Enzo Bianchi Commento Vangelo 5 luglio 2020
Commento al Vangelo della domenica e delle feste
di Enzo Bianchi fondatore di Bose
Chi può dire: sono umile e mite?
5 luglio 2020
5 luglio 2020
XIV domenica del tempo Ordinario, anno A
Mt 11,25-30
In quel tempo, Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intellettuali e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Tutto è stato consegnato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò sollievo. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete sollievo per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
(testo dell'evangeliario di Bose)
Tutto è stato consegnato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò sollievo. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete sollievo per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
(testo dell'evangeliario di Bose)
Le prove e le tribolazioni che Gesù ha annunciato ai suoi discepoli (cf. Mt 10,16-30) sono realtà per Gesù stesso: egli sperimenta il rifiuto e l’incredulità da parte degli abitanti di alcune città della Galilea, nelle quali pure ha predicato e operato segni prodigiosi (cf. Mt 11,16-24).
Di fronte a questo scacco Gesù non si scoraggia, ma trasforma il fallimento in un’occasione di ringraziamento al Padre. Gesù è certamente toccato dal rigetto subìto, ma è capace di assumerlo nella fede – ecco perché la sua preghiera è preceduta dall’annotazione: «Rispondendo disse…» –, di farne un’occasione per discernere il compimento della volontà del Padre: «Ti ringrazio, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intellettuali e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre: così ti è piaciuto!». Anche nell’ora difficile Gesù riconosce che Dio agisce attraverso di lui: la sua missione consiste nell’annuncio della buona notizia ai poveri, ai semplici (cf. Mt 11,5; Is 61,1) i quali, aderendo a Gesù, colgono in lui la rivelazione del Padre; nel contempo essa è giudizio del cuore di quanti, con la loro sapienza intellettuale e la loro pretesa di auto-giustificazione religiosa erigono un ostacolo insormontabile all’accoglienza del Vangelo. È lo stesso sguardo di fede che porterà Paolo a scrivere: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i saggi, ciò che nel mondo è debole per confondere i forti» (1Cor 1,27)…
A questo rendimento di grazie Gesù fa seguire un’affermazione straordinaria, che apre uno squarcio sulla sua relazione di intimità con il Padre e ci fa contemplare per un istante la vita di comunione di Dio: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». Di più, Gesù invita i suoi discepoli a partecipare a questa vita divina: si tratta di passare attraverso di lui, via definitiva per accedere al Padre, come dirà nel quarto vangelo (cf. Gv 14,6). Qui lo esprime con parole di grande consolazione, che costituiscono un appello ad aderire con fiducia a lui: «Venite a me, voi tutti affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre vite».
Al tempo di Gesù i rabbini paragonavano la Torah, la Legge di Dio, a un giogo da portare, riferendosi alla responsabilità affidata a quanti entravano in alleanza con Dio. Tale giogo era progressivamente diventato sempre più gravoso a causa di interpretazioni rigoriste fornite dalle guide religiose di Israele: i precetti, donati da Dio per l’autentica libertà dell’uomo, si erano trasformati in «pesanti fardelli imposti da scribi e farisei sulle spalle della gente» (cf. Mt 23,2)… Anche Gesù si presenta a quanti lo ascoltano come maestro e guida (cf. Mt 23,10), ma un maestro ben diverso, che interpreta la Torah con la sua vita, facendone una fonte di libertà: egli è mite e paziente con i discepoli, è rispettoso di chi gli sta di fronte, è privo di ogni arroganza, non condanna i peccatori, è umile di cuore nei confronti di Dio perché sottomesso a lui in tutto. Agendo così, Gesù non intende negare le esigenze etiche dell’alleanza con Dio, ma quando annuncia la verità lo fa nella misericordia, con sentimenti di compassione verso gli uomini, perché non disgiunge mai la verità dalla carità! Questo equilibrio è difficilissimo, ma Gesù è sempre riuscito a mostrarsi mite e, insieme, a essere maestro degli altri, senza imporre loro pesi insopportabili, senza nutrire uno sguardo cinico o duro verso i peccatori. Lo ha fatto fino alla fine della sua esistenza, quando, entrando in Gerusalemme su un mansueto asinello, è stato acclamato dalla folla quale Messia mite (cf. Mt 21,5; Zc 9,9).
