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Enzo Bianchi "Tempo libero, tempo dello Spirito"

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1. Schiavi o padroni del tempo?

 

Nihil laboriosus quam non laborari, così constatava Guigo il Certosino: “Nulla è più faticoso del non faticare”.

 

Gli uomini e le donne di oggi mostrano ancora nel loro vissuto la verità di questa affermazione: il vero, l’autentico riposo è una grande fatica, e ancor più difficile è il vacare Deo, “fare vacanza per Dio”.

 

Eppure nel Libro della Genesi tutto inizia con il tempo: “Ci fu una sera, ci fu un mattino, giorno uno” (Gen 1,5). Il primo atto della creazione è il tempo, e quindi i giorni, come la terra, esistono da prima della comparsa dell’essere umano, in modo che egli non debba crearli, ma semplicemente accoglierli come un dono, riceverli con gratitudine per viverli con sapienza.

 

Il tempo è un dono di Dio all’essere umano, un dono da accogliere giorno dopo giorno, ora dopo ora, come un oggi di Dio. I nostri giorni sono la cosa più preziosa che possediamo, giorni della vita che non possiamo allungare neppure di un’ora, e man mano che il tempo passa diminuisce la durata della vita da vivere e nessuno può riprendersi ciò che è passato…

 

Eppure il tempo da dono da accogliersi con gioia e gratitudine può diventare un idolo, idolo alienante per ogni essere umano. Quando uno dice: “Non ho tempo!” non confessa proprio di essere dominato, schiavizzato dal tempo? Non lui vive il tempo e lo determina, ma il tempo lo aliena, lo schiaccia, lo determina.

 

Nel Salmo 90 – una meditazione davanti a Dio sul tempo della vita – c’è un’invocazione: “Insegnaci a contare i nostri giorni e i nostri cuori discerneranno la sapienza” (Sal 90,12), cioè insegnaci a determinare i nostri giorni, ad accogliere sempre il tempo come un dono, e allora noi vivremo con sapienza.

 

L’essere umano del mondo moderno conosce il tempo come una merce rara: è schiavizzato da ritmi stressanti, sovraccaricato da lavoro e impegni, non ha tempo, ha sempre qualcosa da fare come mosso da un impulso angoscioso, è preso in una corsa febbrile e non vive più faccia a faccia con se stesso l’hic et nunc, il “qui e ora”. Lavora tutta la settimana progettando il weekend come momento di riposo, di distacco dagli impegni e dalla vertigine quotidiana, ma poi non sa ritrovare se stesso e allora, pur di fare qualcosa, ferisce la quiete del sabato o della domenica con il rumore assordante del tosaerba, ricerca l’evasione in montagna sostando in file interminabili davanti agli impianti sciistici, si mette in viaggio in autostrade affollatissime per raggiungere luoghi pieni di gente… E in estate il mito sacro riscoperto in questi ultimi anni è il turismo come viaggio, come “altrove”, per “mangiare, dormire, divertirsi, scoprire”. In realtà si tratta di bisogni vitali, ma la febbre con cui si cerca di soddisfarli, il modello di comportamento impartito dalla pubblicità cui si fa riferimento, il portarsi dietro mille cose ingombranti che rimandano alla vita cittadina, impediscono proprio quel soddisfacimento sinfonico dei bisogni per il quale si organizza e si vive la vacanza.

 

Certo, non è facile vivere autenticamente e con fecondità le ferie, il tempo libero: non a caso vi è stato chi ha scritto di una malattia non grave, l’influenza, come di un’occasione utile perché consente di stare a letto alcuni giorni e quindi di riposarsi e pensare senza essere troppo condizionati da progetti, voracità, miti.

 

2. Il cristiano e il tempo libero

 

“Dio cessò nel settimo giorno da tutto il lavoro che aveva fatto” (Gen 2,3): per il cristiano queste parole dovrebbero essere un forte ammonimento e trovare riscontro nella sua vita. L’astenersi dal lavoro, il riposare non equivale a creare il vuoto, non è solo “non lavoro”, ma è accedere a un altro rapporto con il mondo, con le cose, con l’operare. Il settimo giorno è inscritto all’interno della creazione e testimonia la signoria di Dio sul tempo, la presenza di Dio nel tempo, nella vita dell’essere umano, in tutte le creature, compresa la terra. L’uomo e la donna dunque santificano quel giorno riconoscendo che Dio è Signore e Creatore, rallegrandosi dell’esistenza, vivendo nella gioia la co-creaturalità tra esseri umani e mondo, e quindi facendo di questo giorno un giorno di comunione, di pace con la natura, con gli umani, con se stessi. La logica del riposo sabbatico deve dunque informare ogni festa, il tempo libero, le vacanze…

         

Umanizzare e santificare il tempo libero, la vacanza, è per il cristiano necessario e anche difficile quanto l’umanizzazione del lavoro e della vita sociale in vista di un equilibrio personale e collettivo. Che cosa dunque farà il cristiano della vacanza? Per lui, come per ogni essere umano, è innanzitutto l’occasione di cogliere se stesso nella natura. È un microcosmo, e quindi è nel rapporto con il cosmo che ritrova la sua vera dimensione e il suo mistero. Contemplare la natura, vivere immersi in essa, è una necessità, perché l’essere umano deve avere comunione con la natura. Purtroppo la vita quotidiana urbana, tecnicizzata, con la sua incapacità di pulsare con la natura ha indurito, nel linguaggio biblico “reso calloso”, il cuore umano, ma alla natura l’essere umano non può sfuggire.

