Dopo la pandemia 5 parole per ricominciare: Trasformazione
Don Francesco Cosentino
Potremo semplicemente riprendere la vita e le abitudini di prima quando la pandemia sarà passata? Probabilmente no. Se anche da più parti si è invocato un ritorno alla normalità, dobbiamo onestamente ammettere che non si trattasse di un mondo normale e di uno stile di vita sano.
Che “niente sarà come prima”, però, al di là della forza che gli eventi portano con sé e da sé, dipende soprattutto da noi, da come riusciremo a vincere l’immobilità delle nostre abitudini, per cambiare effettivamente i nostri modi di essere, di pensare e di stare al mondo.
A noi uomini – dobbiamo confessarlo – non piace molto cambiare. Ci troviamo meglio con la sicurezza dell’auto usata e del già sperimentato, che con la sorpresa che stravolge i nostri schemi, i nostri piani e perfino i nostri orari. L’abitudine e il calore del nido sicuro hanno sempre la meglio sul rischio. Non riusciamo a fare pace con quella verità che abita la vita dal di dentro e che il grande teologo francese Henri de Lubac sintetizzò con queste parole: “La vita è sempre trionfo dell’improbabile e miracolo dell’imprevisto”.
Eppure, nel cuore del Vangelo c’è un invito che Gesù ci rivolge che oggi ritorna più che mai attuale in tempo di virus: convertitevi. Cioè, cambiate, mettete in discussione le certezze consolidate, riposizionate in modo nuovo lo sguardo su voi stessi e sulla vita. John Henry Newman, oggi santo, affermava: “vivere è cambiare ed essere perfetti significa aver cambiato molte volte”.
La quarta parola per ricominciare dopo la pandemia è allora trasformazione. A questa parola, spesso noi preferiamo la parola “conversione” che, tuttavia, è una parola un po’ usurata e spesso fraintesa. Generalmente essa ci fa pensare più o meno così: io non sono apposto, c’è qualcosa in me che non va e quindi devo cambiare. In questo fiume torbido di giudizi negativi su sé stessi, nasce l’imperativo morale che dovrebbe ribaltare la situazione: per essere apposto – davanti a Dio, agli altri e perfino a me stesso – devo cambiare. La fede cristiana, con la parola conversione intende dire una cosa diversa: tu sei molto di più, lasciati trasformare. La tua vita è molto di più, apriti al cambiamento che Dio può operare in te. Accogli Colui che può cambiarti la vita, sarà Lui a trasformare il tuo modo di essere, di pensare, di agire e di amare.
Dio trasforma dal di dentro, non fa violenza alcuna, rispetta i nostri tempi di maturazione, non forza le cose, conosce la gradualità. Quello che opera in noi è una trasformazione, non un violento sradicare. Trasformazione significa: tutto in me ha diritto di esistere, anche le mie passioni, le mie malattie, le mie fragilità; mi apprezzo per come sono e mi accolgo; tuttavia, nelle mie nostalgie più profonde e nei desideri che porto nel cuore, nelle mie domande e nei miei dubbi, nei miei fallimenti e nei miei sogni, io avverto di essere fatto per un di più, di non essere ancora ciò che potrei essere, di non vivere ancora pienamente la bellezza della vita. Non sono sbagliato, ma ho bisogno di continue trasformazioni che mi aiutino a crescere.
Scrive l’Apostolo Paolo: “Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma trasformate la vostra mente per poter discernere ciò che buono, a Lui gradito e perfetto”. (Rom 12,2). Come si legge dal testo, trasformazione è il contrario di conformazione: noi, spesso, per comodità, per pigrizia o mancanza di libertà interiore, andiamo dove vanno tutti, scegliamo ciò che la massa sceglie, siamo conformisti; il cristianesimo, invece, è anticonformista per natura e ci spinge alla trasformazione.
La storia d’amore tra Dio e noi, narrata dalla Sacra Scrittura, è una storia di continue trasformazioni. Il mare viene trasformato in terra ferma quando gli israeliti devono fuggire dalla schiavitù nel deserto e, così, il pericolo mortale si trasforma in una via di salvezza: la mia più grave minaccia o situazione di debolezza può diventare una via nuova per ricominciare, una nuova esperienza di Dio, una nuova percezione del mondo.
Quando gli israeliti hanno sete, la roccia viene trasformata da Dio in una sorgente d’acqua: Dio trasforma la rigidità della roccia e dall’aridità fa sgorgare l’acqua fresca, appena Mosè batte col bastone sulla pietra: quando qualcosa si abbatte sulla nostra vita, ci scuote e ci colpisce come ha fatto la pandemia, possiamo anche essere risvegliati, essere smossi fino a generare acque nuove, che vi dissetano.
