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Enzo Bianchi "La preghiera propria del Sinodo”

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Luglio 2022
La preghiera propria del Sinodo
per gentile concessione dell'autore

Da invocare nella celebrazione sinodale con l’antica preghiera Adsumus, ripresa dal Vaticano II

Dopo aver riflettuto sul forte legame tra sinodalità e preghiera, mi sembra utile offrire ai lettori una lettura e un commento della preghiera prevista dalla liturgia per l’inizio, lo svolgimento e la conclusione della celebrazione sinodale, in quanto proprio in essa noi troviamo le istanze essenziali perché il sinodo sia un evento dello Spirito santo nella comunità dei battezzati.

 

Nella mia vita monastica questa preghiera non rappresenta una novità, l’ho praticata nella mia comunità in apertura dei capitoli generali fin dal 1978: una preghiera che è sempre stata per noi monaci ispirante e capace di plasmare il modo di vivere il capitolo e la postura di ogni membro in quell’istituzione così preziosa e tradizionale nella vita cenobitica.

 

Questa preghiera è l’Adsumus, certamente conosciuto e praticato da chi è impegnato nel cammino sinodale voluto da Papa Francesco per le chiese locali e la chiesa universale.

 

L’Adsumus è una preghiera antica, scritta nella seconda metà del vii secolo d. C. in ambiente iberico, esattamente nell’alveo della liturgia ispano-visigotica, nel contesto del IV concilio di Toledo (633). Questa preghiera trova grande diffusione nei secoli successivi in occidente, inaugura i concili di Costanza e Basilea (xv secolo), ed entra nell’Ordo ad Synodum alla fine del xvi secolo. Il concilio Vaticano II la riprende più volte nell’inaugurazione del concilio e nelle congregazioni generali, e negli ultimi anni viene pregata nei sinodi e in altre riunioni ecclesiali.

 

Ma date queste essenziali notizie cerchiamo di leggerla nella sua dinamica di preghiera ispirante la sinodalità.

 

Siamo qui, davanti a te Spirito santo:

schiacciati dal peso dei nostri peccati

ma riuniti specialmente nel tuo Nome.

 

 

Va detto subito che l’Adsumus è una preghiera allo Spirito santo, un’invocazione al soffio di Dio, un’epiclesi perché lo Spirito scenda, venga sulla chiesa radunata in assemblea e le insegni il discernimento in vista delle decisioni e dell’azione da svolgere.

 

Nella tradizione eucologica romana non ci sono invocazioni dirette allo Spirito santo, ma nella liturgia visigotica queste erano attestate, come testimonia il Veni Creator Spiritus e il Veni Sancte Spiritus.

 

Dunque viene invocato lo Spirito santo che è Kýrios, Signore, proclamando che noi discepoli, credenti battezzati, stiamo davanti a lui.

 

Adsumus! Siamo qui riuniti in assemblea: eccoci! Questa è sempre la risposta a una chiamata. Nessuna auto-convocazione, ma eccoci, siamo qui in risposta alla voce di Dio!

 

Significativamente questa preghiera, secondo l’Ordo, deve iniziare dopo un tempo prolungato di silenzio, in cui si sta prostrati a terra, “senza parole, con pianti e gemiti”, quasi attendendo che la voce del Signore ci autorizzi ad alzarci e a dirgli: “Eccoci!”. Nella coscienza di essere peccatori: e lo si confessa subito in un momento penitenziale significativo: “Schiacciati dal peso dei nostri peccati”, i peccati che fanno parte della nostra umanità (peccati quidem humanitate detenti). Nessun orgoglio, nessuna arroganza, ma la coscienza di essere peccatori. Sì, “chi conosce e confessa il proprio peccato è più grande di chi risuscita i morti”, dicono i padri del deserto. Dunque si sta dinanzi a Dio come il pubblicano al tempio, conoscendo la propria miseria ma consapevoli che la miseria è invocazione della misericordia, sapendo che un cuore contrito e umiliato il Signore non lo disprezza e che il Signore ascolta chi è umiliato nel cuore.

 

Vieni a noi

sii con noi

e degnati di scendere nei nostri cuori

 

Insegnaci cosa operare

mostraci come fare il cammino

realizza tu stesso ciò che dobbiamo compiere

 

Sii tu solo a suggerire e guidare le nostre decisioni

tu che solo con il Padre e con il Figlio suo possiedi il Nome glorioso

 

 

È in questa chiarezza sulla propria condizione che si può allora dire allo Spirito santo:

 

Veni ad nos, adesto nobis et dignare in labi cordibus nostris

 

Vieni a noi… secondo la promessa fatta da Gesù lo Spirito verrà. È venuto sulla vergine Maria, è venuto su Cristo nel battesimo, è venuto sulla chiesa, viene ancora. È il compagno inseparabile di Cristo, dice san Basilio, e dunque dove c’è Cristo là c’è lo Spirito, e dove c’è lo Spirito là c’è la chiesa santa!

 

Adesto nobis! Se noi abbiamo detto adsumus possiamo dire allo Spirito Adesto, sii con noi! Sta accanto a noi, tu, il Paraclito, l’Advocatus, come lo ha chiamato Gesù! Vieni come Consolatore, come Difensore, come Assistente! Secondo le parole-promesse di Gesù il cristiano può contare su questa presenza dello Spirito santo e per questo lo invoca.

