Dal Libro dell’Esodo sentimenti di grande intensità
Sui passi dell’Esodo
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Se volessimo leggere l’Esodo attraverso i sentimenti che il libro e la sua storia suscitano, ne avremmo molteplici e di grande intensità. Il primo sarebbe quello della meraviglia per quanto avvenne alla piccola famiglia tribale dei discendenti di Giacobbe, quando, vessati dalla carestia, affrontarono una emigrazione e, in virtù del loro coraggio e dell’ospitalità di un Paese straniero, crebbero, si moltiplicarono e da settanta che erano in partenza raggiunsero le seicentomila unità, contando soltanto i maschi adulti. Questo miracolo non solo di sopravvivenza ma anche di radicamento e di successo a vantaggio di un semplice ramoscello etnico, all’interno di un mondo vasto e popoloso, portò al sentimento della gratitudine al Dio dei padri – di Abramo, di Isacco e di Giacobbe – che ne risulta l’artefice. Egli è perenne debitore della Promessa di una “terra e una discendenza” suggellata da un Patto.
Ma gli sviluppi della storia sono sinuosi e tra gli umani sorgono conflitti che generano, ai i più deboli, dolori immensi, lacrime e lutti, per la schiavitù, la violenza, il disprezzo. Al dolore Israele reagisce con la supplica, gridando verso Qualcuno che venga a liberarlo. Nel grido sta la fede e il sentimento è quello della speranza, sua sorella gemella. Dio ascolta e viene a soccorrere Israele facendo scaturire un oceano di gioia, ed ecco la scena più bella del libro: Miriam che balla con le donne ebree al suono dei tamburelli, mentre Mosè, Aronne e tutti gli israeliti intonano un Canto al Signore che li ha tratti dal grembo del Mare.
«Piacer figlio d’affanno», recita un verso di Leopardi, e certamente quell’esplosione di felicità scaturiva anche dal sentimento dello scampato pericolo che dovette essere vissuto con un travolgente entusiasmo. Ma la tavolozza dei sentimenti dell’Esodo inizia ad arricchirsi di mille sfumature proprio quando comincia il cammino nel deserto. Sarebbe impossibile definirle tutte! Dopo la gioia sarà la delusione a insinuarsi nell’animo degli esuli dinanzi a quel deserto che si prospetta ai loro occhi, invece di una terra dolce e bella come il Signore, per bocca di Mosè, aveva fatto loro immaginare. E quando la sete e la fame iniziarono a ghermire lo stomaco e l’anima, gli ebrei furono avvolti dal sentimento della paura, dal terrore di morire: «Perché ci hai fatti salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?», chiesero con veemenza a Mosè, mentre la rabbia si trasformava nell’amarezza dello scetticismo, nel dubbio della fede e si interrogavano dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?» (cf Esodo 17, 3.7).
E di certo, più avanti, provarono vergogna dopo aver fabbricato un vitello d’oro contro il volere di Dio, per rendersi autonomi da Lui. Ma quando Egli, invece di distruggerli, di farli sparire nel nulla, decise di restargli accanto, di perdonare il loro peccato, di farli rifiorire alla vita, nel cuore di Israele si destò il sentimento più divino e umano: quello della dolcezza della misericordia. Sentimento della vita che si rigenera e rinasce dall’amore.