Clicca

Figlie di un Dio minore. Intervista a Paola Lazzarini a cura di Patrizia Morgante

stampa la pagina
SCRITTO DA PATRIZIA MORGANTE

Donne e Chiesa: asimmetrie, diverse opportunità, violenze. In dialogo con Paola Lazzarini.

Il 25 novembre celebriamo la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Quest'anno ci troviamo a riflettere come, oggi, la Chiesa cattolica continui a esercitare una violenza sottile (non parleremo degli abusi sessuali, che meritano un'attenzione a parte) verso le donne, laiche e consacrate.

Ascoltiamo l'esperienza di una donna, dal cui osservatorio, in dialogo con altre donne, italiane e non, può aiutarci a comprendere quali sono i contorni di questa violenza che molte donne, anche io, sentiamo di vivere sui nostri corpi, sulla nostra fede, sulle nostre scelte, sulle opportunità che, concretamente, abbiamo per esprimere totalmente la nostra vocazione di donne cristiane.

Accogliendo la voce di donne che si sentono "figlie di un Dio minore nella nostra Chiesa", non vogliamo affermare che tutte provino questo. Ma desideriamo dare voce a chi vive questa asimmetria nelle opportunità (ci sono ministeri e ruoli che ci sono impediti per il nostro genere, radicando questo alla tradizione della Chiesa), che sentono quasi invalidante nel vivere a tutto campo la propria vocazione. Desideriamo aprire un dialogo e un confronto onesto, proprio nel clima del cammino sinodale che si è aperto da qualche settimana. Siamo aperte a dare ascolto anche ad altre percezioni dell'essere donne nella Chiesa, oggi.

Paola Lazzarini è docente in sociologia e giornalista. Si occupa attivamente della diseguaglianza tra donne e uomini nella Chiesa cattolica; è presidente dell'associazione Donne per la Chiesa (www.donneperlachiesa.it), consulente di Voices of Faith ed è stata co-chair dell'executive board del Catholic Women's Council. È autrice di Non tacciano le donne in assemblea. Agire da protagoniste nella Chiesa (Effatà ed, 2021).

Grazie Paola per aver accettato di dialogare con noi. Tu hai avuto tante esperienze nel mondo ecclesiale: in quali contesti ti sei sentita accolta e hai sentito di poter esprimere il tuo potenziale?

Quando ero bambina e ragazzina, durante la preparazione ai sacramenti non percepivo differenze; la mia parrocchia era la mia casa, la mia famiglia. Quando ho iniziato a frequentare la comunità di vita cristiana, mi sono sentita valorizzata e non soltanto accolta, parte integrante. È stato crescendo che le cose sono cambiate e sono diventate più complesse: dopo gli studi, quando si iniziano a fare le scelte, ho iniziato a percepire la differenza. A quel tempo frequentavo i gesuiti. L'attenzione e lo sguardo al cammino vocazionale dei maschi era diverso da quelli riservati alle donne. Ci sono stati momenti nei miei anni da religiosa che sentivo un grande affetto da parte delle comunità parrocchiali, sia a Torino che a Matera. Anche dai parrocchiani, ma al tempo stesso percepivo come una cosa non detta "è bello che qui ci sia una suora a fare questo servizio, ma se ci fosse un prete sarebbe meglio".

Come ti sei sentita nei momenti in cui "era meglio che ci fosse un prete che una suora"? Ti sentivi tollerata?

Più che tollerata mi sentivo un ripiego. Anche perché, quando arrivava un seminarista, a lui venivano date opportunità di servizio che a me erano precluse; lui la fiducia l'aveva naturalmente, io dovevo conquistarla. Mi sono sentita molte volte come la "figlia di un Dio minore, una figlia di secondo ordine". Riflettendoci a posteriori, mi sono resa conto che molte donne vivono questa stessa esperienza. La nostra vocazione, per quanto bella e generosa, è sempre una vocazione di livello più basso di un prete, di un religioso. E non è solo una mia esperienza personale.

Questo che dici mi sembra tanto in contraddizione con l'esperienza che le donne hanno quando, nei testi evangelici, incontrano Gesù. È per loro un'esperienza di liberazione. Cosa ti ha spinto a dare vita a un'associazione di donne?

Il fatto di avere una figlia femmina e immaginare che lei potrebbe un giorno attraversare le stesse situazioni, magari anche lei chiedendosi cosa fare della sua vita e come esprimere il suo amore per il Signore e per il mondo: potrebbe incontrare qualcuno che la faccia sentire da meno di un suo coetaneo maschio. Ho incontrato tante ragazze giovani e parlare con loro mi ha fatto sentire il desiderio che qualcosa cambi; loro meritano di sentirsi protagoniste e a casa loro in questa Chiesa. Vorrei che si sentissero completamente discepole e completamente figlie.