 

Dignare in labi cordibus nostris: degnati di entrare, prendere dimora nei nostri cuori. Noi possiamo stare davanti a Dio, possiamo e dobbiamo predisporre tutto, ma poi occorre che lo Spirito scenda, che lui operi, che lui insegni a noi come agire, che lui illumini la nostra mente perché possiamo fare discernimento e scegliere ciò che è secondo la volontà di Dio. Solo lo Spirito santo suggerisce e rende efficaci le volontà decisionali. Qui va confessato il primato della grazia che è lo Spirito santo! La preghiera dell’Adsumus sempre fa riferimento alle parole di Gesù: “Lo Spirito vi insegnerà ogni cosa” (Gv 14,26), quindi è lui che, nel sinodo più che mai, deve insegnare ricordando, suggerendo le parole di Gesù. Lo Spirito deve mostrare, ostendere, “fare segno” per il cammino da percorrere; lo Spirito deve operare perché è una forza, un’energia divina che realizza e porta a compimento ciò che noi non riusciamo a compiere. Per questo, quando viene detto a chi intraprende un cammino di sequela: “Il Signore porti a compimento ciò che in te ha iniziato!” (cf. Fil 1,6), è la fede della chiesa che si esprime in queste parole.

 

È evidente dunque che lo Spirito di Dio è invocato affinché sia il vero protagonista nell’assemblea sinodale. Nessun battezzato e dunque anche nessuna autorità ecclesiale può astenersi dal riconoscerne l’egemonia, può disattendere alle sue ispirazioni, può contristarlo e addirittura spegnerlo, se non bestemmiando e misconoscendone la presenza.

 

Non permettere che sia turbata la giustizia

tu che ami soprattutto l’eguaglianza

l’ignoranza non ci faccia sviare

l’umana simpatia non ci renda parziali

non ci influenzino le cariche e le persone

 

 

Per questo si chiede anche allo Spirito di Dio di non permettere che nel processo sinodale si contraddica la giustizia. Lo Spirito ama che i fratelli si riconoscano nell’eguaglianza della dignità, che non ci sia la prevaricazione dell’uno sull’altro, e che la differenza sia rispettata e accolta come dono nella sinfonia che deve contraddistinguere la comunione ecclesiale sempre plurale.

 

Lo Spirito preservi dal cadere nell’ignoranza che può trascinare al male, non permetta che simpatie mondane ispirate dall’onore, dal potere, dalla ricchezza, da tutto ciò che conta secondo il mondo, influenzino il cammino sinodale che deve essere sempre improntato al dialogo, al confronto sincero nella parresìa e nella preoccupazione di aderire alla realtà e di essere obbedienti alla verità.

 

Mai fare preferenza di persone (cf. Atti 10,34), mai ricorrere a strategie, mai favorire cordate o gruppi di pressione.

 

Tienici stretti a te con il dono della tua grazia

perché siamo uno in te

e in nulla ci allontaniamo dalla verità

 

 

Lo Spirito santo deve perciò unirci a lui: Junge nos tibi efficaciter solius tua gratia et dono. Puro dono, grazia assoluta, nessun merito da presentare al Signore. Noi possiamo solo dire: “Allontanati da me che sono peccatore… Comanda che io venga a te!... Uniscimi tu a te affinché siamo in te ‘uno’ e quindi uno in Cristo, uno nel Padre!”. Il nostro spirito è incapace di unirsi allo Spirito di Dio, ma proprio l’azione dello Spirito è unificante: portare unità, comunione, dove c’è separazione e divisione.

 

Ecco l’epiclesi sinodale, che si conclude significativamente con la consapevolezza di essere radunati nel nome dello Spirito santo e la dichiarazione di voler fare il cammino senza mai dissentire dai desideri dello Spirito. Guidati dallo Spirito, figli di Dio come attesta al nostro spirito lo Spirito santo stesso, possiamo camminare fino a poter annunciare, per grazia: “È parso bene allo Spirito santo e a noi” (At 15,28).

 

*        *        *

 

Nel nostro breve percorso sul rapporto tra preghiera e sinodalità abbiamo preso atto dell’urgenza di comprendere il processo sinodale nel suo insieme come cammino di preghiera, come liturgia.

 

E anche a questo proposito non dobbiamo dimenticare il magistero che dovrebbe esercitare la celebrazione eucaristica, l’assemblea ecclesiale per eccellenza dove è sempre lo Spirito santo ad apparire come il vero protagonista.

 

Purtroppo permane, nonostante il concilio Vaticano II, una comprensione cosificata dell’eucaristia, che non permette di coglierla innanzitutto come azione dello Spirito che fa di noi un solo corpo in Cristo attraverso la partecipazione al pane e al calice. Siamo lontani dalla ricezione dell’invito di sant’Agostino che chiedeva di vedere sull’altare noi come corpo e membra di Cristo per l’azione epicletica dello Spirito che trasforma l’assemblea in corpo del Signore. Continuiamo a sopravvalutare i mezzi e a non credere e adorare il fine della celebrazione eucaristica, il grande mistero: i nostri corpi diventano il corpo di Cristo! Anche a questo fine è radunato il sinodo per far risuonare insieme la voce della chiesa, la sposa, e la voce dello Spirito che chiedono la venuta di Cristo e la celebrazione della definitiva alleanza.

 

Non è un caso che Papa Giovanni, nonostante il parere contrario di molti padri, abbia voluto ogni giorno l’apertura dell’assise conciliare con la celebrazione eucaristica oltre che con l’intronizzazione del Vangelo, messo sull’ethimasía in posizione di egemonia e primato.

 

Se la sinodalità non è semplice strategia ecclesiastica ma è costitutiva alla chiesa, allora è un modo di essere chiesa, una nota ecclesiae oserei dire, che ha molto da insegnare, ha un magistero di comunione con il Signore e di comunione tra fratelli e sorelle, capace di indicare la dinamica di ogni assemblea cristiana, mistero della chiesa. 

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