quello del noi, della comunità, è un tema ricorrente nei suoi versi…

Mi sembra la meraviglia di questo tempo: cominciare a capire che tutto ci tiene in vita, che senza gli altri, senza la cura e l’amore degli altri non ce l'avremmo fatta. Gli altri umani, certo, ma anche animali, vegetali, acqua, cielo, luce…

Siamo usciti migliori da questa dura esperienza, che ancora non è finita, come ci si augurava?

Io credo che i sensibili ne siano usciti con una consapevolezza aumentata. Credo che siano in cerca, in attesa di un possibile agire comune, per un rimedio, per una maggiore cura. Gli altri mi sembrano sempre più in balia dei violenti dettami di quella che mi piace chiamare la Signoria Attuale, fatta di slogan pubblicitari, di un immaginario sempre più violento, di subdoli dettami consumistici, di menzogne di certi politici ecc.

Oggi abbiamo molti segni della superbia dell’uomo: la guerra, il cambiamento climatico, le ingiustizie…

È vero, ma è vero anche che oggi cominciamo ad accorgerci di questa visione distorta e cominciamo a provarne orrore. Per questo io credo che stiamo vivendo un grande tempo, un grande momento. Era superbo anche pensare di essere al centro dell’universo, o figurarci un Dio ad immagine e somiglianza umana… Quando metto pezzettini di mondo sotto la lente del mio microscopio, mi pare che quello che vedo, una foglia, un’ala, una ragnatela, sia ogni volta centro dell’universo, tanto è ben fatto, tanto è geniale e prodigioso.

Ha detto che la Divina Commedia, per lei, è un manuale della felicità: perché?

La Divina Commedia racconta il viaggio che tutti dobbiamo fare e lo percorre per noi: l’attraversamento dell’inferno, quell’uscire dal dolore e tendere verso un’ascesa. E ci dà parole preziose come viatico. È il viaggio dalla paura verso il suo contrario che non è il coraggio – anche i mercenari ne hanno parecchio – bensì verso quella grande forza che muove il sole e le stelle e che Dante chiama Amor.

Spesso la poesia risulta ermetica, astrusa, inaccessibile a tante persone, che così non se ne sentono coinvolte. La sua invece, senza nulla perdere in intensità, raggiunge l’orecchio e il cuore, si fa ascoltare e capire…

Trent’anni di scrittura per il teatro, con un regista sensibile ed esigente come Cesare Ronconi, sono stati una grande lezione verso la semplificazione. O come dice Borges, verso una segreta e modesta complessità. Ho sempre nell’orecchio i suoi rimproveri, il suo richiamo ad abbandonare velleità intellettualistiche e ad essere più diretta, più frontale, e anche più dimessa.

Che rapporto c’è fra la poesia e la preghiera?

Per me la poesia è preghiera, è molto spesso sacra scrittura. C’è ascolto e c’è dialogo fra noi e le nostre profondità, fra noi e ciò che ci trascende. E la preghiera a me sembra proprio questo: ascolto plenario e frequentazione di abissi e di altezze. Cosa può fare la poesia per cambiare il mondo? Non credo che la nostra specie possa cambiare il mondo. Possiamo tutt’al più cambiare noi stessi e cercare di vivere in armonia col resto. Allora la poesia può in questo, essere una preziosissima, illuminante alleata.

Fonte: Famiglia Cristiana

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