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Ermes Ronchi: «La poesia di Turoldo? Un’insurrezione di libertà»

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Domenica scorsa si sono celebrati i 30 anni dalla morte di p. David Maria Turoldo avvenuta il 6 febbraio del 1992 a Milano. «Oggettivamente – osserva p. Ermes Ronchi, presbitero, teologo e scrittore italiano dell’Ordine dei Servi di Maria che abbiamo incontrato al Convento di S. Maria del Cengio a Isola Vicentina – è stata una persona che ha smosso le acque ferme e le false paci. L’eredità più viva di p. Turoldo – racconta – è una insurrezione di libertà da tutto ciò che è semplicemente istituzione, da ciò che è cascame culturale, eredità ricevuta o subita, libertà da tutto ciò che è secondario per la fedeltà all’essenziale della fede».

«Con lui – prosegue p. Ermes – ti sentivi sempre portato dentro ai grandi venti della storia, mai ai margini, chiamato ad affrontare i problemi di frontiera. Il suo principio etico fondamentale era di scegliere sempre l’umano contro il disumano». «La capacità di questi grandi uomini – nota Ronchi – è non solo di portarti con loro sulla frontiera, ma anche di spingere più in là la frontiera, dilatare gli spazi, aprire nuovi orizzonti». 


Tra i diversi ricordi personali, p. Ermes evoca l’incontro all’abbazia di Fontanella di Sotto il Monte (dove Turoldo viveva ndr): «stava scrivendo una poesia; mi chiamò vicino e mi disse “Ascolta! Adesso te la leggo”. E ha cominciato a leggere i versi con gli occhi luccicanti di un bambino, con una invincibile gioia che balenava in quegli occhi occhi azzurri; sentiva di trasmettere bellezza e verità».

Per Turoldo la poesia fu, d’altra parte, importantissima. «Per lui era importante – precisa il frate dei Servi di Maria – perché ci fa guardare il mondo da un’ottica alternativa» come spiega lo stesso padre David in un verso: “Poesia è rifare il mondo dopo il discorso devastatore del mercatante”. La poesia – sottolinea Ronchi – «è l’opposto della logica del profitto e del mercato. È gratuità, è bellezza, è la visione del mondo altro, rispetto alla logica mercantile». E p. Ermes richiama un altro verso di grande potenza: «“un solo verso, / fessura sull’infinito come / il costato aperto di Cristo, anche / un solo verso può fare / più grande l’universo”. La poesia di Turoldo conserva ancora i bagliori della sua biblica lotta con Dio e l’eco del grido dei poveri, in favore dei quali la sua voce tonante diventava un ruggito. Nella traduzione dei salmi, nella composizione di centinaia di inni, con le sue preghiere ci ha aiutato a dire Dio con una lingua non morta e non banale.

Di p. David Maria, Ronchi ricorda ancora «la sua umanità prorompente» e come attorno a lui ci fosse un grande movimento di persone. «Ricordo le messe festive all’abbazia di Fontanella: erano eventi attesi come si attende il pranzo della domenica, come si attende la festa. E Dio era più vivo e più vero. Con la Parola fatta scorrere nella vita, liberata da ogni imprigionamento!». 

Ancora ritorna con la memoria alle partite di scopone scientifico che p. Turoldo faceva «la sera della domenica con i suoi amici Umberto Vivarelli, Carlo Fiocchi, Mario Ercole», «con discussioni se era meglio il Barolo o il Barbaresco. Per me, che uscivo dal seminario – confida -, questa gioia di vivere, l’energia vitale e la fierezza della fede che emanavano da quell’uomo mi hanno sedotto e continuano a farlo». 

P. Turoldo è stato anche una figura scomoda fuori e dentro la Chiesa. «Lui ha sofferto, “pour l’église et par l’église”, per la Chiesa e a causa della Chiesa, ma non ha mai dubitato – sottolinea p. Ermes -. Si è sempre sentito uomo della Chiesa e uomo dell’Ordine dei Servi, senza mai cedere a nessun’altra lusinga. Nell’Ordine poi ha trovato grandi persone che l’hanno aiutato, compreso, seguito e accompagnato con discrezione amica, sapendo che a un uomo così, a uno spirito così libero e irruente non puoi certo mettere le briglie».

Fonte: La Voce dei Berici 

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