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Enzo Bianchi, Fabio Rosini, Ludwig Monti, Paola Radif "Commenti Vangelo 3 aprile 2022"

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Commento al Vangelo della domenica e delle feste 
di Enzo Bianchi fondatore di Bose

Gesù non condanna mai ma perdona
3 Aprile 2022 
V domenica di Quaresimaanno C

Gv 8,1-11

¹Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. ²Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. ³Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. ¹⁰Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». ¹¹Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».

 

L’itinerario quaresimale all’insegna dell’annuncio della misericordia di Dio narrata da Gesù conosce un vero e proprio vertice nel brano evangelico di questa domenica: il testo dell’incontro tra Gesù e la donna sorpresa in adulterio. Questa pagina ha conosciuto una sorte particolarissima, che attesta il suo carattere “scandaloso”: è assente nei manoscritti più antichi, è ignorato dai padri latini fino al IV secolo e non è commentato dai padri greci del primo millennio. Al termine di un lungo e travagliato migrare questo testo è stato inserito nel vangelo secondo Giovanni, prima del v. 15 del capitolo 8, in cui è riportata una parola di Gesù che sembra giustificare tale collocazione: “Voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno”. Va detto che il nostro brano presenta somiglianze con il vangelo secondo Luca, quello più attento all’insegnamento di Gesù sulla misericordia, e potrebbe essere agevolmente collocato dopo Lc 21,37-38: “Durante il giorno Gesù insegnava nel tempio; la notte, usciva e pernottava all’aperto sul monte detto degli Ulivi. E tutto il popolo, al mattino, andava da lui nel tempio per ascoltarlo”. Noi però, in obbedienza al canone delle Scritture, lo leggiamo dove la redazione finale lo ha posto, nel contesto di una discussione sul rapporto tra Legge e peccato.

 

Mentre Gesù, seduto nel tempio, annuncia la Parola, “scribi e farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio”, per “metterlo alla prova”. Spesso i vangeli annotano che gli avversari di Gesù tentano di metterlo in contraddizione con la Legge, per poterlo accusare di bestemmia. Ma questa volta il tranello non riguarda interpretazioni della Legge, bensì una donna – o meglio, quella che è “usata” come un caso giuridico – sorpresa in adulterio e trascinata con la forza davanti a lui da quanti vigilano sul compimento della Torah. Fatta irruzione nell’uditorio di Gesù, questi uomini esperti della Legge collocano la donna in mezzo a tutti e si affrettano a dichiarare: “Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa”. La loro dichiarazione sembra ineccepibile, ma in realtà è parziale: la Legge, infatti, prevede la pena di morte per entrambi gli adulteri (cf. Lv 20,10 e Dt 22,22) e attesta la stessa pena, mediante lapidazione, per un uomo e una donna maritata caduti in adulterio (cf. Dt 22,23-24). Ma dov’è qui l’uomo, l’adultero, colpevole quanto la donna?

 

La durezza della pena prevista si spiega con il fatto che l’adulterio è una smentita della promessa creazionale di Dio e una grave ferita all’alleanza stipulata dalla coppia umana (cf. Ml 2,14-16). Ecco dunque che i gelosi custodi della Legge, irreprensibili in apparenza e ritenuti dalla gente uomini religiosi autorevoli, per la loro visibilità ostentata (cf. Mt 23,5), chiedono a Gesù: “Tu che ne dici?”. Tale domanda mira a coglierlo in contraddizione: se Gesù non conferma la condanna e non approva l’esecuzione, può essere accusato di trasgredire la Legge di Dio; se, al contrario, decide a favore della Legge, perché allora accoglie i peccatori e mangia con loro (cf. Mc 2,15-16 e par.; Lc 15,1-2)?

 

Sostiamo su questa scena. Alcuni hanno portato a Gesù una donna, perché sia condannata. Discepoli e ascoltatori sono distanti: qui c’è solo Gesù di fronte a questi uomini religiosi – giudici ingiusti, nemici – e, in mezzo, una donna in piedi, nell’infamia. Non c’è spazio per considerare la sua storia, i suoi sentimenti: per i suoi accusatori ella non ha solo commesso il peccato di adulterio, è un’adultera, tutta intera definita dal suo peccato. Ma Gesù si china e si mette a scrivere per terra: in tal modo si inchina di fronte alla donna che è in piedi davanti a lui! Il tutto senza proferire parola, in un grande silenzio…

 