I Vangeli ci fanno vedere che tutti coloro che si mettono a seguire Gesù, diventando Suoi discepoli, si lasciano trasportare da un’avventura che li trasforma: Matteo lascia il banco con i soldi, Pietro, Giacomo e Giovanni lasciano le reti. Tutti coloro che Gesù tocca vengono guariti, cioè la loro vita si trasforma e la loro malattia diventa luogo della manifestazione dell’amore di Dio e si tramuta in vita. Nell’ultima cena, Gesù prende il pane e il vino e li trasforma.
Mi colpisce in particolare il brano del Vangelo che ci racconta la guarigione del paralitico, mentre Gesù sta insegnando e la folla fa una lunga coda fuori dalla porta; gli amici di quest’uomo costretto sulla barella, non potendo entrare dalla porta, con creatività e ingegno “lo calano dall’alto”, scoperchiando il tetto. Non si arrendono pensando che è inutile provare a entrare, non si fermano al primo ostacolo, ma ingegnano qualcosa e rischiano, se vogliamo anche con un pizzico di follia e di ironia. Se non si rischia qualcosa, infatti, non può avvenire nessuna trasformazione nella nostra vita. Ma, soprattutto: per poter permettere alla nostra vita di essere trasformata dobbiamo “scoperchiare il tetto” della nostra vita, cioè dobbiamo giocare a carte scoperte e senza finzioni davanti a noi stessi e a Dio; perché qualcosa sia trasformato non dobbiamo negarlo o camuffarlo, non dobbiamo fuggire dalle crisi, dalle domande, dai problemi. La trasformazione avviene quando abbiamo il coraggio di guardare in faccia la verità di noi stessi e scoperchiamo il tetto sotto cui abbiamo soffocato le nostre ombre, le nostre aspirazioni e i nostri bisogni. Dio ha seminato la verità e la luce dentro di noi: dobbiamo solo lasciarle venire emergere e lasciarci trasformare; ma non basta un impegno “orizzontale”, cioè il mio impegno e il mio sforzo: occorre che si faccia “un buco dall’alto”, lasciare che scenda su di noi l’azione di Dio.
In questo tempo di post pandemia forse sono diverse le cose che abbiamo potuto vedere dentro e intorno a noi e che desideriamo siano trasformate; non serve far finta che va tutto bene e che possiamo riprendere la vita di prima senza interrogarci e senza cambiare. Possiamo scoperchiare il tetto e permettere che gli eventi vissuti e la presenza di Dio ci trasformino nel nostro modo di essere, di pensare e di agire.
Che “niente sarà come prima”, però, al di là della forza che gli eventi portano con sé e da sé, dipende soprattutto da noi, da come riusciremo a vincere l’immobilità delle nostre abitudini, per cambiare effettivamente i nostri modi di essere, di pensare e di stare al mondo.
A noi uomini – dobbiamo confessarlo – non piace molto cambiare. Ci troviamo meglio con la sicurezza dell’auto usata e del già sperimentato, che con la sorpresa che stravolge i nostri schemi, i nostri piani e perfino i nostri orari. L’abitudine e il calore del nido sicuro hanno sempre la meglio sul rischio. Non riusciamo a fare pace con quella verità che abita la vita dal di dentro e che il grande teologo francese Henri de Lubac sintetizzò con queste parole: “La vita è sempre trionfo dell’improbabile e miracolo dell’imprevisto”.
Eppure, nel cuore del Vangelo c’è un invito che Gesù ci rivolge che oggi ritorna più che mai attuale in tempo di virus: convertitevi. Cioè, cambiate, mettete in discussione le certezze consolidate, riposizionate in modo nuovo lo sguardo su voi stessi e sulla vita. John Henry Newman, oggi santo, affermava: “vivere è cambiare ed essere perfetti significa aver cambiato molte volte”.
La quarta parola per ricominciare dopo la pandemia è allora trasformazione. A questa parola, spesso noi preferiamo la parola “conversione” che, tuttavia, è una parola un po’ usurata e spesso fraintesa. Generalmente essa ci fa pensare più o meno così: io non sono apposto, c’è qualcosa in me che non va e quindi devo cambiare. In questo fiume torbido di giudizi negativi su sé stessi, nasce l’imperativo morale che dovrebbe ribaltare la situazione: per essere apposto – davanti a Dio, agli altri e perfino a me stesso – devo cambiare. La fede cristiana, con la parola conversione intende dire una cosa diversa: tu sei molto di più, lasciati trasformare. La tua vita è molto di più, apriti al cambiamento che Dio può operare in te. Accogli Colui che può cambiarti la vita, sarà Lui a trasformare il tuo modo di essere, di pensare, di agire e di amare.
