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Enzo Bianchi, Fabio Rosini, Ludwig Monti, Paola Radif "Commenti Vangelo 17 aprile 2022"

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Commento al Vangelo della domenica e delle feste 
di Enzo Bianchi fondatore di Bose

Gesù è il “vivente”
17 Aprile 2022 
Veglia Pasqualeanno C

Lc 24,1-12

¹Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. ²Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro ³e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: «Bisogna che il Figlio dell'uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno»». Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. ¹⁰Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. ¹¹Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. ¹²Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l'accaduto.

 

“Perché cercate tra i morti colui che è il Vivente? Non è qui, è risorto!”. Il Signore Gesù non va cercato tra i morti perché lui è il Vivente che va cercato presso il Dio vivente, suo Padre! Ecco l’annuncio pasquale per eccellenza, la confessione della fede cristiana: Gesù è stato risuscitato da morte dal Padre nella potenza dello Spirito santo e ora vive per sempre.

 

Nei due primi giorni di questo triduo pasquale abbiamo seguito Gesù nella passione, nella morte e nel seppellimento. Giunto il terzo giorno, lo seguiamo nella resurrezione, perché colui che era realmente morto è risuscitato ed è “il Vivente”: non semplicemente vivente, ma “il Vivente” (ho zôn), cioè il Signore Dio!

 

La veglia che la chiesa ci fa vivere ci permette di percorrere tutta la storia della salvezza, dalla creazione dell’umanità fino all’umanizzazione di Dio in Gesù Cristo. Il Creatore ha voluto essere creatura tra le creature, umano tra noi umani, ha voluto essere carne, corpo, per poterci dire – nel linguaggio che noi comprendiamo – che egli ci ama, e ci ama nell’amore umano, quell’amore con il quale possiamo amare gli altri. Proprio per questo, Dio ha voluto assumere un corpo da una donna, Maria; ha voluto essere corpo in Gesù, suo Figlio, generato da Spirito santo; ha voluto essere mani che toccavano, consolavano, curavano e guarivano; ha voluto essere occhi che sapevano discernere e rivolgere lo sguardo; ha voluto essere bocca che parlava la nostra lingua e comunicava con noi… Un corpo che lui ci ha donato totalmente, una vita radicalmente orientata a operare il bene (cf. Mc 7,37; At 10,38), e di questa sua pro-esistenza non a caso ci ha lasciato non solo la sua parola, il suo messaggio, ma il suo Corpo e il suo Sangue, nell’inesauribile segno eucaristico che celebriamo quale annuncio della sua morte e resurrezione (cf. Lc 22,19-20).

 

Perciò, come culmine di tutto l’ascolto delle sante Scritture, ascoltiamo il vangelo secondo Luca, con piena obbedienza, senza lasciarci tentare di aggiungere ciò che potrebbe solo oscurarlo. È “il primo giorno della settimana”, quello dopo il sabato, il giorno del Signore finalmente manifestato, e al mattino presto, allo spuntare dell’alba, quelle donne discepole di Gesù, venute a Gerusalemme con lui dalla Galilea (cf. Lc 8,1-3; 23,49), quelle donne che avevano assistito alla sua morte e al suo seppellimento la sera del venerdì (cf. Lc 23,55), si recano alla tomba di Gesù con gli aromi che hanno preparato. Dopo la morte di Gesù, avvenuta alle tre del pomeriggio, c’era stato solo il tempo di seppellirlo, non di compiere i riti dell’unzione, perché incombeva il tramonto, inizio del sabato (cf. Lc 23,56).

 

Ma ecco che le donne discepole, venute a compiere le unzioni rituali sul corpo del loro rabbi e profeta, seguito con fedele amore, trovano la tomba aperta. La pietra che la chiudeva è stata rotolata via dall’entrata e il corpo di Gesù non c’è più: la tomba è vuota! Le donne “sono nell’aporia” – dice Luca –, perplesse, incerte, sorprese e frustrate: il corpo di colui che hanno visto e seguito, quel corpo che sono venute a ungere e ad abbracciare per l’ultima volta, non c’è più. Assenza, vuoto sconcertante! Dove cercare Gesù? Dove trovarlo? Chi può far uscire le discepole da quell’aporia? Nessuno e niente. Solo una rivelazione da parte di Dio, solo una sua parola può dare senso e significato a quella tomba vuota. Umanamente c’è solo la possibilità di fare ipotesi: l’hanno portato via? Non era veramente morto ed è fuggito? C’è un inganno da parte dei discepoli? Quelli che l’hanno ucciso non vogliono che ci sia una sua tomba in cui venerare il suo corpo?