Sì, Gesù è un rabbi mite e umile di cuore, capace di dare conforto e pace a quanti si sentono stanchi e oppressi, a quanti si sono smarriti in sentieri tortuosi: il giogo di Gesù, Torah fatta persona, è dolce e il suo carico leggero. E assumendo la sua mitezza ogni uomo può vivere già ora la beatitudine da lui promessa: «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Mt 5,5; cf. Sal 37,11), cioè la terra dei viventi, il Regno.
Di fronte a questo scacco Gesù non si scoraggia, ma trasforma il fallimento in un’occasione di ringraziamento al Padre. Gesù è certamente toccato dal rigetto subìto, ma è capace di assumerlo nella fede – ecco perché la sua preghiera è preceduta dall’annotazione: «Rispondendo disse…» –, di farne un’occasione per discernere il compimento della volontà del Padre: «Ti ringrazio, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intellettuali e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre: così ti è piaciuto!». Anche nell’ora difficile Gesù riconosce che Dio agisce attraverso di lui: la sua missione consiste nell’annuncio della buona notizia ai poveri, ai semplici (cf. Mt 11,5; Is 61,1) i quali, aderendo a Gesù, colgono in lui la rivelazione del Padre; nel contempo essa è giudizio del cuore di quanti, con la loro sapienza intellettuale e la loro pretesa di auto-giustificazione religiosa erigono un ostacolo insormontabile all’accoglienza del Vangelo. È lo stesso sguardo di fede che porterà Paolo a scrivere: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i saggi, ciò che nel mondo è debole per confondere i forti» (1Cor 1,27)…
A questo rendimento di grazie Gesù fa seguire un’affermazione straordinaria, che apre uno squarcio sulla sua relazione di intimità con il Padre e ci fa contemplare per un istante la vita di comunione di Dio: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». Di più, Gesù invita i suoi discepoli a partecipare a questa vita divina: si tratta di passare attraverso di lui, via definitiva per accedere al Padre, come dirà nel quarto vangelo (cf. Gv 14,6). Qui lo esprime con parole di grande consolazione, che costituiscono un appello ad aderire con fiducia a lui: «Venite a me, voi tutti affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre vite».
Al tempo di Gesù i rabbini paragonavano la Torah, la Legge di Dio, a un giogo da portare, riferendosi alla responsabilità affidata a quanti entravano in alleanza con Dio. Tale giogo era progressivamente diventato sempre più gravoso a causa di interpretazioni rigoriste fornite dalle guide religiose di Israele: i precetti, donati da Dio per l’autentica libertà dell’uomo, si erano trasformati in «pesanti fardelli imposti da scribi e farisei sulle spalle della gente» (cf. Mt 23,2)… Anche Gesù si presenta a quanti lo ascoltano come maestro e guida (cf. Mt 23,10), ma un maestro ben diverso, che interpreta la Torah con la sua vita, facendone una fonte di libertà: egli è mite e paziente con i discepoli, è rispettoso di chi gli sta di fronte, è privo di ogni arroganza, non condanna i peccatori, è umile di cuore nei confronti di Dio perché sottomesso a lui in tutto. Agendo così, Gesù non intende negare le esigenze etiche dell’alleanza con Dio, ma quando annuncia la verità lo fa nella misericordia, con sentimenti di compassione verso gli uomini, perché non disgiunge mai la verità dalla carità! Questo equilibrio è difficilissimo, ma Gesù è sempre riuscito a mostrarsi mite e, insieme, a essere maestro degli altri, senza imporre loro pesi insopportabili, senza nutrire uno sguardo cinico o duro verso i peccatori. Lo ha fatto fino alla fine della sua esistenza, quando, entrando in Gerusalemme su un mansueto asinello, è stato acclamato dalla folla quale Messia mite (cf. Mt 21,5; Zc 9,9).
Sì, Gesù è un rabbi mite e umile di cuore, capace di dare conforto e pace a quanti si sentono stanchi e oppressi, a quanti si sono smarriti in sentieri tortuosi: il giogo di Gesù, Torah fatta persona, è dolce e il suo carico leggero. E assumendo la sua mitezza ogni uomo può vivere già ora la beatitudine da lui promessa: «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Mt 5,5; cf. Sal 37,11), cioè la terra dei viventi, il Regno.