Io, donna, che predico a sacerdoti e seminaristi
Da ragazza non ho mai pensato che le donne potessero collaborare nella formazione dei sacerdoti. Non è che lo avessi escluso consapevolmente: il fatto è che non mi era mai passata per la testa questa possibilità. Sono cresciuta in una famiglia cattolica e ho assorbito il modo in cui i miei genitori si rivolgevano ai sacerdoti. Il loro era un tratto spesso pieno di affetto e sempre di grande rispetto, ma non era mai simmetrico. Per loro era come se il sacerdote fosse sempre in uno scalino più alto. Lui predicava, lui guidava spiritualmente, lui formava. E noi, popolo fedele, lo seguivamo e caso mai lo sostenevamo. Ma la asimmetria era palese.
Quando avevo quindici anni, mio fratello – da sempre la mia adorazione – è andato in seminario. La sua partenza fu una scossa tremenda. Di quel terremoto famigliare, voglio sottolineare qui un’unica cosa: in qualche modo è cominciato a cambiare il mio sguardo verso i sacerdoti. Ho capito che erano fatti di carne come mio fratello, pieni di debolezze e di fragilità, al contempo, e di grandi desideri. Erano semplicemente uomini che provavano a seguire una chiamata che li superava infinitamente. Ai miei occhi i sacerdoti sono diventati più umani, più simili a me.
Molti anni dopo ho cominciato a studiare per la licenza in filosofia in una università pontificia. I miei compagni erano tutti seminaristi o sacerdoti, e io ero l’unica donna. Essere seduti nello stesso banco ha rotto la asimmetria che avevo sempre sperimentato nei loro confronti. In aula eravamo tutti uguali. Ma piano piano, i miei compagni hanno cominciato a chiedermi consiglio su alcune questioni personali. Uno mi raccontava della sua famiglia, l’altro mi chiedeva come vivere un rapporto di amicizia o come gestire le proprie emozioni. Dopo chiedevano sulla vita di preghiera, sul discernimento… Senza che io mi rendessi conto, diventavo la «sorella maggiore» di tutti. Ogni volta si facevano più vulnerabili nei miei confronti, e andavano più in profondità nella loro apertura. Questo fatto destò non poche perplessità nei formatori. Non sapevano come giudicare la cosa. Alcuni, pur riconoscendo che io ero stata effettivamente di aiuto in qualche caso, non vedevano di buon occhio questo tipo di rapporto, che secondo loro, poteva sminuire la identità sacerdotale. Altri pensavano che io potessi diventare un pericolo per loro. Un rettore venne preoccupato a dirmi che se i seminaristi parlavano molto con me, sicuramente alcuni si sarebbero innamorati di me. Al che io risposi che se questo fosse capitato sarebbe potuta anche diventare una grande opportunità: quella di imparare a disinnamorarsi! Secondo me, anche questo poteva diventare utile nella loro vita.
Quegli anni di studio insieme a seminaristi e sacerdoti, nonostante le perplessità e alcuni passi indietro, servirono per abbassare le difese. Un giorno, per insistenza di un gruppo di seminaristi, sono stata invitata a tenere una conferenza sulla formazione affettiva all’interno del loro seminario. Assistettero anche alcuni formatori. Credo che questo fu l’inizio del capovolgimento: da essere una figura un po’ sospettosa per loro, diventavo alleata e finalmente collaboratrice. I formatori si resero conto che l’approccio femminile alle questioni affettive era decisamente diverso dal loro, e che quindi la mia prospettiva arricchiva molto l’insieme. Cominciarono ad invitarmi per tenere alcune conferenze brevi, poi corsi più lunghi. Incoraggiavano anche ai seminaristi a chiedermi un parere o ad essere accompagnati da me in certi percorsi personali.
Poco dopo, sono stata invitata a tenere per la prima volta una giornata sulla formazione affettiva, ma questa volta a sacerdoti. Anzi: a formatori di sacerdoti. Rimasi colpita dalla loro fiducia e semplicità nel condividere le loro difficoltà, dubbi, domande. Da allora sono invitata puntualmente a tenere questa giornata formativa per tutti i formatori dei sacerdoti di una congregazione religiosa. Ho fatto già sei edizioni.
