Monastero di Bose "Dio ha sete della nostra sete"
iam in ea fídei donum ipse creáverat,
et ita eius fidem sitíre dignátus est,
ut ignem in illa divíni amóris accénderet.
Il Cristo, chiedendo alla Samaritana l’acqua da bere,
già aveva suscitato in lei il dono della fede
e di questa fede ebbe sete così grande
da accendere in lei il fuoco dell’amore di Dio.
Messale Romano, Prefazio della III Domenica di Quaresima
Le testimonianze storiche attestano che il vangelo di Giovanni ebbe un ruolo privilegiato nelle catechesi battesimali del IV secolo. Quando si organizzò un tempo di preparazione al battesimo, la cui celebrazione era divenuta tradizionale a Pasqua, le pericopi della Samaritana, del Cieco nato e di Lazzaro scandirono i momenti salienti delle tre settimane pre-pasquali. Tutto il vangelo di Giovanni – recentemente definito il vangelo dell’Agnello pasquale – allude alla Pasqua e al suo significato. In particolare, queste pericopi parlano di acqua viva, vita eterna, purificazione, luce, fede e resurrezione: il loro legame con il battesimo e l’eucaristia è evidente, come sottolineato anche dagli antichi prefazi e dalle antifone di comunione.
L’interpretazione battesimale del quarto capitolo di Giovanni, assente nei grandi commenti antichi, emerge dalle citazioni del brano in altri testi, nella predicazione e nelle testimonianze iconografiche.
Ireneo identifica l’acqua zampillante per la vita eterna con lo Spirito santo ricevuto nel battesimo (AH III,17,2) e Cromazio di Aquileia – mettendo in parallelo la profezia di Ezechiele 47 con Giovanni 4,14 – vede nell’acqua che sgorga dal lato del tempio un’allusione profetica al battesimo e al fiume della predicazione evangelica (In Mt. 16,3). Gli autori antichi hanno inoltre sottolineato come l’immagine del pozzo rimandi al contesto nuziale e l’incontro di Gesù con la samaritana sia immagine dell’unione tra Cristo e la Chiesa nel lavacro dell’acqua del battesimo (Origene, In Gen. 10,5).
L’interpretazione del testo evangelico verso cui ci orienta il prefazio della III domenica di Quaresima può apparire dunque inattesa. Dell’incontro di Gesù con la donna samaritana (Gv 4,5-41) ritiene un solo elemento: Le dice Gesù: “Dammi da bere” (Gv 4,7). Gesù è stanco, ha sete, chiede da bere. I Padri più antichi avevano visto in questo trovarsi nel bisogno di Gesù una testimonianza del suo essere veramente uomo (Ireneo, AH III,22,1-2). Agostino dice: “Arrivò stanco perché portava il peso della carne debole. Giunse al pozzo perché egli è disceso fino al fondo di questa nostra dimora. Si è seduto perché, come ho detto, si è umiliato” (In Io. 15,9). L’essere bisognoso di Gesù mostra la sua condiscendenza verso l’umanità: “Nelle stesse debolezze della natura umana è possibile contemplare la maestà divina. È affaticato dal cammino Gesù, per ristorare gli affaticati; domanda da bere, Lui che vuole offrire da bere, ha fame, Lui che vuole dare agli affamati il cibo della salvezza” (Ambrogio, De fide V,4,54). Questa condizione è ben presto interpretata in senso spirituale: “Era affaticato perché non trovava un popolo fedele” (Cesario di Arles, Serm.170,2); “In realtà, Colui che chiedeva da bere, aveva sete della fede di quella donna” (Agostino, In Io. 15,11).
Questa lettura si trova nel lungo prefazio del Sacramentario mozarabico che ha ispirato il nostro testo: “Ebbe sete dell’acqua, e suscitò da lei la fede… Egli stesso, che in lei aveva creato il dono della fede, chiedeva che da lei gli venisse porta la bevanda dell’acqua e Colui che la faceva ardere della fiamma del suo amore, Lui stesso, assetato, domandava a lei la bevanda mediante cui rinfrescarsi” (LMS 358: XL).
Quaerens me, sedisti lassus, “Cercandomi, ti sedesti stanco”, ricorda il Dies Irae nella sua grande invocazione di misericordia, alludendo al racconto della samaritana, e continua: “Mi hai redento con il supplizio della Croce, che tanto sforzo non sia vano!”
Tutta la spiritualità occidentale è stata influenzata da queste parole. Il passo ulteriore, quello di attribuire non solo a Cristo, ma al Padre stesso, l’esser privo di qualcosa – e dunque il desiderare – è più problematico. La tradizione occidentale si mostra prudente, come anche il nostro prefazio. La riflessione teologica più recente ha tuttavia riproposto il tema del desiderio in Dio, tanto che lo si ritrova nel Catechismo della Chiesa cattolica in riferimento alla preghiera: “Cristo viene ad incontrare ogni essere umano; egli ci cerca per primo ed è lui che ci chiede da bere. Gesù ha sete; la sua domanda sale dalle profondità di Dio che ci desidera. Che lo sappiamo o non lo sappiamo, la preghiera è l’incontro della sete di Dio con la nostra sete. Dio ha sete che noi abbiamo sete di lui” (§ 2560).
Il Catechismo cita qui un testo famoso di Gregorio Nazianzeno: “Dio ha sete che noi abbiamo sete di lui” (Orat. 40, 27; Poemata I,2,33). Questa idea ha attraversato la tradizione orientale, permettendole di attribuire a Dio stesso la passione dell’amore e il mutamento (cf. Massimo il Confessore, Ambigua 23). In realtà questi sono i tratti che caratterizzano il Dio biblico narrato dai profeti e conosciuto dalla tradizione giudaica. “Signore, dove ti troverò?”, si chiede Yehudah Halevi all’inizio del XII secolo, “Io ho cercato la tua vicinanza e, mentre uscivo per incontrarti, ti ho trovato che venivi verso di me”.
“Al centro di tutti i pensieri biblici vi è questa certezza: Dio non è un essere che si disinteressa dell’uomo, ma una potenza che cerca, insegue e invoca l’uomo. La via verso Dio è una via di Dio”, scriveva A. J. Heschel, uno dei pensatori ebraici più importanti del XX secolo, nel libro significativamente intitolato: Dio alla ricerca dell’uomo.
Camminando verso la Pasqua, noi sappiamo di avanzare perché attirati dal Signore e fissiamo lo sguardo verso il compimento del grande mistero, che la liturgia bizantina canta con queste parole: “Sei disceso sulla terra per salvare Adamo, o Signore e, non avendolo trovato sulla terra, sei andato a cercarlo fino nell’Ade” (Mattutino del Sabato santo, Enkomia).
Fonte: Monastero di Bose