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Enzo Bianchi, Ludwig Monti, Paola Radif "Commenti Vangelo 28 novembre 2021"

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Commenti Vangelo 
domenica 28 novembre 2021 
Prima Domenica di Avvento Anno C


 
12 novembre 2021 Avvento, tempo di attesa. 

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Commento al Vangelo della domenica e delle feste 
di Enzo Bianchi fondatore di Bose

“Vigilate, state attenti, vegliate!”
28 novembre 2021
Prima domenica di Avvento
anno C

Lc 21,25-28.34-36

²⁵Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, ²⁶mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieliinfatti saranno sconvolte. ²⁷Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. ²⁸Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». ³⁴State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso; ³⁵come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. ³⁶Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell'uomo».

 

La prima domenica di Avvento segna anche l’inizio di un nuovo anno liturgico, in cui domenica dopo domenica la chiesa celebra e fa rivivere il mistero di Cristo morto e risorto, dinamica di salvezza sempre presente in ogni evento della vita di Gesù, dalla sua nascita alla sua venuta gloriosa alla fine dei tempi. Quest’anno il vangelo che verrà letto cursivamente è quello secondo Luca, che ci presenta Gesù soprattutto come profeta che annuncia la venuta di Dio in mezzo a noi nell’umiltà, nella debolezza, nella misericordia infinita ispiratagli dal Padre suo, un Padre con viscere d’amore materne.

 

Avevamo concluso la lettura liturgica di Marco con l’annuncio della venuta gloriosa del Figlio dell’uomo (cf. Mc 13,26-27), e oggi lo stesso evento è posto davanti ai nostri occhi nella versione lucana. Sì, questo evento finale e definitivo, dopo il quale c’è solo il regno di Dio che si instaura su tutta la creazione e su tutta l’umanità di ogni tempo e di ogni terra, è l’Avvento (adventus), che significa “venuta”. Ecco allora il discorso escatologico di Gesù: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di genti in ansia per i maremoti e le tempeste” (cf. Is 65,8). Gesù si serve del linguaggio apocalittico, quello proprio di una corrente spirituale che cercava di far rinascere nei credenti la speranza, soprattutto in tempi di prova, di persecuzione e di tenebra. Nella pressura, quando sembra addirittura che la storia sfugga dalle mani di Dio, vi è più che mai una rivelazione, un alzare il velo (questo il senso letterale di apokálypsis, apocalisse) da parte di Dio, il quale agisce, è Kýrios, Signore, e porta a compimento il suo disegno di salvezza. Alla fine della storia i tre spazi in cui viviamo – terra, cielo e mare – subiranno un processo di rinnovamento che potrà sembrare un ritorno al caos primordiale: sarà invece un parto, una nuova creazione in cui il cosmo verrà trasfigurato, per diventare dimora del Regno.

 

Le immagini di questa fine possono spaventarci, ma cerchiamo di decodificarle con intelligenza. Il sole, la luna e le stelle per le genti erano idoli, dèi, ed erano adorati – come potenze divine –; in quel giorno della venuta del Figlio dell’uomo queste creature celesti saranno dunque demitizzate e detronizzate per sempre, perché solo il Signore nostro Dio sarà Dio e Re dell’universo. Di questo potere di Dio sul cosmo e sulla storia vi è già stato un segno nell’ora della morte in croce di Gesù, quando “verso mezzogiorno si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato” (Lc 23,44-45): ovvero, tutte le creature furono turbate da quell’evento della morte del “giusto” (Lc 23,47), perché erano testimoni della morte del loro Signore. In quel giorno (il giorno del Signore) l’umanità vivrà questo dramma cosmico, storico ed esistenziale: proverà angoscia (synoché), sperimenterà una situazione senza via di scampo, una situazione di smarrimento e confusione (aporía). Ma questi sono i dolori del parto della nuova creazione che, anziché moltiplicare la paura, devono ammonirci e destabilizzare le nostre certezze mondane sugli assetti del cosmo e della storia.

 

Gesù dunque qui annuncia questa epifania di Dio alla fine della storia e dei tempi, una fine che arriverà all’improvviso. Non si tratta di un domani lontano, di un evento che riguarderà l’ora nella quale, per cause intrinseche all’universo, esso avrà una fine così come ha avuto un inizio: no, è un evento vicino, che ci può cogliere in modo da sorprenderci. Improvvisamente, senza che nessuno di noi possa prevederlo, “apparirà il Figlio dell’uomo su una nube con grande potenza e gloria” (cf. Dn 7,13) e la sua presenza si imporrà su tutto l’universo. Nessuno potrà sottrarsi a questa visione che rivelerà la piena identità di Gesù. Quell’uomo, Gesù di Nazaret, che “passò facendo il bene” (At 10,38), che fu condannato a una morte violenta e ignominiosa, lui che era innocente e giusto, capace di amare e di perdonare fino alla fine (cf. Lc 23,34), ebbene quell’uomo, che ormai è in Dio in pienezza e nella gloria, si rivelerà quale Kýrios, Signore e Salvatore dell’umanità, Giudice del male e del bene compiuti nella storia.