 

Ma in quell’aporia ecco “due uomini con una veste raggiante”, come era accaduto nella trasfigurazione di Gesù, due uomini luminosi, messaggeri dal cielo, angeli (cf. Lc 24,23), che hanno una parola da annunciare: nella trasfigurazione la dicono a Gesù, conversando con lui (cf. Lc 9,30-31), qui alle donne discepole. Due uomini che, per chiunque conosce il linguaggio biblico, sono Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti, rivelatori della parola di Dio nell’antica alleanza. Anche nell’ora dell’ascensione, descritta da Luca negli Atti degli apostoli, questi “due uomini in bianche vesti” (At 1,10) riveleranno il mistero della presenza di Gesù alla destra di Dio (cf. At 1,11). Le discepole di Gesù, vedendo i due uomini, “sono prese dal timore” della presenza eloquente di Dio “e abbassano il volto verso terra”. Non sono pronte ad “alzare il capo”, come Gesù aveva invitato a fare nel giorno del Signore (cf. Lc 21,28), ma sentono gli occhi pesanti, schiacciati verso terra.

 

Allora Mosè ed Elia prendono la parola: “Perché cercate tra i morti colui che è il Vivente? Non è qui, è risorto!”. La ricerca delle donne era ricerca del corpo di Gesù, era desiderio di compiere un’azione che tramite l’unzione e gli aromi impedisse la corruzione della sua carne, ma Gesù non va cercato tra i morti perché lui è il Vivente che va cercato presso il Dio vivente, suo Padre! Gli inviati dal cielo consegnano alle donne intimorite una rivelazione folgorante come un lampo. Innanzitutto pongono una domanda che risuona come un rimprovero, un interrogativo da riascoltare ancora e ancora: “Perché cercate tra i morti colui che è il Vivente?”. Le discepole vivono una ricerca di Gesù, ma su cammini sbagliati. Se il Dio proclamato da Gesù è “il Dio dei viventi, non dei morti” (Lc 20,38), allora anche Gesù va cercato tra i viventi, fino a scoprire che lui è il Vivente. All’inizio del suo vangelo Luca aveva già evocato una ricerca di Gesù, quella di Maria e Giuseppe che, al ritorno da Gerusalemme verso la Galilea, non trovando più Gesù dodicenne nella loro carovana, si erano messi alla sua ricerca (cf. Lc 2,43-45). Ritrovatolo nel tempio (cf. Lc 2,46-48), si erano sentiti da lui quasi rimproverare: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo stare presso il Padre mio?” (Lc 2,49). Sì, Gesù va trovato presso il Padre, il Dio dei viventi!

 

Ma alla domanda dei due messaggeri segue l’annuncio: “Non è qui, è risorto!”, l’annuncio pasquale per eccellenza, la confessione della fede cristiana. Gesù è stato risuscitato da morte dal Padre nella potenza dello Spirito santo (cf. At 2,32; 3,15; Rm 1,4). Infine, ecco la terza rivelazione dei due inviati: “Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea”. Le donne sono dunque invitate a ricordare quelle parole profetiche che risuonavano difficili da comprendere per i discepoli, nonostante Gesù le avesse ripetute quattro volte con lievi variazioni: “È necessario che il Figlio dell’uomo sia consegnato nelle mani dei peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno” (cf. Lc 9,22.44; 17,25; 18,31-33). Nel secondo annuncio aveva addirittura precisato: “Mettetevi bene negli orecchi queste parole!” (Lc 9,44).

 

Questa necessitas della passione, morte e resurrezione di Gesù era da lui stata rivelata ai suoi discepoli, ma tutti hanno dimenticato queste parole: quelli che sono fuggiti abbandonando Gesù, le donne discepole e anche Pietro, lui pure nell’incredulità. Ma non appena le donne ricordano le parole di Gesù, ecco che subito la fede rinasce in loro e le rende “apostole-missionarie”. Così, abbandonata la tomba, vanno a dare l’annuncio agli Undici e a tutti gli altri. L’aporia e l’incomprensione sono state vinte e ora la fede pasquale abita queste donne, le primi testimoni della resurrezione di Gesù, che l’evangelista chiama per nome: “Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo”, insieme ad altre donne con loro. In seguito, nella tradizione apostolica successiva, esse non saranno più menzionate come testimoni della resurrezione, eppure tutti i vangeli attestano questa verità: le prime credenti nella resurrezione e le prime annunciatrici sono state le donne discepole di Gesù.