Chi sono le donne di Donne per la Chiesa?

Un gruppo di donne che non hanno paura di parlare e dialogare con gli uomini della Chiesa, dal parroco al Papa stesso, se necessario. Nella Chiesa predomina l'idea delle donne "carine e sottomesse", donne che quando si incontrano deve sempre essere il prete a spezzare loro la Parola; bene questa è una Chiesa lontana dalla nostra esperienza.

Nel libro apri finestre che afferiscono alla sfera della sessualità, in particolare nei capitoli sei e sette. Parli di violenza ostetrica.

Il momento del parto è un momento speciale nella vita di una donna, dove si dispiega tutta la potenza femminile; è un passaggio attraverso la croce fino alla resurrezione quando il bambino, finalmente, viene alla luce. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un aumento della medicalizzazione di questo momento che ci ha regalato un parto più sicuro e ridotto la mortalità infantile. Ma, allo stesso tempo, ha sottratto alle donne il controllo del momento del parto. Entrando in ospedale diventiamo "pazienti", ci viene detto cosa fare, in che posizione metterci, e si praticano degli atti sul corpo della donna che non sono sempre necessari, ma servono solo a velocizzare il parto, come la manovra di Kristeller e l'episiotomia, che rendono indispensabile la presenza del medico. Le donne sanno partorire da secoli, tranne rari casi in cui è necessario l'intervento di specialisti, sanno cosa fare; invece si interviene in molti modi e non sempre per il bene della donna e del bambino/a. Spesso anche il modo di parlare alle donne che stanno per partorire può essere una forma di violenza, perché le si fa sentire incapaci. L'idea della maternità che abbiamo è quella di Maria che ha partorito restando vergine. Il parto è un'altra cosa, è carne e sangue e riguarda tutti anche chi non ha partorito, perché tutti siamo stati partoriti.

L'altro aspetto di cui parli è lo stupro coniugale: cosa intendi?

Questo è uno di quei drammi con i quali ti scontri nella vita e che non conoscevi. Ho letto una testimonianza di una donna americana che raccontava di aver avuto, subito dopo il parto, un rapporto non consensuale con il marito, e che per tanto tempo aveva subito rapporti non consensuali dentro il matrimonio, senza mai darsi il permesso di dirlo. Quando non c'è consenso, c'è un predominare dell'uno sull'altro e quindi è violenza.

Dopo aver letto questo ho iniziato a parlarne in giro per capire l'esperienza di altre donne e mogli. Purtroppo, ho scoperto che in diversi corsi prematrimoniali presentano la questione del "debito coniugale": cioè un marito ha diritto di esigere prestazioni sessuali dentro il matrimonio. È una di quelle cose che pensavo finite con la generazione di mia nonna invece ho verificato che, in modo più o meno sottile, ancora se ne parla nei corsi prematrimoniali. Diverse ragazze mi hanno raccontato di aver sentito, durante il proprio corso prematrimoniale, frasi tipo: "non ti puoi lamentare se tuo marito ti tradisce, se tu non sei disponibile". Mi sono domandata: come possiamo parlare del sesso senza parlare del consenso? Un approccio di questo genere apre la strada agli abusi, se conta solo "quando vuole il marito" e non si è in ascolto del desiderio anche della donna in una relazione di coppia adulta e simmetrica.

Quali sono i temi che, come Donne per la Chiesa, mettete sul piatto per superare questa violenza della Chiesa verso le donne?

Il primo problema è che tutti gli incarichi che le donne rivestono vengono dagli uomini e quindi in qualsiasi momento possono essere rimosse. Le donne sono sempre un po' a disposizione e qualsiasi ruolo hanno può essere tolto e dato ad altri. Questo mette le donne in una situazione di ricattabilità a tutti i livelli: i preti hanno molte più garanzie. Pensiamo anche al tema degli abusi, la Chiesa ha protetto i suoi preti anziché le donne e i bambini.

Come datrice di lavoro, la nostra Chiesa funziona per co-optazione, con criteri di reclutamento poco chiari e con condizioni di lavoro ingiuste e poco etiche. Spesso le donne nelle diocesi e nelle facoltà teologiche vengono demansionate a favore di preti, senza ricevere una spiegazione. È una forma di violenza sistematica.

Un secondo esempio è il "mansplaining": quando tu, donna, provi ad articolare una riflessione, un pensiero e arriva il prete che dice, non direttamente, ma chiaramente: "tu non hai capito nulla e ora ti spiego io". A me questo succede spesso, soprattutto sui social. Io ci rido su, ma altre donne, invece, rimangono ferite e pensano che è vero che è il prete che ha l'ultima parola e che, quindi, è bene che tacciano. Tutto il bagaglio intellettuale che noi donne abbiamo non ha cittadinanza quando ci sono i preti che ci spiegano.

stampa la pagina



Gli ultimi 20 articoli