 

Scrive il veggente Giovanni, riprendendo le parole del profeta Zaccaria (cf. Zc 12,10): “Ecco, viene sulle nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che l’hanno trafitto” (Ap 1,7; cf. anche Gv 19,37). Si noti: tutti lo riconosceranno nelle trafitture delle mani, dei piedi e del costato, trafitture non scomparse nel corpo spirituale del Risorto, come appare dalle sue manifestazioni ai discepoli dopo la resurrezione (cf. Lc 24,40; Gv 20,20.27); trafitture che gli umani gli hanno inflitto ogni volta che hanno ferito e colpito l’altro, il fratello, il povero, l’innocente, l’ultimo, il senza voce e senza dignità riconosciuta. Questa la parusia, la presenza manifesta del Crocifisso risorto nella gloria di Dio. È un evento che si impone, un evento a cui nessuno sfugge, un evento temibile ma anche misericordioso, perché chi appare è colui che ha già portato il peccato del mondo, è colui che è venuto a sedersi alla tavola dei peccatori (cf. Lc 7,34), è colui che è venuto per cercare e salvare chi era perduto (cf. Lc 19,10).

 

Che fare dunque in attesa di quel giorno? Vigilare, stare attenti, osservare la realtà nella quale si è immersi, abitare la vita concreta del nostro tempo. Il contadino che vive tra gli alberi di frutta, che li conosce, li osserva e li cura, dal fico comprende anche l’andamento delle stagioni. Quando la gemma di questa pianta, appena accennata nell’inverno, si gonfia, cresce e sembra pronta ad aprirsi, allora il contadino capisce che sta arrivando l’estate. Così, quando noi leggiamo in profondità eventi del nostro tempo e realtà dei nostri luoghi, possiamo discernerli come “segni”, cioè segnali capaci di indicare qualcosa: segni dei tempi (cf. Mt 16,3) e dei luoghi che i discepoli di Gesù devono essere esercitati a interpretare, per comprendere come e dove va la storia guidata da Dio e come gli uomini si oppongono a questo cammino (cf. Lc 21,29-33).

 

I discepoli di Gesù, i credenti in lui dovranno dunque non abbattersi ma “sollevare la testa”, assumere la postura dell’uomo in cammino, in posizione eretta, sorretto dalla speranza. Immagine straordinaria: l’umano in piedi, con il capo levato nella parrhesía, nella franchezza e nella convinzione che ciò che accade è per la sua salvezza; l’umano che non teme e quindi cammina sicuro verso il Signore veniente. È la postura dell’umano in preghiera davanti a Dio, che desidera l’incontro con chi ama; è la postura della sentinella che in piedi, sveglia, attenta, scruta l’orizzonte per essere pronta a gridare alla città che il Signore viene, sta per giungere e per manifestarsi nella gloria (cf. Is 62,6-7).

 

E come i discepoli e le discepole di Gesù devono vivere questa vigilia, questa attesa del “giorno del Signore”? Con la veglia e la preghiera! La veglia significa stare svegli, attenti, senza essere preda dell’intontimento spirituale, esito di una vita distratta, di cuori appesantiti dalle preoccupazioni mondane e di una ricerca di piaceri che stordiscono. Senza questa vigilanza, è impossibile mantenere un orientamento nella vita e restare in attesa della venuta del Signore, perché altre cose diventano oggetto delle nostre attese: la veglia è una vera lotta spirituale! E insieme alla veglia, la preghiera, che è stare davanti a Dio, è discernimento della sua presenza in noi, è manifestazione dell’adesione a Cristo che si vive quotidianamente; ma è anche invocazione, carica di desiderio, della venuta del Signore e del suo Regno, quando “Dio sarà tutto in tutti” (cf. 1Cor 15,28).

