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Giovanni XXIII e il Vaticano II: Il popolo di Dio in ascolto dello Spirito

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Tutti ricordano il “Discorso della Luna” di Giovanni XXIII: «Cari figliuoli […] qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affacciata stasera a guardare questo spettacolo. […] Tornando a casa troverete i bambini, date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona». Pochi, però, sanno che quelle parole furono pronunciate in un giorno speciale, l’11 ottobre 1962, 60 anni fa, data di apertura del concilio ecumenico Vaticano II. Fu un discorso non previsto: in piazza San Pietro si stava svolgendo una fiaccolata per concludere con la preghiera la solenne giornata. Il Papa doveva solo impartire la benedizione dalla finestra del suo studio ma, una volta affacciatosi e colpito dallo spettacolo della gran folla illuminata dalle fiaccole, parlò a braccio con quelle memorabili frasi. Ma cosa è stato il concilio Vaticano II che si apriva quel giorno? Perché papa Roncalli aveva deciso di convocare l’assise? Cosa ha cambiato quell’evento nella vita della Chiesa? Perché l’eredità del Concilio è collegata alla “sinodalità” tanto cara a papa Francesco? Ne parliamo con Marco Roncalli, 61 anni, giornalista e saggista, pronipote del “Papa buono”, che ha dedicato molta parte della vita a studiare e raccontare l’illustre parente, in particolare collaborando fianco a fianco con Loris Capovilla, storico segretario di papa Giovanni, creato cardinale da papa Francesco e morto centenario nel 2016. Con monsignor Ettore Malnati, già vicario per il laicato della diocesi di Trieste e studioso del Concilio, Roncalli ha appena pubblicato un libro intitolato Giovanni XXIII. Il Vaticano II, un concilio per il mondo (Bolis Edizioni).

Papa Giovanni era stato definito un “Papa di transizione”. Eletto a quasi 77 anni – che all’epoca significava essere molto anziani – ci si aspettava da lui un pontificato breve, come in effetti fu, ma anche “ordinario” e “rassicurante”. E invece stupì tutti convocando addirittura un Concilio, evento che la Chiesa aveva vissuto solo due volte negli ultimi 500 anni, e che si rivelò la promessa di una “nuova Pentecoste”. Perché papa Giovanni decise di affrontare una simile avventura?

«Credo perché non si poteva più attendere: occorreva spalancare le finestre e far entrare il vento dello Spirito. Ed è importante far notare che, anche se l’idea era già stata presa in considerazione da altri Pontefici prima di lui – penso a Pio XII (papa Pacelli) ma anche a Pio XI (papa Ratti) – lui, Giovanni XXIII, assunse questa decisione coraggiosa in modo del tutto personale e con una sua impostazione più pastorale che dogmatica, dopo averla sedimentata nella preghiera. S’intende che ne parlò già all’indomani dell’elezione con il segretario particolare, Loris Capovilla e, più tardi, con il segretario di Stato Domenico Tardini, ma è stato proprio lui a confidare che la spinta a programmare il balzo in avanti per la Chiesa gli era venuto “per ispirazione divina”»

Si può dire che la preoccupazione di papa Giovanni fosse quella di far trovare alla Chiesa delle parole nuove per annunciare Gesù alle donne e agli uomini di oggi. Secondo lei, quali sono i grandi cambiamenti che ha operato nella Chiesa e nel mondo?

«Innanzitutto Giovanni XXIII voleva nella Chiesa parole nuove per annunciare il Vangelo di sempre alla società contemporanea. Come affermò lo stesso Papa all’avvio del periodo di preparazione – durato più del Concilio stesso –, piuttosto che di punti di dottrina o disciplina, si trattava di “rimettere in valore e splendore la sostanza del pensare e del vivere umano e cristiano, di cui la Chiesa è depositaria e maestra nei secoli”».

Quali sono le “parole-chiave” emerse dal Concilio?

