Clicca

Gesù questo sconosciuto: il suo volto “amico dei deboli”

stampa la pagina
don Francesco Cosentino

Al volto di Dio associamo quasi inconsapevolmente gli aspetti della forza, dell’onnipotenza e della grandezza. Ciò che i Vangeli ci fanno vedere, però, raccontandoci la storia di Gesù, è l’immagine di un Dio che non usa la forza né si ammanta di potere e di gloria, ma, anzi, rivela la sua presenza nell’accostarsi con amicizia e tenerezza all’umanità.

Gesù ci mostra questo tratto di Dio che provoca anche noi e il nostro cristianesimo a superare la tentazione di essere una religione del potere, asservita ai potenti del mondo, o che si confonde con essi per contendersi qualche pezzo di autorità.

Al contrario, il messianismo di Gesù, la sua predicazione, i suoi gesti, ci fanno vedere quanto il grande teologo tedesco Johann Baptist Metz, aveva teorizzato: la religione messianica di Gesù si oppone a quel cristianesimo borghese che è una specie di moda esteriore e che, dietro l’apparente conversione, non si converte affatto, usando Dio solo per i propri bisogni e per la conferma dei propri privilegi. La religione messianica non rimane tranquilla mentre l’uomo e la storia gridano a Dio; al contrario, essa invita alla “sequela pericolosa” di Cristo, che è assumersi il rischio dell’amore, della solidarietà e della compassione verso i deboli e verso chi soffre.

I Vangeli ci fanno vedere che Gesù non è un borghese che se ne sta sdraiato con la pancia piena in una carrozza, passando per le città a dispensare qualche predicozzo morale su come essere bravi davanti a Dio. L’amore che predica è una fiamma che lo divora dentro, lo tiene sveglio dinanzi al dolore del mondo e lo mette in cammino verso i confini dell’esistenza, dove regnano sofferenza, emarginazione e povertà.

Gesù è amico dei più deboli, dei vulnerabili della società, dei disprezzati, di coloro che non contano e che la società del potere e dei privilegi ha condannato a essere senza volto e senza voce: poveri, vedove, lebbrosi, ammalati, peccatori pubblici.

Il ministero di Gesù inizia con un’attenzione speciale verso coloro che sono prigionieri del male; a Cafarnao, entra nella sinagoga e guarisce un uomo posseduto da uno spirito immondo. Alza la voce per sgridare presenza fastidiosa che fa soffrire quest’uomo: “Taci! Esci da lui”. Così, Gesù ci presenta Dio come Colui che vuole liberarci dal male e da ogni prigionia interiore, mettendo a tacere quelle voci, quelle paure e quelle situazioni che a volte si agitano dentro di noi e “non ci lasciano in pace”.

In pochi versetti, subito dopo, il Vangelo di racconta che Gesù rialza la suocera di Pietro dal letto, guarendola dalla febbre e che “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati” (Mc 1,32-33). È una scena meravigliosa: quando il sole sembra tramontare nel nostro spirito, sulle nostre giornate e nella nostra vita, nella fragilità e nel dolore, nella paura e nel peccato, possiamo presentarci davanti a Dio: non c’è sera, che Egli non possa e non voglia rischiarare.

Mentre percorre la Galilea, subito dopo, Gesù viene fermato da un lebbroso che lo supplica: “Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò” e lo guarì. Un Dio puro e puritano sarebbe scappato, avrebbe evitato il contatto per non contaminarsi, avrebbe dato qualche indicazione sanitaria con i guanti bianchi. Gesù, invece, piange dentro le viscere, ha i crampi allo stomaco, si lascia scuotere dal dolore di quest’uomo; poi stabilisce un contatto con l’ammalato, invece che trattarlo come un mero caso clinico. Si guarisce ogni volta che il dolore è condiviso, è guardato in faccia, è toccato e maneggiato con tenerezza e senza violenza. Dio lo fa con noi, con la nostra lebbra, con tutto ciò che ci fa sentire impuri, sporchi, non altezza di noi stessi e della vita, scartati ed emarginati da certe situazioni o persone.
Poco dopo, quattro persone fanno un buco nel tetto della casa dove si trova Gesù e calano un paralitico sul lettuccio. È una delle immagini più belle del Vangelo. Anche quando la solitudine, l’amarezza, il dolore, e ogni altra ferita della vita hanno creato in noi una barriera, un tetto ermetico che nessuno può scoperchiare, la grazia di Dio – spesso attraverso qualcuno che ci vuol bene come i 4 amici del paralitico – può aprire un varco. A quell’uomo, Gesù dice: Alzati, prendi il tuo lettuccio! Ci sono situazioni, ferite e peccati che ci paralizzano, ci immobilizzano, ci rendono insicuri, ci costringono al palo; Gesù ci lancia la sfida di alzarci dal lettuccio dove la malattia ci costringe o dove per paura ci siamo accomodati e ci invita a credere che possiamo farcela, possiamo stare in piedi, possiamo camminare con le nostre gambe.

Gesù prende le difese delle vedove, che in Israele erano private di ogni diritto e. Si rallegra, quasi commuovendosi, perché i misteri del regno sono nascosti a coloro che si credono sapienti, religiosi e importanti e sono rivelati ai piccoli e ai semplici. Spezza il pane con chi ha fame, disseta la samaritana e tutti coloro che hanno sete, consola il pianto di una madre e le restituisce suo figlio, risorgendolo dalla morte.

Gesù, amico dei vulnerabili ci ricorda che “possiamo entrare nel cuore di Dio solo attraverso le piaghe di Cristo, e sappiamo che Cristo è piagato negli affamati, negli ignoranti, negli scartati, negli anziani, nei malati, nei detenuti, in ogni carne umana vulnerabile” (Papa Francesco).

Guardando alla tenerezza di Gesù verso i più piccoli, i più deboli e i più vulnerabili, possiamo imparare ad accogliere noi stessi e la nostra fragile carne umana senza giudicarci, senza irrigidirci nel perfezionismo e senza scagliare verso noi stessi le pietre violente del moralismo. Ci prendiamo in braccio, come fa Gesù con noi, e guardiamo alla nostra storia ferita con compassione, affidandola alla misericordia di Dio che ci dona la forza di lottare e di cambiare. Possiamo accogliere meglio la parte di noi che sentiamo più vulnerabile e imparare ad accogliere i limiti e i difetti degli altri, le loro povertà e vulnerabilità.
Come Chiesa, possiamo imparare a essere, luogo e spazio di accoglienza di tutte le fragilità umane. Possiamo finalmente uscire da noi stessi e andare verso le periferie dell’esistenza, incontro al dolore, alla sofferenza e alla solitudine, incontrando Cristo nei poveri, nei tossicodipendenti, nelle persone sfruttate e abusate, nei carcerati, nei senza tetto, negli anziani soli. Possiamo essere e diventare, come afferma Papa Francesco, “una chiesa povera per i poveri”.

E guardando a Gesù, scopriamo questo Dio amico dei deboli, che si prende cura della nostra vulnerabilità e ci fa diventare esperti di tenerezza verso le ferite di ogni uomo che incontriamo sul cammino.
stampa la pagina

Gli ultimi 20 articoli