Chiara Giaccardi "Siamo mortali e siamo comunità. Questo rito ci riconnette"
Avvenire 20 settembre 2022
Nessuno è immortale.
Intanto un bisogno di presenza fisica. Non basta guardare la tv o scorrere i video su Instagram per partecipare all’evento. Non è solo curiosità o fascino per un’istituzione tanto obsoleta quanto popolare a muovere le persone, ma il senso di un passaggio d’epoca, di un commiato, di farsi testimoni di un passaggio, di trovarsi faccia a faccia con l’ineluttabilità della fine e voler vivere questo momento pro-prio lì, con altri. In un tempo in cui il digitale diventa il luogo di una 'comunicazione senza comunità', la concretezza della morte risveglia il senso di una comunità che non ha bisogno di parole per risuonare della stessa tonalità emotiva. «Tristi ma uniti » ha dichiarato una donna in coda da ore alla giornalista che le chiedeva come si sentisse.
Il bisogno di un 'noi' riaffiora continuamente, soprattutto quando la realtà ci mette alla prova, a ricordarci una verità antropologica misconosciuta: la relazione ci precede, e ci costituisce. Nel bene e nel male, come le intricate vicende della famiglia reale (ma in generale di tutte le famiglie) testimoniano. C’è anche una riflessione sul tempo che questo momento sollecita: c’è bisogno di una interruzione della frenesia, dei giorni che scorrono equivalenti, degli impegni che dettano legge o dello sforzo di sopravvivere a tempi difficili. Tutto passa, anche Elisabetta, eppure c’è bisogno, come ha scritto il filosofo Byung-chul Han, di «architetture temporali stabilizzanti», che diano il senso del permanere del legame, che sottraggano la vita alla contingenza che erode il senso di realtà e sostengano la fiducia che qualcosa dura, esiste davvero. E c’è bisogno di vivere questi momenti insieme, all’unisono, per assaporarne il senso e farlo nostro. «I tempi sono disconnessi », scriveva Shakespeare, e lo siamo anche noi.
Per questo abbiamo bisogno di «ecoritmi», come li chiama Sergio Manghi: «Ritmi viventi immediatamente relazionali, del tempo in atto ». È l’ennesima lezione che la vita ci impartisce su quanto è limitato, riduttivo, ideologico l’individualismo radicale che ci viene raccontato come la condizione ultima della libertà. E su come i nostri giorni non sono nelle nostre mani, per parafrasare un salmo, e questo illumina di un senso diverso la nostra vita. Non tutti i giorni sono uguali, non sempre si può ricominciare, siamo insieme viventi e mortali, e questo vale per tutti. Non tutto è equivalente, revocabile, controllabile – la morte ce lo ricorda. E il rito – che sia la processione composta alla camera ardente o la partecipazione alle esequie, aiuta a coglierne il senso, insieme. Per ricordarci che nessun uomo è un’isola e che la famiglia umana è una comunità di destino.