«Le parole più rappresentative direi che sono universalità della Chiesa, aggiornamento, collegialità, dialogo, ecumenismo, fraternità e…“santa libertà dei figli di Dio”, come avrebbe detto lo stesso Papa l’8 dicembre 1962 alla cerimonia conclusiva del primo periodo, cui parteciparono oltre 2.500 Padri conciliari».

Suo nonno, Giuseppe Roncalli, era uno dei dodici fratelli del Papa. I suoi familiari come le parlavano del Santo Padre? E che influsso ha avuto sulla sua vita questa importante parentela?

«Per motivi anagrafici non posso dire di averlo conosciuto (quando è morto, Marco non aveva ancora compiuto 4 anni, ndr), anche se conservo gelosamente autografi che concludono con un saluto per me. Ho conosciuto invece tutti i suoi successori. Però la sua storia è stato un racconto continuo assorbito in famiglia. Da ragazzino, con altri cugini, la sera e anche la notte, facevo compagnia a mio nonno Giuseppe che, rimasto vedovo, viveva con mia zia Ancilla. Ci raccontava sempre del fratello divenuto Papa o della Prima guerra mondiale dove era stato al fronte. Più tardi, dopo studi giuridici – e una tesi di laurea in Diritto canonico sul Segretariato per l’Unità dei cristiani – quei racconti ascoltati nell’infanzia ho voluto approfondirli sotto il profilo storico. Un interesse via via sempre cresciuto e che si è incrociato con la professione, la ricerca, i libri, gli articoli, i documentari... E ho avuto la fortuna di essermi trovato per decenni alla scuola di un grande maestro: il vescovo, poi cardinale Capovilla, don Loris… E di incontrare tanti personaggi e parlare con loro di Giovanni XXIII e del Concilio. Storici, testimoni, in Italia e all’estero: per dare un’idea, ne ho persino parlato con Fidel Castro o la figlia di Krusciov…».

Che rapporto aveva papa Giovanni con la sua famiglia d’origine?

«Quando ho incontrato papa Bergoglio alla canonizzazione di Giovanni XXIII nel 2014, alla sua domanda sulla parentela ho risposto: “Sì, sono un pronipote – sobrino nieto – ma lei sa benissimo che una volta eletti Papa la famiglia è tutto il mondo…”. E lui subito ha sorriso. In una lettera testamento alla famiglia, papa Giovanni si rincresceva di non poter sempre scrivere a tutti e aggiungeva che aveva ragione suo fratello Giuseppe – mio nonno – a dirgli: “Siete un prigioniero di lusso che non può fare tutto ciò che vorrebbe”»

Nell’introduzione al suo libro, proprio papa Francesco dice che «l’ultimo Concilio ecumenico non è stato ancora interamente compreso, vissuto e applicato». Quali sono gli aspetti più importanti che ancora devono essere acquisiti?

«Più che di un aspetto o di un altro, credo che sia lo stile chiesto dal Concilio a dover maturare di più: nella quotidianità, nelle nostre relazioni, nello stile di una Chiesa che non sempre preferisce usare la “medicina della misericordia” al posto del rigore – come disse papa Giovanni l’11 ottobre 1962 nel discorso Gaudet Mater Ecclesia –, che non lavora troppo sulla sua forza di attrazione attraverso la testimonianza, che non sempre pensa e cammina insieme… E qui è evidente che il cammino sinodale voluto da Francesco è pure una via verso l’attuazione del Vaticano II nel coinvolgimento di tutto il popolo di Dio».

Ha qualche aneddoto familiare proprio legato al Concilio?