Ma cosa significa il gesto di Gesù? Egli scrive i peccati degli accusatori della donna, come pensa Girolamo? Oppure scrive frasi bibliche, secondo l’opinione di alcuni esegeti? Oppure semplicemente si dà del tempo per cercare una risposta fedele alla volontà di Dio? Non è facile interpretare questo gesto: a mio avviso va inteso in quanto azione dotata di una forte carica simbolica. Credo che si debbano vedere da un lato gli scribi e i farisei che ricordano la Legge scolpita su tavole di pietra; dall’altro Gesù il quale, scrivendo per terra, la terra di cui siamo fatti noi figli e figlie di Adamo, il terrestre (cf. Gen 2,7), ci indica che la Legge va inscritta nella nostra carne, nelle nostre vite segnate dalla fragilità e dal peccato. Non a caso Gesù scrive “con il dito”, così come la Legge di Mosè fu scritta nella pietra “dal dito di Dio” (Es 31,18; Dt 9,10) e fu riscritta dopo l’infedeltà idolatrica del vitello d’oro e la rottura dell’alleanza (cf. Es 34,28).

 

Poiché però gli accusatori insistono nell’interrogarlo, Gesù si alza e non risponde direttamente, ma fa un’affermazione che è anche una domanda: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Poi si china di nuovo e torna a scrivere per terra. Ma questa sentenza di Gesù interroga: chi può dire di essere senza peccato? Gesù conferma la Legge, secondo cui il testimone deve essere il primo a lapidare il colpevole (cf. Dt 13,9-10; 17,7), ma dice anche che il testimone deve essere lui per primo senza peccato! Certo, quella donna adultera ha commesso un peccato manifesto; ma i suoi accusatori non hanno peccati o in verità hanno peccati nascosti? E se hanno peccato, con quale autorevolezza lanciano le pietre che uccidono il peccatore?

 

Solo Gesù, lui che era senza peccato, poteva scagliare una pietra, ma non lo fa. La sua parola, che non contraddice la Legge e nel contempo conferma la sua prassi di misericordia, appare efficace, va al cuore dei suoi accusatori i quali, “udito ciò, se ne vanno uno per uno, cominciando dai più anziani”: più si avanza in età, più numerosi sono i peccati commessi; questa coscienza dovrebbe impedire la nostra inflessibilità verso gli altri… Così una sola parola di Gesù, incisiva e autentica, una di quelle domande che ci fanno leggere in profondità noi stessi, impedisce a quegli uomini di fare violenza in nome della Legge che credono di interpretare con rigore. Solo Dio, e quindi solo Gesù, potrebbe condannare quella donna. Ma Gesù sceglie di narrare in altro modo l’agire di Dio, per il quale la vita del peccatore trascende il peccato da lui commesso. Gesù, colui che quale Figlio di Dio ha narrato umanamente Dio (cf. Gv 1,18), che è stato l’esegesi del Dio vivente, afferma che di fronte al peccatore Dio ha un solo sentimento: non la condanna, ma il desiderio che si converta e viva (cf. Ez 18,23; 33,11).

 

Solo quando tutti se ne sono andati, allora Gesù si alza in piedi e sta di fronte alla donna, finalmente restituita alla sua identità di essere umano, nel faccia a faccia con lui. È la fine di un incubo, perché i suoi lapidatori si sono dileguati e perché chi doveva giudicarla ora sta in piedi, come colui che assolve. Adesso è possibile l’incontro parlato, che si apre con l’appellativo rivoltole da Gesù: “Donna”, lo stesso riservato a sua madre (Gv 2,4), alla samaritana (Gv 4,21), alla Maddalena (Gv 20,15). Rivolgendosi a lei in questo modo, Gesù la fa risaltare per quella che è: non una peccatrice, ma una donna, restituita alla sua dignità. A lei Gesù domanda: “Dove sono i tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella, rispondendo: “Nessuno, Signore (Kýrie)”, fa una grande confessione di fede in Gesù. Colui che si trova di fronte a lei è più di un semplice maestro, “è il Signore” (Gv 21,7)!

 

Gesù allora si congeda con un’affermazione straordinaria, gratuita e unilaterale: “Neanch’io ti condanno. Va’ e non peccare più”. Il testo non è interessato ai sentimenti della donna ma rivela che, quando è avvenuto l’incontro tra la santità di Gesù e il peccato di questa donna, allora “rimasero solo loro due, la misera e la misericordia” (Agostino) e la santità di Gesù ha distrutto il peccato. In questo consiste la gratuità di quell’assoluzione: Gesù non condanna, ma con il suo atto di misericordia preveniente offre alla peccatrice la possibilità di cambiare. E si faccia attenzione: non sta scritto che essa cambiò vita, si convertì, né che divenne discepola di Gesù. Sappiamo solo che, affinché tornasse a vivere, Dio l’ha perdonata attraverso Gesù e l’ha inviata verso la libertà: “Va’ verso te stessa e non peccare più”…

 