 

Ma queste loro parole sono parse agli apostoli soltanto una chiacchiera, un delirio (lêros), e così la loro missione resta sterile… Tuttavia Pietro, sollecitato da questo annuncio, corre al sepolcro e constata che la tomba è vuota e che i lenzuoli sono abbandonati a terra. Questa visione lo lascia nello stupore e nell’incertezza: non è sufficiente vedere la tomba vuota, non è sufficiente cercare da se stessi spiegazioni, ma occorre che sia il Signore stesso ad alzare il velo, a rivelare il senso di ciò che pare un enigma. Sarà infatti Gesù risorto ad andare a cercare Pietro il quale, avendolo visto e incontrato, testimonierà insieme alle donne discepole e a tutti gli altri: “Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone!” (Lc 24,35).


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Don Fabio Rosini, direttore del Servizio per le Vocazioni della Diocesi di Roma, 

commenta il Vangelo del 17 aprile 2022, domenica di Pasqua di Risurrezione del Signore Anno C.



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Pasqua del Signore Anno C

Gv 20, 1-9

 Maria!”

Ludwig Monti, biblista

  

Il testo liturgico scelto per la liturgia eucaristica del giorno di Pasqua è conosciuto soprattutto per il particolare della corsa di Pietro e del discepolo amato al sepolcro vuoto e per le loro rispettive reazioni. Esso però si apre con due versetti cruciali, senza i quali ciò che segue non sarebbe possibile: “Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: ‘Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!’” (Gv 20,1-2).

Perciò, per una volta, in questo giorno di Pasqua vorrei concentrare la mia attenzione proprio su Maria Maddalena. Chi è Maria? Una donna dal passato devastato, liberata da “sette demoni” (cf. Lc 8,2) grazie all’incontro con Gesù, inizio per lei di vita nuova. Gesù aveva creato lo spazio vitale perché questa donna potesse cambiare: senza indugio essa aveva dunque incominciato a seguirlo quale discepola, fatto scandaloso per le consuetudini sociali e religiose dell’epoca. I vangeli non dicono altro su questa insolita sequela: sarà la tradizione a identificare erroneamente la Maddalena con la prostituta che aveva lavato i piedi di Gesù con le sue lacrime, li aveva asciugati con i suoi capelli e poi baciati e profumati (cf. Lc 7,37-38); colei “cui sono stati perdonati molti peccati, poiché ha molto amato” (cf. Lc 7,47).

Ebbene, è proprio Maria e solo lei che, dopo la morte di Gesù e la sua sepoltura, si reca alla tomba, mentre l’oscurità avvolge ancora il paesaggio e soprattutto vela il suo cuore. Va per vedere il sepolcro? Va per ungere di profumo il cadavere di Gesù? L’autore del quarto vangelo tace sulle sue intenzioni, lasciando però trasparire in filigrana il movente profondo dell’agire della Maddalena: essa va al sepolcro perché non può rassegnarsi all’idea della scomparsa di colui che tanto aveva amato. Ma una novità sconvolgente la attende: la pietra è stata tolta dal sepolcro! Immediata la sua reazione e la sua corsa verso la comunità dei discepoli, che culmina in parole che potevano anche apparire come allucinazioni, parole difficili da credere, eppure così cariche di amore da provocare un’altra corsa…

Ma sostiamo ancora sulla Maddalena, spingendoci un po’ oltre il brano liturgico. Troviamo Maria tornata indietro e di nuovo vicina al sepolcro, mentre piange e persevera nella ricerca del corpo morto di Gesù (cf. Gv 20,11-12). Un amore testardo, una ricerca forse parziale; eppure tutto questo sembra, per così dire, costringere il Risorto a rivelarsi. Prima egli la interroga: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?” (Gv 20,15). Poi, di fronte al suo amore insistente, Gesù pronuncia una sola parola, quella con cui aveva chiamato la Maddalena alla sua sequela: “Maria!” (Gv 20,16). La voce che le aveva ridato la vita è la stessa voce di colui che ora è risorto da morte ed è vivente per sempre. Maria comprende in un attimo, si getta adorante ai suoi piedi ed esclama: “Rabbunì, mio maestro!” (Gv 20,16), poi corre ad annunciare ai discepoli l’inaudito della resurrezione (cf. Gv 20,18). È lei “l’apostola degli apostoli”, afferma la grande tradizione della chiesa!

