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Vito Mancuso "Il valore del dono"

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Il valore del dono

Alba, 12 settembre 2022, in occasione del Premio Generosità per Maria Franca Ferrero.


Sento in me la necessità crescente di spiegare le parole, di ricondurre il pensiero agli elementi primordiali. Dopo la decostruzione del Novecento è il momento della ricostruzione, e i mattoni di tale impresa edile per ricostruire la fiducia della nostra mente nella vita sono le parole. Anche perché non è rimasto molto altro che ci unisce. Le parole sono il prodotto dell’impatto tra la vita e la mente, quindi rappresentano una genuina rivelazione della vita. Per questo noi, analizzandole, possiamo arrivare alle esperienze originarie della vita e così capirla un po’ meglio e interpretarla con più consapevolezza e più responsabilità.
Oggi celebriamo la signora Maria Franca Ferrero, una persona che ha fatto molti doni al suo territorio e ai suoi abitanti e che per questo riceve il Premio Gratitudine. Grazie a lei celebriamo anche il dono, la generosità che esso esprime, e la possibilità di essere migliori come esseri umani che tutto questo porta con sé. Il titolo assegnatomi dagli organizzatori per dare un contributo a questo evento è Il valore del dono, quindi io vorrei anzitutto analizzare la parola dono e la parola valore …

Dono non ha bisogno di spiegazioni nel significato e anche l’etimologia è facilmente riconducibile al latino donum, dal verbo do, infinito dare. Il dono è qualcosa di dato. Di doni tutti noi ne abbiamo fatti e ricevuti tanti, quindi tutto sembra chiaro: il dono è la manifestazione della capacità di generosità del genere umano. In realtà sappiamo che non è sempre così. Sappiamo che non tutti i doni sono veramente tali né quanto all’oggetto né quanto all’intenzione. Non lo sono quanto all’oggetto ricevuto, perché talora se ne farebbe volentieri a meno, non tutti i doni infatti sono regali (termine da intendere nel senso dell’aggettivo regale, “degno di un re”). E soprattutto non tutti i doni sono tali quanto all’intenzione con cui vengono fatti perché non sempre sono veramente pensati e gratuiti. L’esperienza insegna che vi sono doni inutili che non hanno nulla a che fare con chi li riceve ma sono solo consuetudini; che ve ne sono di fin troppo utili perché fatti per togliersi l’obbligo o per acquistarselo; che ve ne sono di ingombranti, fatti per far pesare la propria potenza; che ve ne sono di sbagliati, buone intenzioni ma pessimo risultato, che finiscono per essere sgraditi o persino offensivi.  Ma nonostante tutto ciò il concetto di dono è chiaro nella mente di tutti noi.

Cosa significa invece precisamente valore? Il campo semantico del concetto è molto ampio: può indicare prezzo (il valore di una casa), abilità (un poeta di valore), potenza (il valore del denaro), validità (un documento senza valore), importanza (una questione di immenso valore), idealità (i valori di famiglia) e altre cose ancora. Il sostantivo valore è collegato al verbo valere, dal latino valeo con due significati fondamentali: “essere forte” ed “essere sano”. L’etimologia ci insegna così che il concetto di valore deriva dalla condizione di chi è nella pienezza delle forze, fisiche ed economiche, in quanto ha vigore e può manifestare tale sua florida condizione. Il valore del dono quindi (quando si tratta di doni significativi) esprime anzitutto lo stato del donatore: è un’espressione di forza e di superiorità, perché pochi possono donare così.

Naturalmente però non tutti coloro che possono permettersi di donare in modo significativo lo fanno, e meno che mai non tutti quelli che donano lo fanno sempre con pura generosità, senza secondi fini, senza utilizzare i doni compiuti come strumenti per aumentare il proprio potere. Ne viene che chi dona tanto e senza secondi fini, ma solo per pura generosità e volontà di bene, manifesta la presenza di un modo di essere per comprendere il quale occorre convocare un altro concetto, uno dei più belli della nostra tradizione: il concetto di grazia.      

La parola arriva tale e quale dal latino con la sola trasformazione della t originaria nella zeta attuale e quanto al significato si tratta di uno di quei concetti che si dominano fino a quando non si devono spiegare, come sant’Agostino diceva del tempo: “Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so” (cfr. Confessioni XI,14). Quello che Agostino dice del tempo vale per altri concetti fondamentali della nostra vita quali verità, bellezza, giustizia, amore, e questo ci fa capire che il nostro linguaggio è più grande della nostra mente. Noi lo riceviamo come un dono dei secoli di cui dovremmo essere molto riconoscenti e a cui dovremmo dedicare molta cura, perché noi siamo le nostre parole, le nostre frasi, lo stile con cui parliamo; e siamo la capacità di ascoltare le parole degli altri, di apprezzare il loro modo di parlare, di capire ciò che dicono e come lo dicono (e ciò che non dicono e perché non lo dicono). Quale grande esercizio spirituale è la cura del linguaggio.  

Tornando a grazia, la sua antica definizione scolastica è la seguente: Gratia quia gratis datur, si chiama grazia “perché è data gratis”. La parola evoca quindi una dimensione in cui l’interesse economico non c’è più e il do ut des (“io do perché tu dia”) viene superato. Nel caso dell’autentico donare io do non perché tu dia, ma perché tu sia: sia felice, stia bene, e io mi rallegro del tuo benessere e della tua felicità. Il donatore quindi è un altruista? Certo. Se ne può parlare però anche come di un egoista intelligente che interpreta il volere bene a se stesso come voler bene agli altri. E forse questa è la maniera migliore, perché supera la distinzione un po’ troppo artificiosa tra egoismo e altruismo.
Il dono ci viene dato gratis, e chi lo riceve sente l’esigenza di riconoscere il beneficio ricevuto: da qui il grazie e il ringraziare. Quindi prima il dono o la grazia; poi il grazie o la gratitudine.

Il concetto di grazia però va molto al di là dello scambio gratuito, grazia è molto di più di gratis. Lo si capisce andando ad analizzare i tre ambiti concettuali a cui il concetto afferisce: la teologia, il diritto, l’estetica. In teologia, grazia indica l’azione sovrannaturale di Dio che salva indipendentemente dal merito umano. In diritto, la grazia è l’atto mediante cui il Presidente della Repubblica libera un condannato dalle conseguenze della condanna graziandolo (il verbo graziare si usa solo in ambito giuridico). In estetica, grazia rimanda alla forma, dice il modo elegante con cui il contenuto si presenta: con grazia cioè aggraziato; senza grazia cioè sgraziato.
Ma in conclusione occorre interrogarsi sul significato filosofico e spirituale del dono e della grazia chiedendosi che cosa essi manifestino, di cosa siano epifania. Se non tutti i doni sono veramente tali, che cosa dimostra il dono che invece veramente lo è? Mostra che anche noi, come la giovane donna del Vangelo salutata dall’angelo molti secoli fa, possiamo essere “pieni di grazia”. L’angelo la salutò dicendo: Ave gratia plena. Ebbene, anche noi, talora, siamo gratia pleni. È questo il significato esistenziale del fatto che possiamo fare e ricevere degli autentici doni entrando in una dimensione diversa rispetto agli scambi ordinari.
L’impulso e il desiderio della gratuità sono per noi l’angelo annunziante. La gratuità annuncia la grazia, e la grazia annuncia un altro modo di essere. E forse anche un altro mondo.

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