Dio trasforma dal di dentro, non fa violenza alcuna, rispetta i nostri tempi di maturazione, non forza le cose, conosce la gradualità. Quello che opera in noi è una trasformazione, non un violento sradicare. Trasformazione significa: tutto in me ha diritto di esistere, anche le mie passioni, le mie malattie, le mie fragilità; mi apprezzo per come sono e mi accolgo; tuttavia, nelle mie nostalgie più profonde e nei desideri che porto nel cuore, nelle mie domande e nei miei dubbi, nei miei fallimenti e nei miei sogni, io avverto di essere fatto per un di più, di non essere ancora ciò che potrei essere, di non vivere ancora pienamente la bellezza della vita. Non sono sbagliato, ma ho bisogno di continue trasformazioni che mi aiutino a crescere.
Scrive l’Apostolo Paolo: “Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma trasformate la vostra mente per poter discernere ciò che buono, a Lui gradito e perfetto”. (Rom 12,2). Come si legge dal testo, trasformazione è il contrario di conformazione: noi, spesso, per comodità, per pigrizia o mancanza di libertà interiore, andiamo dove vanno tutti, scegliamo ciò che la massa sceglie, siamo conformisti; il cristianesimo, invece, è anticonformista per natura e ci spinge alla trasformazione.
La storia d’amore tra Dio e noi, narrata dalla Sacra Scrittura, è una storia di continue trasformazioni. Il mare viene trasformato in terra ferma quando gli israeliti devono fuggire dalla schiavitù nel deserto e, così, il pericolo mortale si trasforma in una via di salvezza: la mia più grave minaccia o situazione di debolezza può diventare una via nuova per ricominciare, una nuova esperienza di Dio, una nuova percezione del mondo.
Quando gli israeliti hanno sete, la roccia viene trasformata da Dio in una sorgente d’acqua: Dio trasforma la rigidità della roccia e dall’aridità fa sgorgare l’acqua fresca, appena Mosè batte col bastone sulla pietra: quando qualcosa si abbatte sulla nostra vita, ci scuote e ci colpisce come ha fatto la pandemia, possiamo anche essere risvegliati, essere smossi fino a generare acque nuove, che vi dissetano.
I Vangeli ci fanno vedere che tutti coloro che si mettono a seguire Gesù, diventando Suoi discepoli, si lasciano trasportare da un’avventura che li trasforma: Matteo lascia il banco con i soldi, Pietro, Giacomo e Giovanni lasciano le reti. Tutti coloro che Gesù tocca vengono guariti, cioè la loro vita si trasforma e la loro malattia diventa luogo della manifestazione dell’amore di Dio e si tramuta in vita. Nell’ultima cena, Gesù prende il pane e il vino e li trasforma.
Mi colpisce in particolare il brano del Vangelo che ci racconta la guarigione del paralitico, mentre Gesù sta insegnando e la folla fa una lunga coda fuori dalla porta; gli amici di quest’uomo costretto sulla barella, non potendo entrare dalla porta, con creatività e ingegno “lo calano dall’alto”, scoperchiando il tetto. Non si arrendono pensando che è inutile provare a entrare, non si fermano al primo ostacolo, ma ingegnano qualcosa e rischiano, se vogliamo anche con un pizzico di follia e di ironia. Se non si rischia qualcosa, infatti, non può avvenire nessuna trasformazione nella nostra vita. Ma, soprattutto: per poter permettere alla nostra vita di essere trasformata dobbiamo “scoperchiare il tetto” della nostra vita, cioè dobbiamo giocare a carte scoperte e senza finzioni davanti a noi stessi e a Dio; perché qualcosa sia trasformato non dobbiamo negarlo o camuffarlo, non dobbiamo fuggire dalle crisi, dalle domande, dai problemi. La trasformazione avviene quando abbiamo il coraggio di guardare in faccia la verità di noi stessi e scoperchiamo il tetto sotto cui abbiamo soffocato le nostre ombre, le nostre aspirazioni e i nostri bisogni. Dio ha seminato la verità e la luce dentro di noi: dobbiamo solo lasciarle venire emergere e lasciarci trasformare; ma non basta un impegno “orizzontale”, cioè il mio impegno e il mio sforzo: occorre che si faccia “un buco dall’alto”, lasciare che scenda su di noi l’azione di Dio.
In questo tempo di post pandemia forse sono diverse le cose che abbiamo potuto vedere dentro e intorno a noi e che desideriamo siano trasformate; non serve far finta che va tutto bene e che possiamo riprendere la vita di prima senza interrogarci e senza cambiare. Possiamo scoperchiare il tetto e permettere che gli eventi vissuti e la presenza di Dio ci trasformino nel nostro modo di essere, di pensare e di agire.