Gesù non è venuto tra di noi per giudicare e condannare – come dirà poco dopo: “Io non giudico nessuno” (Gv 8,15) – ma per annunciare la misericordia, per fare misericordia eseguendo fedelmente e puntualmente la giustizia di Dio, che è giustizia giustificante (cf. Rm 3,21-26). Chiamato a scegliere tra il castigo per l’infrazione della Legge e la misericordia, Gesù sceglie la misericordia senza contraddire la Legge. Quest’ultima è essenziale quale rivelazione della vocazione umana che Dio ci rivolge; ma una volta che il peccato ha infranto la Legge, a Dio resta solo la misericordia, ci insegna Gesù. Nessuna condanna, solo misericordia!Infatti, ogni volta che egli ha incontrato un peccatore lo ha liberato dai suoi peccati e non ha mai praticato la giustizia punitiva. Ha pronunciato inviti alla conversione, avvertimenti in vista del giudizio, ma non ha mai castigato nessuno, perché sapeva discernere la volontà di Dio che non vuole la condanna del peccatore ma fa misericordia perché si converta e viva.

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Don Fabio Rosini, direttore del Servizio per le Vocazioni della Diocesi di Roma, 

commenta il Vangelo del 3 aprile 2022, V domenica di Quaresima Anno C.



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V domenica di Quaresima Anno C

Gv 8,1-11

 Ecco il Vangelo!

Ludwig Monti, biblista

  

Pagina scandalosa, “censurata” dalla chiesa! Inserita ora qua, ora là, è finita nel quarto vangelo, anche se forse sarebbe più in contesto dopo Lc 21,37-38: “Durante il giorno Gesù insegnava nel tempio; la notte, usciva e pernottava all’aperto sul monte detto degli Ulivi. E tutto il popolo, al mattino, andava da lui nel tempio per ascoltarlo”.

Leggiamola dunque dove la redazione finale l’ha posta. Mentre Gesù sta insegnando la Parola nel tempio, alcuni uomini religiosi gli conducono una donna sorpresa in flagrante adulterio. Le loro parole sono formalmente ineccepibili: “Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa”. Ma l’uomo dov’è? La Torah, infatti, prevedeva la pena di morte per entrambi gli adulteri (cf. Lv 20,10; Dt 22,22) e attestava la stessa pena, per lapidazione, verso un uomo e una donna fidanzata colpevoli di adulterio (cf. Dt 22,23-24)…

Tu che ne dici?”. Ecco il tranello, “per tentarlo e avere motivo di accusarlo”. Pensano: o Gesù si porrà contro la donna, e allora non è misericordioso, oppure parlerà contro la Legge, e allora è blasfemo. E invece nella sua intelligente libertà Gesù reagisce misteriosamente, tracciando segni scritti sulla terra: unica volta nei vangeli, dove Gesù non scrive mai! Se con il suo dito Dio aveva inciso la Legge di Mosè sulla pietra (cf. Es 31,18; Dt 9,10), Gesù la riscrive nel cuore umano, secondo la promessa dei profeti (cf. Ger 31,33).

Questa Legge esige innanzitutto sincerità con sé: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Ma chi, in verità, può dire di esserlo? E soprattutto: è sicuro che una trasgressione pubblica sia più grave di un peccato nascosto, sotto false apparenze di purità religiosa? Non a caso, a questa sua parola potentissima “se ne vanno uno per uno, cominciando dai più anziani”, che vista la loro età hanno accumulato più peccati…

Alla fine “restano solo in due, la misera e la misericordia” (Agostino). Dopo essersi chinato due volte ai piedi della donna, Gesù la guarda in faccia e la restituisce alla sua qualità di creatura umana, amata nonostante tutto. Il dialogo finale tra i due è solo da contemplare:

- Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?

- Nessuno, Signore (Kýrios).

- Neanch’io ti condanno; va e d’ora in poi non peccare più.

Non si dice che la donna cambiò vita o che divenne discepola di Gesù! Sappiamo solo che, affinché tornasse a vivere, Dio, che non vuole la morte del peccatore (cf. Ez 33,11), l’ha perdonata attraverso Gesù e l’ha liberata da giudizi, rimorsi, cattiverie… Chiamato a scegliere tra Legge e misericordia, Gesù sceglie la misericordia senza mettersi contro la Legge: così trasforma anche questo tranello in un incontro umano e umanizzante. Ecco perché subito dopo dirà: “Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno” (Gv 8,15). “La nobiltà e la grandezza di una persona si misurano dalla sua generosità nel perdonare, nel comprendere, nell’amare. Solo i coraggiosi sanno, infatti, comprendere le debolezze degli altri, mentre sono i vili a essere inesorabili con il prossimo” (Gianfranco Ravasi). Insomma, la Legge è essenziale quale rivelazione della chiamata alla vita rivoltaci da Dio; ma una volta che il peccato ha infranto la Legge, a Dio resta solo la misericordia. Ecco il Vangelo! Gesù non ha mai praticato una giustizia punitiva: sapeva ben distinguere tra condanna del peccato e misericordia verso il peccatore, distinzione che a noi riesce così difficile… Ecco il Vangelo!