 

Noi cristiani aspettiamo davvero questo evento oppure non ci crediamo, lo consideriamo niente più che un mito? Ma è su questa venuta del Signore nella gloria che si decide la nostra fede cristiana, la quale non è solo un’etica nello stare al mondo, non è solo l’adesione a una storia di salvezza, ma è speranza certa della venuta del Signore: colui che è venuto nella debolezza della carne umana a Betlemme, verrà gloriosamente nella pienezza di Dio e Signore, per fare cielo e terra nuovi (cf. Is 65,17; 66,22; 2Pt 3,13; Ap 21,1). L’Avvento, dunque, ci invita a risvegliare l’attesa del Veniente, ci invita a invocare: “Marana tha (1Cor 16,22)! Vieni, Signore Gesù (Ap 22,20), vieni presto!”.


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I domenica d’Avvento C

Lc 21,25-28.34-36

“Alzate il capo … state in piedi!”

Ludwig Monti, biblista

 

 

“Vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria”: del brano evangelico odierno potremmo ripetere, meditare e fare nostra anche solo questa promessa. È l’annuncio centrale della nostra fede: dopo la vita, morte e resurrezione di Gesù, la sua promessa ci dice che egli viene presto. Come scrive l’Apostolo Paolo: “Noi aspettiamo la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (cf. 1Cor 1,7). E nella seconda lettura odierna ci chiede di vivere in un certo modo in attesa della “venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi” (1Ts 3,13). Questo è il punto di partenza e di arrivo, ma è anche il centro della nostra vita. Il tempo dell’Avvento che oggi si apre, in questo senso, va ben oltre le poche settimane che ogni anno viviamo: è un segno, un sacramento dell’intera vita cristiana, tesa all’incontro definitivo con il Signore Gesù che viene presto.

Ed ecco allora che, in obbedienza alle parole di Gesù, ci è chiesto di fare quanto lui ci domanda. Molto semplicemente, come risposta alla sua iniziativa di venirci incontro. È nella vita quotidiana, personale e di relazione, che mostriamo di attenderlo veramente. È nei nostri giorni più semplici e feriali, e solo lì, che ci è dato di tradurre in prassi – come prega la colletta – “la volontà di andare incontro con azioni di giustizia al Cristo che viene”. Cosa sono queste azioni? Ascoltiamo Gesù, che nel nostro brano evangelico usa dei verbi molto precisi.

1. “Risollevatevi e alzate il capo”. Pensateci bene: è la prima cosa che facciamo ogni mattina, alzandoci dal letto. Eppure il peso della vita ci può prostrare, facendoci camminare curvi e con il capo il chino. No, “homo viator spe erectus”, l’essere umano in cammino sta ben diritto, animato dalla speranza dell’incontro con il Signore, di cui gli incontri quotidiani sono segni più o meno manifesti…

2. “Osservate (la pianta di fico e tutti gli alberi)”. È il v. 29, omesso dal testo liturgico ma essenziale. Operazione decisiva: guardarsi intorno, osservare, essere pronti a cogliere ciò che la realtà ci dice. Solo chi sa guardare le cose materiali, giungerà anche alla contemplazione delle cose di Dio: questo ci ha insegnato Gesù.

3. “State attenti a voi stessi”. Guardare, vedere ciò che ci circonda, ci spinge a stare attenti, a essere consapevoli di noi stessi, di ciò che siamo, di ciò che ci è chiesto qui e ora. Quante volte Gesù ci ha chiesto l’attenzione! Cosa significa? In estrema sintesi: smettere di demandare ad altri, in molti modi, e prendere in mano la propria vita, alla luce del Vangelo. Nessun altro può farlo per noi.

4. “Siate svegli in ogni momento”, alla lettera “privatevi del sonno”. Sembra impossibile, e in effetti lo è in senso pratico. Si tratta dunque di un monito a non cadere nell’intontimento spirituale, in quell’assopimento che pian piano ci fa apparire tutto uguale, come il grigio dei giorni nebbiosi che ottunde ogni colore. L’essere svegli in questo modo corrisponde alla grande virtù della vigilanza, nei confronti di pensieri, parole e azioni…

5. “Pregate”. La vigilanza è una virtù eminentemente umana. A essa però il cristiano si allena con la preghiera, che altro non è che meditazione della vita di Gesù narrata nei vangeli e, di conseguenza, ascolto, domanda, lode e supplica al Padre suo e Padre nostro, giorno dopo giorno.

6. “Abbiate la forza”. Verbo splendido, nella sua semplicità, che possiamo ricordare ogni volta che diciamo a noi stessi o a persone care: “Forza e coraggio!”. Sì, ci vuole forza per affrontare ciò che la vita ci pone davanti. E questa “forza” – come ci invita a fare l’Apostolo – possiamo “attingerla nel Signore e nel vigore della sua potenza” (cf. Ef 6,10). A volte non è facile eppure è semplice: predisporre tutto affinché sia a vivere e ad agire in noi.

