Massimo Recalcati "A lezione con la pandemia serve un premio per gli studenti"
La Repubblica, sabato 22 maggio 2021
Lo sappiamo: la vita della Scuola è stata profondamente compromessa dall’aggressione della
pandemia. Certo, come la vita di tutti e di tutte le altre istituzioni, si potrebbe facilmente aggiungere.
Ma la vita della Scuola non è solo la vita di una istituzione perché la sua esistenza coincide con la
vita delle generazioni dei nostri figli e della loro crescita. La prova è stata, dunque, durissima:
separati, distanziati, confinati, spesso abbandonati. Queste generazioni di figli hanno sperimentato
sino in fondo lo smarrimento. Soprattutto le età della pre-adolescenza e dell’adolescenza. Sebbene
gli insegnanti nella loro stragrande maggioranza abbiano fatto l’impossibile per fare esistere una
didattica a distanza, resta il fatto che la vita della Scuola è stata mutilata, colpita al cuore, privata
della sua condizione di esistenza più elementare che è quella di essere una comunità in presenza.
Il disagio di questa generazione di figli non è, dunque, in sé vittimistico, ma reale. Nel nostro lavoro
clinico lo vediamo apparire chiaramente sotto forma di un aumento significativo delle dipendenze
patologiche (alcolismo, disturbi del comportamento alimentare, abuso di sostanze e degli oggetti
tecnologici), delle depressioni, degli attacchi di panico, delle fobie sociali e delle tendenze autolesive.
La Scuola si è trovata in questa congiuntura drammatica a essere investita di un compito
supplementare: non solo quello di preservare la didattica in condizioni di lavoro anomale, ma quella
di custodire la dimensione umana della relazione, il legame sociale che istituisce la vita della Scuola.
La tendenza era già attiva nel tempo pre-Covid: di fronte a una crisi diffusa del discorso educativo la
Scuola è stata un punto di tenuta collettivo essenziale di questo discorso. Molto spesso ha dovuto
vicariare una funzione genitoriale assente o calmierare la sua distorsione di fronte a genitori incapaci
di sopportare la frustrazione inflitta ai propri figli, necessaria, in realtà, a ogni processo di formazione.
Insomma, già prima del Covid la funzione educativa della Scuola risultava indispensabile nel
correggere la tendenza egemone del nostro tempo che è quella di ritenere i nostri figli sempre in una
condizione di diritto e mai di dovere, sempre in una condizione di deresponsabilizzazione e di alibi
perpetuo.
Ma il cataclisma dell’epidemia ha ridisegnato bruscamente il campo. Assegnare oggi assoluta priorità
alla cura delle relazioni sul valore strettamente cognitivo delle valutazioni, non significa affatto
prolungare la cultura della deresponsabilizzazione e dell’alibi. Non dobbiamo dimenticare che
quando la voce degli studenti si è alzata in questo tempo di crisi pandemica (non con la forza che
avrebbe dovuto purtroppo), si è sempre alzata per difendere la Scuola e la sua riapertura necessaria.
È un cambiamento di postura radicale che andrebbe messo in valore. La protesta degli studenti non
esigeva la chiusura della Scuola come dispositivo di regime – come è accaduto storicamente nella
storia variegata del movimento studentesco nel nostro paese – ma la sua apertura necessaria. Mai
come ora le nuove generazioni hanno potuto riconoscere che la Scuola non è tanto “un apparato
ideologico di Stato” finalizzato alla conformazione della ragione critica all’ordine esistente, come si
diceva all’epoca delle grandi contestazioni studentesche della fine degli anni Sessanta e della fine
degli anni Settanta, ma un luogo di formazione insostituibile dello stesso pensiero critico.
Non si fornisce, dunque, alcun alibi a questa generazione se si riconosce la prova enorme che ha
dovuto sostenere. Abbiamo vissuto qualcosa di spaventosamente inimmaginabile. Si è allora costretti
a navigare in un canale stretto: da una parte è necessario ora più che mai evitare l’etichettamento
“Generazione Covid” che identificherebbe i nostri figli alla posizione nefasta della vittima designata,
dall’altra parte risulta però altrettanto necessario evitare il non riconoscimento dell’emergenza e della
prova che i nostri figli hanno dovuto sostenere.
Ora che la Scuola, come ad ogni fine anno, decreterà i suoi giudizi, diventa decisivo mettere da parte
la numerologia della valutazione e le sue aride percentuali – cosa che già avviene nella pratica
valutativa illuminata di molti docenti – e considerare invece come includere maggiormente nella vita
della Scuola quelli che si sono persi, che hanno avuto timore, che sono rimasti indietro.