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Mariapia Veladiano "Costruire la pace oltre la paura e l’impotenza"

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2 aprile 2022 
 
"Costruire la pace oltre la paura e l’impotenza"

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27a). È il grande discorso dell’addio. Viene dopo l’annuncio del tradimento di Giuda, ovvero dopo che l’amico, il compagno che letteralmente mangiava il pane (cum panis, la semplice verità nelle parole) alla tavola dell’ultima cena è uscito nella notte a portare il tradimento fino in fondo. Come posso tradire l’amico? Magari mi faccio gli affari miei, me ne vado, mi tolgo dal gruppo, mi tengo lontano dal pericolo che vedo arrivare, ma perché tradire? L’amico, il vicino di casa che fino al giorno prima invece poteva ben esistere accanto a me, anche se non era simpatico, ma nessuno è simpatico a tutti. E invece no, ecco il tradimento e proprio in questo momento Gesù si consegna nel sorprendente discorso dell’addio. Cosa vuol dire vi lascio la pace? Giuda ha portato la guerra proprio dentro il gruppo dei dodici, il luogo dell’intimità, della fiducia. Come può venire la pace nel cuore della guerra? La storia racconta che le guerre finiscono con fatica immane, nella confusione, spesso, dei torti e delle ragioni, difficile restare innocenti quando si è in guerra. La teologia ha costruito biblioteche nel tentativo di disegnare i confini della guerra giusta e schiere di credenti, pacifisti, obiettori, persone comuni oppure piene di responsabilità politiche o culturali hanno ritenuto di non poter riconoscere mai giusta una guerra. E oggi i cristiani hanno anche le parole limpide, non addomesticabili di Papa Francesco sulla guerra, che non è un «fantasma del passato» (Fratelli tutti, n. 256), è «una resa vergognosa, una sconfitta contro le forze del male» (n. 261) e poiché gli uomini hanno accumulato un potere distruttivo mai conosciuto, «oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!» (n. 258)

E quando la guerra imperversa già sulle nostre vite? È la notte del tradimento e proprio qui Gesù parla di pace: «Vi lascio la pace vi do la mia pace, non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). È l’esperienza del Vangelo. Così è il cuore dell’uomo. È diviso. I fratelli si uccidono fra di loro come Caino e Abele al principio della storia. L’era messianica è stata annunciata attraverso immagini potenti di pace universale, pace interspecifica, direbbero gli zoologi: il lupo e l’agnello, la vacca e l’orsa, il bambino e i serpenti (cfr Is 11), ma poi, nel cuore dell’annuncio, della buona novella, Giuda tradisce, Pietro prima mette mano alla spada e poi sparisce nella nebbia del rinnegamento. Questo noi siamo eppure, dice Gesù nel discorso dell’addio, eppure c’è una pace che possiamo accogliere, non al modo dell’uomo ma al modo di Dio. Gesù non ha annunciato la pace in tempi di pace. La notte del tradimento i pensieri erano oppressi, il cuore spaventato, cosa sarà di lui, di noi? I pensieri nostri di questi mesi sono pieni di spavento e di impotenza. Come si fa se la guerra c’è già? “Non temete” è la pace di Gesù. È una pace ricevuta come dono di Dio, accolta come riparo alla propria angoscia. Se la paura non ci devasta, se possiamo avere pensieri di vita anche nel cuore del tradimento, allora possiamo nella bufera della guerra restare, o diventare, uomini e donne di buona volontà, amati quindi e ancora sempre capaci d’amore, «artigiani di pace», scrive ancora Papa Francesco in Fratelli tutti (n. 225), ingegnosi e audaci. «Prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16b). Che conoscono le regole del mondo, ma non perdono per questo il loro umano candore. E quindi si spendono per soluzioni diplomatiche, percorsi di dialogo, corridoi di salvezza, accoglienza, condivisione e in ogni momento impediscono alla paura di suggerire le scelte. Le armi non preparano un futuro di pace, perché non mettono in moto un pensiero nuovo, le bombe non possono annunciare nessuna buona novella. Non è facile per noi, che abbiamo permesso che la terra benedetta diventi un granaio di armamenti. Facciamo fatica a parlare oggi. Abbiamo la voce dell’aggressività assertiva: si deve fare questo e quello. Oppure della disillusione: non si può fare niente. Abbiamo creduto nella pace e molti di noi hanno lavorato davvero per la pace, e però non ci siamo accorti che invece si preparava la guerra, ma di questo siamo colpevoli evidentemente, perché è tutto sotto i nostri occhi: la corsa alla ricchezza, alle armi, al potere. Siamo i ciechi del Vangelo. E però non è facile nemmeno per i più giovani, per i ragazzi e le ragazze, perché hanno il nostro fallimento davanti agli occhi e perché li abbiamo educati all’inconsapevolezza. Abbagliati. E da cristiani non abbiamo testimoniato abbastanza che la vita è una, è preziosa, e soprattutto lo è per tutti, non solo per chi nasce dalla parte fortunata del mondo. Eppure, con parole nuove, lo sguardo fisso a chi ha parlato di pace nel cuore del tradimento, dobbiamo avere il coraggio oggi di essere come Pietro, anche lui traditore, e poter accogliere il dono, non avere paura e pensare che mai è tutto perduto.

Mariapia Veladiano

Mariapia Veladiano, scrittrice, laureata in filosofia e teologia, ha lavorato per più di trent’anni nella scuola, come insegnante e poi come preside. Collabora con la Repubblica e con la rivista Il Regno.
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