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Rosanna Virgili "Il peso di un fiore"

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4 ottobre 2020 

 IL PESO DI UN FIORE

 Rosanna Virgili 


Per salutare la Fratelli tutti e per la fraternità nella Chiesa

        

Vorrei unirmi alla festa che oggi irrompe nell’aria e sulla chiesa di un santo poverello, giovane restauratore di cappelle, sorgente sempre spiazzante di profezia e, insieme a lui, della Lettera di papa Francesco Fratelli tutti.  Il coraggio del papa è rinomato e le sue encicliche segnano senza meno la distanza che c’è tra la Visione e la realtà, il Sogno e la vita vera. Come i gregari più audaci di Gedeone, Francesco beve alla fonte di Francesco disteso a terra con tutto il corpo, per riuscire a lambire con la bocca la freschezza dell’acqua, senza fermarla nemmeno con le mani, senza il rischio dell’artificio che potrebbe portare la più breve sosta (cf Gdc 7,5ss).

 

Lo stesso il Papa fa con la Parola, da sempre, sia nei discorsi sia nei documenti; come nelle omelie così nell’annuncio dell’Angelus. Egli evita di cominciare dalle deduzioni, dalle dottrine, dalle riduzioni a sistemi, dalle eventuali mistificazioni della parola biblica e ha l’impudenza di riferirla così com’è: nuda, meravigliosa, spinosa, scandalosa. Ed è inevitabile che si riveli il paradosso di una Scrittura che, a fronte del precetto dell’amore del prossimo tuo come te stesso, ponga un numero impari di pagine in cui un tale amore non c’è. In cui viene descritta la realtà.

 

La Parola non ha paura della verità, pertanto la racconta, direi di più, la pubblica vestita di pudore e non di pudicizia, di nostalgia struggente dell’amore e non di moralismo. L’inchiostro della Parola è la speranza che fratelli tutti si possa fare davvero.

 

C’è chi dice: basta!

 

“Ora Core, figlio di Levi, con Datan e Abiràm, figli di Ruben, presero altra gente e insorsero contro Mosè, con duecentocinquanta uomini tra gli Israeliti, prìncipi della comunità, membri del consiglio, uomini stimati; si radunarono contro Mosè e contro Aronne e dissero loro: «Basta con voi! Tutta la comunità, tutti sono santi e il Signore è in mezzo a loro; perché dunque vi innalzate sopra l’assemblea del Signore?»” (16,1-3).

 

Siamo nel libro dei Numeri, in un’area di deserto, paura e smarrimento, nel mezzo del cammin di nostra vita, direbbero gli ebrei dell’esodo. Ma il gusto del potere morde più dei serpenti che, pure, devastano le tende d’Israele. Mosè e Aronne erano stati chiamati da Dio a guidare il viaggio degli schiavi verso la libertà. A fare la proposta, a iniziare per primi l’avventura. Ormai è qualche anno che il popolo del Signore si è formato in una vera assemblea, in una comunità. L’impegno e il rischio di Mosè, spesso - anche se non sempre! - coadiuvato da Aronne, è stato provvidenziale, è stato a fondamento dell’identità del popolo nascente. Da qui gli deriva la grande autorità che egli ha in mezzo a esso. Ma è arrivato il giorno della protesta perché quell’autorità viene, ora, avvertita come un potere e, quindi, i più vigili e anche i più ambiziosi, vogliono sovvertirla. Prendere per sé non l’autorità di Mosè e Aronne – che sarebbe impossibile perché è dono di Dio – ma il loro potere. Questo è possibile, perché è cosa da umani.

 

Per chi, se non per loro?

 

In casi come questo si rompe, nelle storie sacre, la fraternità. Ciò accade perché la corruzione dell’autorità in forma di potere è sempre nauseante e insopportabile; perché la delusione può gonfiare gli animi finché su tutto non si getti il sospetto e non si giunga persino a dubitare della scelta fatta in passato e a redarguire Mosè: “È troppo poco per te l’averci fatto salire (…) per farci morire nel deserto, perché tu voglia elevarti anche sopra di noi ed erigerti a capo? Non ci hai affatto condotto in una terra dove scorrono latte e miele, né ci hai dato in eredità campi e vigne!” (Nm 16,13-14). Avviene, così, che il buio avvinghi la luce dell’inizio e si frantumi pure la memoria. Quindi il futuro. Da via di promettenti aurore, il futuro diventa via del tramonto.

 

Ed ecco che la Parola corre ai ripari, si mette in cerca di soluzioni urgenti, perché le divisioni e le guerre hanno una vittima preferenziale: i figli, i poveri, i piccoli, la gente, quelli, cioè, che hanno creduto e sperato, che hanno lasciato le loro case – l’Egitto – le loro metaforiche cipolle, i loro piatti di carne, per seguire Mosè e la Promessa della libertà e di un mondo bello e diverso, giusto, fraterno e il Patto che Dio aveva fatto con lui e con loro. “Voi avete fatto morire il popolo del Signore” rinfaccia a Mosè il popolo stesso! (Nm 17,6).

Per chi, se non per loro, era stata, però, la vocazione di Mosè? Per chi era stata tutta la sua vita? Per chi la sua fatica, la sua rinuncia al protagonismo, alla proprietà, al potere?

 

Un fiore dal fuoco

 

È importante conoscere la fine che la Bibbia scrive al racconto di questa grande crisi. Sull’autenticità della fede sia di Mosè sia di Aronne, sia dei figli di Levi e di Ruben, viene chiamato il fuoco a giudicare. Il fuoco che viene da Dio e che brucia sia la durezza che la debolezza umana. Libera dalle prigioni in cui fanno ristagnare le sbarre del giudizio, della condanna, delle ragioni e dei torti, dei rancori e delle vendette; cauterizza le ferite e rende un vigore infantile, dopo un impatto leale e fiducioso. È un fuoco di fraternità che non può mancare nei rigori della solitudine umana, cui nessuno potrebbe sopravvivere.

 

“La vita dell’uno è legata alla vita dell’altro”: questa è la verità, questa è la ragione sopra tutte, questa è la Terra Promessa (cf Gen 44,30). Ogni Principe di Israele deve mettere il suo “bastone” – la sua parte di verità e di autorità – nella tenda della Testimonianza, dinanzi all’Alleato di tutti che è il Signore. E il bastone da cui spunterà un fiore sarà quello che avrà l’ultima parola, quella di Dio (cf Nm 17,16-26).

A fiorire fu il bastone di Aronne ma questa fu per lui l’autorità: “Tu, i tuoi figli e la casa di tuo padre con te porterete il peso delle colpe commesse nel santuario” (Nm 18,1). Fu la “vittoria” di un’unica responsabilità: porterete il peso della riconciliazione. 

 

La fecondità, la potenzialità di un’altra primavera, la porta sul futuro, esse soltanto garantiscono le giuste decisioni nell’oggi. Non c’è nessun’altra possibile legittimazione all’uso di un “potere” se non nel portare il peso di un fiore!

Così, almeno, fu quella volta, per quei brandelli di carne che divennero bagliori di speranza da cui si riaccese la fraternità di Israele.    

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