7. “State in piedi davanti al Figlio dell’uomo”. Eccoci tornati all’inizio. In piedi, saldi nella speranza e forti nella fede, davanti al Signore che viene.

È così che ci è dato di accogliere l’invito di Paolo: “Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore tra voi e verso tutti” (1Ts 3,12). Attendere davvero il Signore Gesù, forza e gioia della nostra vita, significa amare ed essere amati, assumendo un preciso stile di vita. Uno stile che fa di noi uomini e donne attenti alla vita, disposti alla vita, pronti alla vita. Gesù ce lo ha detto con chiarezza e ce lo ridirà quando lo incontreremo faccia a faccia: “Sono venuto perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza” (cf. Gv 10,10). E noi lo abbiamo capito? Lo vogliamo vivere, per andargli incontro?


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SULLE VIE DELL'AVVENTO

Prima domenica di Avvento

Vangelo: Lc 21,25- 28,34-36

 

                                                        VEDERE  LONTANO

 

Guidati dall'evangelista Luca iniziamo oggi il nuovo anno liturgico, ciclo C, e intraprendiamo il cammino di Avvento.

L'Avvento è l'attesa di un evento, il Natale, avvenuto nel tempo e riproposto ogni anno nella liturgia per essere attualizzato attingendone doni di salvezza. Le letture tracciano un percorso di avvicinamento e, di pari passo, di conversione verso una sempre maggiore consapevolezza della nostra meta ultima. Ogni domenica di questo periodo pre-natalizio offre, nel vangelo, una caratteristica che dà senso alle nostre strade quotidiane, potremmo dire che indica una via d'uscita dal labirinto di interrogativi che chiunque può talvolta trovarsi ad affrontare.

La prima domenica punta al cuore della radicalità evangelica: se non ci svegliamo in tempo, rischiamo di arrivare tardi all'appuntamento con la vita eterna in grazia di Dio. E' un richiamo che ci interpella già da due settimane e ora si conferma in tutta la sua urgenza. Gesù parla con parole più forti del solito, esortando a stare in guardia, per cogliere i segnali che precederanno la fine di ogni realtà terrena. Il rischio di sottovalutare questo avvertimento è alto: è in gioco la salvezza della nostra anima.

Segni nel sole, nella luna, nelle stelle: quella natura che “geme nelle doglie del parto” come scrive S. Paolo ai Romani, giunge anch'essa al traguardo e sembra quasi che si preoccupi di dare un ultimo avviso all'uomo per aiutarlo. Dopo averlo sfamato, nutrito, dissetato, colmato dei suoi doni nel corso della vita, ora stravolta anch'essa, gli fa capire che si è arrivati al passaggio estremo.

Non si tratta, però, di indagare sulla fine del mondo, di cui ignoriamo i tempi e le modalità, in un giorno che, dice Gesù, “solo il Padre conosce”. E' importante, invece, comprendere “il” fine di tutta la creazione che contiene in sé ogni personale storia umana e proprio questo ci tocca nel profondo della nostra individuale responsabilità.

Tra le vie dell'Avvento, quella che emerge da questa prima domenica è perciò il richiamo a meditare sulla precarietà della vita, sull'effimero contorno di beni passeggeri, e ad alzare, invece, lo sguardo verso le realtà eterne. Guardare in alto è l'invito pressante di questo brano di vangelo, per non perdere di vista l'essenziale, tralasciare ogni superficialità fino a cogliere il vero senso delle parole di Gesù.

 

Una lettura di speranza con i nostri ragazzi.

Il vangelo sembra a prima vista quasi minaccioso: “State attenti, quel giorno vi piomberà addosso come un laccio...vegliate”. Gesù vuole spaventarci? Tutt'altro, il fatto è che gli sta troppo a cuore averci sempre vicini a sé per rinunciare a questo suo sogno.

Proviamo allora a leggere non solo le righe ma anche “dentro le righe” dove spesso si nasconde il contenuto più prezioso. E lì troviamo che, nel descrivere il momento in cui, chissà quando, questo mondo arriverà alla sua fine, Gesù esorta ad alzarsi, a guardare in alto non con timore ma con fiducia perchè si apre al nostro orizzonte una prospettiva di libertà. Sono quindi parole di speranza, che presentano la certezza di un Padre accanto che, amandoci come figli, ha a cuore il nostro destino eterno. Ci indica i pericoli per darci la possibilità di evitarli e ci attende.                   

                                                                                  

                                                                                                   Paola  Radif

pubblicato su Il Cittadino - Settimanale della diocesi di Genova del 28 novembre 2021 

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