Piano piano ho acquisito più esperienza e sicurezza. Ascoltando seminaristi e sacerdoti, ho scoperto alcune fibre fondamentali del loro cuore: certe necessità, blocchi abituali, paure, motivazioni, risorse. Non so bene quando né come si sparse la voce, ma cominciarono a moltiplicarsi gli inviti a predicare a sacerdoti e seminaristi di diverse congregazioni e diocesi, in Italia, Spagna, Colombia, Messico, e tramite online in altri parti del mondo. Di quest’ultimo corso scolastico, ricordo solo alcune grandi occasioni.
A settembre, ho guidato due sessioni formative a tutti i sacerdoti della diocesi di Monterrey, Messico. Il tema era il ruolo delle donne nella Chiesa e il tratto dei sacerdoti con le donne. Nella convinzione della necessità – urgente - di vivere rapporti di reciprocità e collaborazione tra uomini e donne in una Chiesa sinodale, ho tentato di evidenziare alcuni ostacoli e difficoltà frequenti: pregiudizi, paure, blocchi, insicurezze. Il cardinale ha ritenuto che questa fosse una formazione fondamentale per i suoi presbiteri, data la cultura maschilista in cui sono sommersi, e quindi ha dato una indicazione chiara: la formazione era obbligatoria. Hanno partecipato tutti i sacerdoti e diaconi della diocesi: un totale di più di 440. Nonostante alcune resistenze iniziali, ho trovato un uditorio aperto, che accoglieva il messaggio. Mi ha colpito scoprire questa apertura anche in sacerdoti piuttosto anziani, che sono stati formati in un modo molto diverso.
A novembre 2021, sono stata invitata a predicare gli esercizi spirituali ai seminaristi del seminario patriarcale di Venezia. Tre anni fa avevo già predicato il ritiro quaresimale a tutti i sacerdoti della diocesi, e anche ai seminaristi. Il rapporto si è mantenuto nel tempo, e quindi si è data quella bella occasione. Per la prima volta, è stata una donna a predicare i loro esercizi spirituali. A febbraio di quest’anno sono andata in Messico. A Monterrey ho nuovamente tenuto diverse attività formative, sempre per seminaristi, religiosi e sacerdoti della diocesi. Ancora una volta mi ha colpito la loro apertura e fiducia, la semplicità con cui chiedevano consiglio e si lasciavano aiutare.
Da due anni, sono ufficialmente collaboratrice dell’equipe di formatori di un seminario. Sono presente nella loro vita ordinaria (alcuni pasti, momenti di convivenza, attività liturgiche), ho collaborato nella elaborazione del loro programma formativo, sono invitata spesso a predicare ed è abituale che i seminaristi e anche i sacerdoti chiedano un confronto con me per affrontare diversi aspetti del loro percorso formativo.
In questi anni, ho scoperto che i sacerdoti e i seminaristi accolgono meglio certe riflessioni quando sono poste da una donna. Mi sono resa conto che io posso interpellare e confrontare con molta chiarezza senza mai offendere. Posso entrare nelle loro ferite senza che loro si sentano umiliati, ma al contrario: sono sollevati. In particolare, mi colpisce l’effetto che produce in loro aprirsi con una donna sulle difficoltà nella purezza: è quasi una sorta di esorcismo, nel senso che il male perde molto del suo veleno. Ho visto che la mia presenza in quanto donna li aiuta a connettere testa e cuore, e a incontrarsi con Dio non cancellando ma accogliendo le loro emozioni. Ho scoperto che il confronto con me modula e fa fiorire la loro mascolinità. Mi sono convinta di quanto bisogno hanno di imparare a ricevere l’affetto puro di una donna, per distinguerlo da altri affetti meno sani o più ambigui. Ho verificato in che modo la sensibilità e la prospettiva femminili arricchiscono la loro vita spirituale.
Infine, mi sono convinta del fatto che i sacerdoti hanno tanto bisogno delle donne e dei laici in generale nel loro percorso formativo, quanto noi abbiamo necessità della loro figura sacerdotale. Ci formiamo reciprocamente. È lontana l’idea della asimmetria tra i sacerdoti e il popolo che avevo da bambina. Ho scoperto che questa necessità e collaborazione vicendevole è molto più in linea con la visione antropologica ed ecclesiologica maturata nel Concilio Vaticano II . E mi sento molto fortunata di poter continuare a camminare con i miei carissimi sacerdoti e seminaristi, come sorella.
di MARTA RODRIGUEZ
Fonte: L'Osservatore Romano