Ecco dunque il messaggio della misericordia di Dio che cancella ogni peccato, del suo perdono preveniente anche rispetto alla nostra conversione: qui sta la singolarità “scandalosa” di Gesù, rifiutata da chi si ritiene giusto, accolta dai peccatori. Sempre sono l’una di fronte all’altra la misericordia inesauribile di Dio e la nostra miseria. Ci è chiesto solo di riconoscere consapevolmente la nostra miseria e di accettare che il Signore la ricopra con la sua misericordia: aderendo con tutto il nostro essere a tale misericordia, potremo a nostra volta diventare capaci di compassione verso tutti gli umani, nostri fratelli e sorelle, amandoli “con le viscere di misericordia di Cristo Gesù” (Fil 1,8).


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QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA

Vangelo: Gv 8,1-11


Lungo le pagine del vangelo incontriamo tanti episodi, protagonisti, esperienze. Figure anonime o persone anche storicamente individuabili: da ogni situazione possiamo trarre insegnamenti validi in ogni tempo. Ci sono poi categorie precise di persone attorno a Gesù: quelle che lo seguono perchè hanno sete di verità e quelle che cercano un pretesto per accusarlo.

Il vangelo di Giovanni oggi ci presenta un fatto che si colloca in questa seconda tipologia: è l'episodio di una donna, anonima, come lo è la samaritana citata da Giovanni (Gv 4), colta in adulterio. I farisei la trascinano letteralmente davanti a Gesù che si trova al tempio e gli chiedono se, come prescrive la Legge, questa donna debba essere lapidata. In cuor loro sicuramente questi uomini che si ritengono sapienti e abilitati a giudicare gli altri, hanno già deciso di contestare Gesù per qualunque risposta egli vorrà dare. Se dirà di sì, dovra uniformarsi alla Torah ma abbandonare le sue posizioni di totale disponibilità al perdono. Se dirà di no, apriti o cielo, sarà un miscredente, un nemico del popolo giudaico, pur facendone parte. Gesù pronuncia solo due frasi: una rivolta agli accusatori, l'altra alla donna. Prima, tuttavia, lascia il tempo per una riflessione: a chi? A loro? Alla donna? A chiunque si senta in diritto di giudicare? Chissà. Sta di fatto che Gesù scrive col dito sulla sabbia...questo riferisce Giovanni. E poi pronuncia le parole: “Chi è senza peccato scagli per primo la pietra”. Parole divenute proverbiali che colpiscono nel segno perchè scuotono le coscienze, ora come allora. Ad uno ad uno tutti se ne vanno. Tra di loro chissà quanti non erano del tutto innocenti e, come chiunque, di certo avranno avuto qualcosa da rimproverarsi. Al centro, restano Gesù e la donna. Lei, stupìta, di fronte a una sentenza già pronunciata che ora invece svanisce tra il rumore delle pietre lanciate lontano. Lui, pronto a donarle un'assoluzione piena. La misericordia di Dio offre a piene mani il perdono, anche se prima di concederlo dice, come all' adultera: “Non peccare più”. E a questo punto, il passato si oscura, si chiude: e c'è solo luce nel futuro.


Interrogarsi

Nella vita di ogni persona possono presentarsi momenti difficili, decisioni da prendere, tappe importanti, eventi gioiosi, ma anche dubbi, incertezze.

In un primo tempo ci guidano i nostri genitori, gli insegnanti, i nonni. Ci consigliano gli amici, le persone di cui ci fidiamo. Ma, andando avanti, siamo noi a decidere ed è nostra la responsabilità di quello che facciamo o diciamo.

Possiamo commettere degli errori, sbagliare: nessuno è perfetto! E proprio in quei momenti è bello trovare chi ci tende una mano per rialzarci e incoraggiarci.

La donna di cui parla il vangelo non si era comportata bene: prima l'hanno accusata, insultata, giudicata colpevole. Volevano persino colpirla con delle pietre. Poi è intervenuto Gesù. Con dolcezza le ha offerto il suo perdono, sapendo che sicuramente da quel momento in poi avrebbe cambiato il suo modo di vivere.

Se vediamo qualcuno che sbaglia, cerchiamo di scoprire tutti i doni che Dio gli ha fatto e le azioni buone che ha compiuto. Così ci dimenticheremo di quell'unico errore. Non sta a noi giudicare, se neppure Dio lo fa: anzi, alla donna pentita dice: “Neanch'io ti condanno”.

                                                                                  

                                                                                                   Paola  Radif

pubblicato su Il Cittadino - Settimanale della diocesi di Genova del 3 aprile 2022 

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