 

Assumere, riprendere i ritmi della natura, cogliersi in essa è essenziale per un’autentica umanizzazione. Quale ricchezza, quale esperienza di umanità si può fare nella comunione con tutte le cose! Con il germoglio che rompe la crosta terrestre, con il vecchio albero, con l’erba che fiorisce, con le pietre che rimangono ferme, salde, là dove noi le incontriamo sui nostri sentieri!

 

Ma da questa coscienza di co-creaturalità con la natura, da questa sensibilità al mistero della natura, il cristiano può risalire all’iniziativa di Dio, il Creatore, il Signore. Dio è presente più che mai, e nonostante i tentativi di rendere la nostra fede a-cosmica ci è possibile, là dove siamo collocati, vedere tutte le creature come lógoi, parole pronunciate da Dio. Tutte le creature sono state fatte per mezzo del Verbo e in vista del Verbo e nella loro esistenza-presenza narrano a noi una lode non udibile (cf. Sal 19,2-5). Il loro gemito poi, la loro sofferenza stessa, non esprime forse un’attesa del parto di una terra nuova, di un cielo nuovo in cui tutto questo mondo sarà trasfigurato (cf. Rm 8,19 ss.)? Communicantes in unum, comunicanti tutti in uno, in Dio, noi esseri umani e tutte le creature animate e inanimate: è questa l’autentica contemplazione cristiana, il vedere tutte le cose con gli occhi di Dio, vedere la natura come tempio (con-templare). L’essere umano che si umanizza e accede alla dignità dello spirito è un contemplativo, nel senso che è superiore a ciò che fa; così scriveva Chenu accostando a una teologia del lavoro una teologia del riposo. Questo è l’inizio dell’autentica santificazione del tempo libero in cui il riposo non è “fare nulla”, ma riacquisire la sensibilità a ciò che noi siamo, e riprendere coscienza della nostra vocazione.

 

Per questo nel tempo libero si dovrebbe dedicare ampio spazio, uno spazio particolare, al pensare. Sì, pensare! Si tratta di fermarsi e nella calma, nel silenzio, nel distacco dall’operare quotidiano, pensare… Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Per che cosa brucia il mio cuore? Chi sono gli altri per me? Domande elementari, ma varrebbe la pena, durante le vacanze, di leggere il libretto di Martin Buber, Il cammino dell’uomo, che pone al giovane e all’anziano queste domande fondamentali sulle quali dobbiamo tornare spesso nella vita per verificare la nostra autenticità, per misurarci con la nostra sorgente, per vivere ogni relazione nella verità e nello stupore dell’incontro.

 

Nelle vacanze a volte si ritrovano vecchi amici, a volte se ne incontrano di nuovi. Meravigliosa avventura quella dell’amicizia! Ma in essa la festa dell’incontro, della scoperta, deve essere autentica…

 

Mi diceva un vecchio monaco: ciò che è necessario all’essere umano per potersi rallegrare alla fine della vita è fare della sua vita un’opera d’arte, un capolavoro. Per questo occorre pensare, e se è vero che una persona che voglia essere autentica e ricca umanamente lo deve fare ogni giorno, è pur vero che le vacanze sono un’occasione particolarmente propizia. Oggi ci sono cristiani che proprio nelle vacanze raggiungono luoghi di silenzio e di solitudine per ritiri o esercizi spirituali, ma una dimensione simile si potrebbe vivere anche in una vacanza al mare o in montagna. Basterebbe scegliere con discernimento il luogo e darsi tempo per pensare.

 

Certamente per il cristiano le vacanze possono anche essere tempo dello Spirito, in cui si riprende l’assiduità con la parola di Dio, ci si nutre di questo cibo che dà riposo a chi è stanco e affaticato (cf. Mt 11,28-30). Far crescere la fede, la conoscenza del Signore, è un’esigenza per il cristiano che oggi purtroppo è molto immerso nel fare, nelle opere di carità, nel volontariato, ma poco attento alla dimensione della fede.

 

Penso all’ospitalità praticata in alcuni luoghi dello Spirito: non si tratta di assecondare un turismo esoterico e spirituale, né una vacanza a basso prezzo, ma di lasciare spazio a Dio, di conoscere e sperimentare luoghi di libertà e di ascolto – oggi tanto rari! –, di conoscere una vita comune ritmata sulla preghiera.

 

Insomma, le vacanze per il cristiano dovrebbero essere un’esperienza di gratuità, e la gratuità è un piacere, il piacere della libertà, libertà di incontrarsi, di scoprire l’altro diversamente, di incontrare Dio, libertà di fare una preghiera libera e creativa nello spazio poetico della natura…

 

Cambiare orizzonte è necessario all’essere umano, rinnovare il contatto con la natura fino a sperimentare una comunione è vitale e arricchente, mettersi in ascolto dello Spirito favorendo la vita interiore è indispensabile all’autenticità, ritrovare la comunione con Dio nella preghiera e nell’ascolto della Parola è condizione sine qua non per vivere di fede, di speranza e di carità. Lo Spirito di Dio plana sulle nostre vacanze in spiaggia, sui monti, nei boschi o nella contemplazione di opere d’arte, ma poi sta a noi ascoltarlo, cogliere la sua brezza, leggerne la presenza e quindi accoglierlo per umanizzarci maggiormente, crescere nella fede e quindi fare della nostra vita un’opera d’arte.

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