L’annuncio gioioso di Maria ha attraversato i secoli ed è giunto fino a noi. Ancora oggi, grazie a lei, risuona quella parola che è lo specifico del cristianesimo e, insieme, la buona notizia per eccellenza, per l’umanità intera: Dio ha risuscitato Gesù, perché non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere (cf. At 2,24), l’amore è più forte della morte (cf. Ct 8,6)! In fondo, credere la resurrezione di Gesù, pegno della nostra resurrezione, è una questione d’amore. Solo l’amore che Gesù ha vissuto, infatti, è stata la causa ultima del suo essere richiamato dai morti da parte di Dio. E solo l’amore intenso e perseverante per lui ci può portare a credere la resurrezione e a esserne testimoni credibili tra gli uomini e le donne nostri contemporanei: questo ci insegna ancora oggi Maria Maddalena.


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NELLA LUCE DELLA PASQUA

“Se uno è in Cristo, è una creatura nuova. Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,17). Queste parole di S.Paolo mi sembrano sintetizzare quello che la Pasqua può operare in ciascuno di noi. Il cammino quaresimale con il ricorrente invito alla conversione, poi la lettura del vangelo della Passione nella domenica delle Palme e i riti della Settimana Santa con la ricchezza della simbologia che li caratterizza: tutto questo, come un grande fiume, sfocia nel mare di una salvezza profusa in abbondanza. Il triduo pasquale ha offerto alla nostra meditazione l'istituzione del Sacerdozio e dell' Eucaristia, il cammino doloroso verso la Croce, infine il silenzio, l'oscurità muta che attende, nonostante tutto, il compimento delle promesse. E al culmine, ecco l'evento che dona il vero senso all'attesa dei popoli, da millenni presaghi di qualcosa di grande, a volte inafferrabile, ma già vissuto come certo, sulla parola dei profeti.

Risorto da morte! Gesù non è più lì, dove le caritatevoli braccia di Nicodemo e Giuseppe D'Arimatea l'hanno deposto. Verranno le donne che con attenzione tipicamente femminile vorranno cospargere quel corpo martoriato con i più profumati unguenti. Ma Gesù non è più lì. Nessuno ha visto, neppure i soldati posti a guardia da Pilato per timore che qualche discepolo potesse portarlo via sostenendo che fosse risorto. L'evento dirimente tra la fede che chiede una prova (e che per ciò stesso non è più fede) e quella che crede sulla parola di Gesù o dei discepoli che trovano la tomba vuota o, ancora, delle donne, con Maria Maddalena: ecco, questo evento non ha avuto neppure un testimone oculare. Ebbe testimoni la nascita a Betlemme, la salita al Calvario, la morte in croce e li ebbero tutti i miracoli compiuti da Gesù durante la vita pubblica. Ma non la resurrezione.

La prova della resurrezione la troviamo nel cammino della Chiesa dalla Pentecoste in poi, nell'azione salvifica realizzata dai Sacramenti, nella vita sempre nuova che anima la testimonianza dei battezzati. Siamo d'accordo con S. Paolo quando dice (1 Cor, 15) che “se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede”: tutto parte di lì e in esso trova senso. La croce senza resurrezione resterebbe una sconfitta: la resurrezione dà ali alla nostra fede. Per questo ogni volta la Pasqua offre la possibilità di ricominciare da zero, incamminandoci con nuovo coraggio sulle vie che il Signore ha pensato per ognuno. Lasceremo Emmaus dove forse sconsolati ci siamo spesso diretti e torneremo a Gerusalemme come i discepoli la sera di Pasqua perchè lì siamo tutti attesi, per costruire la nostra parte di regno di Dio.

                                                                                  

                                                                                                   Paola  Radif

pubblicato su Il Cittadino - Settimanale della diocesi di Genova del 17 aprile 2022 

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