«Mio padre, che si chiamava Privato, ha fatto il militare a Venezia negli anni in cui lo zio era là nella laguna come patriarca. Spesso la sera, in libera uscita, lo andava a trovare e si rendeva disponibile per piccoli servizi, poi restava a cena. Più volte mi ha confidato – e ne ho avuto riprova leggendo le sue deposizioni al postulatore per la causa di canonizzazione – che già allora gli parlava del Concilio. Gli parlava della Turchia e della Grecia come terra di Concili. Gli spiegava cos’è un Concilio. E ben conoscendo la storia, gli diceva che la Chiesa ogni tanto aveva fatto ricorso a questo strumento per trovarsi preparata a raccogliere le sfide del tempo. Era qualcosa che aveva già ben chiaro negli anni alla vigilia del pontificato. L’avevano appena fatto Papa e due giorni dopo quella parola era già uscita: sì, la parola Concilio!».

Lavorando a questo libro ha riflettuto a lungo sul Concilio con monsignor Ettore Malnati. Quali sono state le “scoperte” o “riscoperte” che la hanno colpito di più e qual è, secondo lei, il messaggio centrale del vostro lavoro?

«Il libro si avvale del contributo, fondamentale, di monsignor Malnati, teologo e autore di tanti volumi e corsi di insegnamento sul Concilio. L’arco affrontato si limita al primo periodo conciliare, ma ci siamo avvalsi per la prima volta di tanti diari di allora fatti conoscere solo negli ultimi anni – da quello subito interrotto di monsignor Capovilla a quello del segretario del Concilio Pericle Felici, ad altri di vescovi, vaticanisti, ecc. Come pure il libro è frutto delle riflessioni condivise con altri storici e interpreti attuali di quell’evento: penso al priore di Taizé, frère Alois, che ci ha donato una bella introduzione. Detto in sintesi penso che il messaggio centrale possa stare in una frase: ripensare il Concilio per vivere il Sinodo…».

IL PAPA CHE FAVORÌ LA PACE NEL MONDO

Angelo Giuseppe Roncalli nasce a Sotto il Monte (Bergamo) il 25 novembre 1881 in una famiglia di contadini. Ordinato prete nel 1904, diventa il segretario del vescovo di Bergamo, insegna Storia della Chiesa, partecipa come cappellano alla Grande guerra e poi, negli anni Venti, inizia il servizio nella diplomazia vaticana. È inviato in Bulgaria e Turchia fino all’incarico di nunzio apostolico a Parigi nel pieno della Seconda guerra mondiale. Pio XII lo nomina patriarca di Venezia nel 1953, dove mostra una notevole passione pastorale. Nell’ottobre 1958 è eletto Papa con il nome di Giovanni XXIII e nel gennaio del 1959 annuncia l’intenzione di convocare un Concilio. Nel novembre del 1962 si fa mediatore con successo tra Usa e Urss nella crisi nucleare dei missili di Cuba. L’11 aprile 1963 firma l’enciclica Pacem in terris. Muore per un tumore allo stomaco il 3 giugno 1963. Beatificato nel 2000 da Giovanni Paolo II, è stato proclamato santo da Francesco nel 2014.


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Il Concilio del futuro’, serata speciale di Tv2000, condotta da Gennaro Ferrara, in occasione del sessantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II.
Un percorso tra passato e presente, tra memoria e profezia, lungo il sentiero che collega il Concilio Vaticano II al processo sinodale in atto, partendo dalla grande celebrazione dell’11 ottobre 1962 nella Basilica di San Pietro e dall’improvvisato “discorso della luna” pronunciato da Papa Giovanni XXIII quella stessa sera.
Nel corso della trasmissione l’intervista testimonianza a Monsignor Luigi Bettazzi, ultimo padre conciliare italiano in vita, e uno storico filmato dell’Istituto Luce dedicato ad una delle prime Messe beat celebrata, nel 1969 in una chiesa di Prato, sull’onda del rinnovamento della liturgia avviato dal Concilio Vaticano II.
Ospiti della serata: il Cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza episcopale italiana; la teologa Simona Segoloni; il giornalista e vaticanista Gian Franco Svidercoschi; Ernesto Preziosi, Presidente del Centro studi storici e sociali (Censes); Roberto Bettazzi, chitarrista della Messa beat celebrata a Prato.

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