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Antonio Savone "Quale nome? – Natività di S. Giovanni Battista"

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“Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce”, ci ricorda il vangelo di Mc. Dio è sempre all’opera, anche quando tutto sembrerebbe irrimediabilmente compromesso, quando tutto è nel segno della impossibilità conclamata. E oggi, in questa solennità della Nascita di S. Giovanni Battista, tocchiamo con mano come Dio si faccia strada in una storia che conosce il dramma della sterilità, il dramma, cioè, di non vedere un futuro perché il tempo della fecondità è stato abbondantemente superato.

Proprio la vicenda di Giovanni suggerisce un diverso modo di stare di fronte alla storia. Qualcuno pretenderebbe di imporgli il nome del padre Zaccaria, che significa “Dio ricorda”, ma Elisabetta è perentoria: “No, si chiamerà Giovanni”, che significa “Dio fa grazia”. È solo Dio a darci il nome vero, ad assegnare, cioè, il nostro posto e il nostro compito nella storia, nessun altro. A chi pretenderebbe accostare la vita e leggerla solo a partire dalle abitudini, dalle tradizioni consolidate, dal clan, viene ricordato che nessuno è padrone indiscusso del mistero di un’esistenza. Il compito di ognuno di noi è aiutare a scoprire il vero nome (quello nostro e quello di chi ci è affidato) che ci è assegnato e portarlo a compimento,.

Cosa viene a dire a noi questa differenza di nomi? Chiamarlo come suo padre significava leggere il presente a partire dal passato. Quante volte c’è un passato che incombe e condiziona! Della serie: puoi forse aspettarti qualcosa di diverso con simili premesse?

Chiamarlo con un nome nuovo, invece, suggerisce la consapevolezza che l’intervento di Dio non è relegato soltanto in una storia memorabile e gloriosa ma è ancora all’opera: Dio non cessa di intervenire a favore del suo popolo. Il problema, semmai, è accorgersene e riconoscerlo. Quando l’angelo annuncia la nascita di Giovanni attribuisce a quest’ultimo un compito ben preciso, quello di “convertire il cuore dei padri verso i figli”. Ci saremmo aspettati l’inverso. Eppure, Giovanni ricorda che è il presente a gettare nuova luce sul passato, a dare un senso a ciò che sembrava non averne alcuno. È il qui e ora a farci comprendere che davvero “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”, persino il limite della vecchiaia di Zaccaria e quello della sterilità di Elisabetta. E se ci fosse un modo diverso di leggere i nostri limiti, quello che a noi sembra, cioè, solo un ostacolo, un impedimento? È la vita nuova che accade sotto i nostri occhi a restituirci la giusta prospettiva con cui accostare ciò che è stato.

Dare il nome “Giovanni” al bambino significa confessare che per quanto nessuno nasca senza bagagli, nessuno è schiavo dei suoi condizionamenti pregressi. Quel figlio ormai inatteso non è l’ultimo anello di una storia passata a cui dovrà essere sempre debitore ma è il frutto insperato a cui la storia passata deve guardare prendendo atto che, pur tra mille resistenze, dubbi e incredulità, Dio si fa strada tra gli uomini.

Laddove noi saremmo convinti che non c’è soluzione di continuità, il vangelo attesta che Dio interrompe un meccanismo condizionato da un certo fatalismo: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”, obiettano i parenti e i vicini come a voler ricordare che le cose devono restare immutate.

Che Dio continui a far grazia vuol dire che non c’è fatalismo che tenga: ad influire su di noi non saranno soltanto gli inevitabili condizionamenti di un ambiente o di una cultura ma molto di più quelli della grazia, dell’opera stessa di Dio. Tra ciò che precede il nostro venire alla luce e ciò che ne consegue c’è il mirabile intreccio tra l’azione di Dio e la mia libertà.

La mia esistenza non è un libro chiuso il cui indice è stato già stilato. Se non mi sottraggo alla presenza di Dio nella mia vita, le pagine migliori sono tutte ancora da scrivere. Basti pensare al buon ladrone: una storia inevitabilmente segnata dal male, conosce un esito diverso per l’incontro con la Grazia all’ultimo istante. Non sono chiamato ad essere quello che qualcuno ha già scritto ma sono chiamato a diventare quello che Dio desidera per ciascuno di noi: “luce delle nazioni”. Ciascuno è chiamato ad aprire strade di novità lì dove il Signore lo ha posto.

Come Giovanni, anche il nostro compito è quello di preparare la via al Signore. Non siamo chiamati a proporre noi stessi ma a fare in modo che altri possano gustare la gioia di conoscere il Signore.

“Lui deve crescere, io diminuire”: non ci spaventi, perciò, tutto ciò che sembra ridimensionare pretese e aspettative nostre.

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Dal Vangelo secondo Luca 1, 57-66.80

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.


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